DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Quella minoranza discriminata dal Cairo

di Fausto Biloslavo

DOCUMENTI Sulle carte d’identità degli abitanti è obbligatorio che sia riportata la religione

Cristiani bruciati vivi perché frequentano una ragazza musulmana, aggressioni in aumento nel 2009, carte d’identità che impongono l’islam, discriminazioni nell’istruzione e sui posti lavoro sono i segni della strisciante persecuzione nei confronti dei copti. Il loro nome deriva dal greco e significa Egitto, ma le autorità del Cairo continuano a chiudere un occhio su violenze e soprusi nei confronti di questi cristiani da 1.430 anni. Cittadini di serie B, che vivono nelle aree rurali più povere o in quartieri ghetto della capitale, nonostante la comunità rappresenti almeno il 10% degli 80 milioni di abitanti del Paese.
Prima della strage di ieri, 10mila copti si erano radunati il 29 dicembre davanti alla chiesa degli Arcangeli al Cairo. I cristiani hanno alternato canti e preghiere a slogan contro il governo del presidente Hosni Mubarak. La richiesta principale è l’applicazione di una legge, già promulgata dal rais egiziano, che prevede uguale trattamento per ogni credo religioso. Le aggressioni contro i cristiani, a opera degli estremisti musulmani e delle forze dell’ordine, sono aumentate nel 2009. All’inizio di novembre, le forze di sicurezza egiziane hanno inviato rinforzi nella cittadina di Dairout, dove sono circolati volantini con un titolo che non lasciava dubbi: «Questi devono morire». Il testo incitava i musulmani a «bruciare, vandalizzare e ripulire il paese dagli immorali demoniaci infedeli», ovvero i cristiani copti.
L’episodio più infame è stato denunciato nel marzo dello scorso anno dalla diaspora cristiana: un giovane copto, Shihata Sabri, è stato bruciato vivo, perché girava la voce che avesse una relazione con la sorella di Yasser Ahmed Qasim, un musulmano. Yasser ha dato fuoco al cristiano con una tanica di benzina. l delitto «d’onore» ha avuto luogo nel piccolo villaggio di «Dmas» Meet-Ghamr. Il padre della vittima, giunto sul posto dell’agguato, è stato assalito da un gruppo di musulmani armati di bastoni. Una coltellata l’ha ucciso.
Nell’ottobre del 2005 sono scoppiati gli incidenti più duri fra cristiani e musulmani ad Alessandria. La scintilla è stata una rappresentazione teatrale che «offendeva l’islam». In realtà si trattava di un dvd che circolava in città dal titolo. «Una volta ero cieco, ma ora vedo». Il filmato racconta la storia di un cristiano ridotto in miseria, che per sopravvivere in Egitto si converte all’islam. Poi si pente e vuole tornare alla fede in Cristo, ma è minacciato di morte. Gli estremisti musulmani hanno attaccato i copti che uscivano dalla chiesa di San Giorgio uccidendo tre persone. L’attacco ha scatenato duri scontri fra le due comunità. Ben 104 musulmani arrestati per le violenze sono stati rilasciati poco dopo. Non è un caso i Fratelli musulmani, dopo gli incidenti di Alessandria, abbiano adottato lo slogan «l’islam è la soluzione», nonostante le autorità avessero vietato riferimenti religiosi nelle campagne elettorali.
Lo scorso anno gli allevatori copti si sono scontrati con la polizia nei bassifondi di Manshiyat Nasr al Cairo, contro l’ordinanza che prevedeva la macellazione di 60mila maiali. La scusa era prevenire la febbre suina. I cristiani sono gli unici che allevano i maiali (circa 300mila) e ne mangiano la carne. Il Corano lo proibisce, considerando l’animale impuro.
Nel Paese, i posti chiave nelle forze di sicurezza, in diplomazia e nelle università sono preclusi ai i cristiani. Stesso discorso per i sindaci, ma la discriminazione si fa sentire anche in molti collegi scolastici dove sono imposte quote dell’1 o 2% all’iscrizione dei copti. Il complesso educativo di Al Azhar, al Cairo, finanziato con denaro pubblico e dominato dai Fratelli musulmani, non accetta studenti, amministratori o professori cristiani. Per riparare una chiesa bisogna chiedere un permesso particolare alle autorità e per costruirne una nuova ci vuole il beneplacito del presidente e si può attendere vent’anni per ottenerlo.
La diaspora copta ha denunciato episodi di cristiani torturati dalle forze dell’ordine addirittura con la crocifissione. Si sospettano centinaia di casi di conversioni forzate e di violenza sessuale nei confronti di ragazze cristiane. Spesso fomentati dalle fatwe più estremiste, gli editti emessi dal clero islamico. Lo scorso anno l’associazione Christian solidarity international ha denunciato 25 conversioni forzate.
Le autorità smentiscono o minimizzano, ma il vero problema è l’imposizione burocratica dell’islam. La carta d’identità riporta il credo religioso degli egiziani ed è indispensabile per trovare lavoro, proseguire gli studi e l’accesso ai servizi pubblici. L’avvocato Peter Ramses Al Nagar rappresenta 3.200 cristiani costretti a diventare musulmani. La legge prevede la carta d’identità a 16 anni. Se sei copto devi mostrare un documento della parrocchia. «In molti si sono presentati al ministero dell’Interno con la dichiarazione che dimostra la loro fede cristiana - spiega l’avvocato - I funzionari hanno risposto che dovevano accettare una carta d’identità musulmana, oppure rimanere senza documento». Non solo: i tribunali egiziani stanno prendendo una brutta piega anche sulla questione dei documenti. Accolgono la tesi degli avvocati governativi che sostengono come un ritorno al cristianesimo sia apostasia, punita con la morte dalla legge del Corano.

© Copyright Il Giornale, 8 gennaio 2010



«Il governo non fa niente per allentare le tensioni»

di Rolla Scolari

«In Egitto è evidente la presenza dell’islam politico e fanatico che genera ostilità contro i cristiani e il governo non fa abbastanza per far valere le leggi e arrestare i colpevoli». Così Youssef Sidhom, copto e direttore di al Watani, settimanale cristiano del Paese, spiega la strage di Nagaa Hamadi, villaggio del Sud dell’Egitto, a 64 chilometri dalla turistica Luxor, dove la notte di Natale (i copti celebrano la festività il 7 gennaio), almeno otto fedeli cristiani e un poliziotto musulmano sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco all’uscita della messa di mezzanotte. Sono seguiti scontri tra i cristiani in protesta e le forze di polizia.

Molti cristiani stanno lasciando regioni del Medio Oriente a causa degli attacchi contro le comunità locali. Che cosa succede in Egitto?

«Lo stesso è accaduto in Egitto negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. C’è stata l’emigrazione di massa dei cristiani a causa di ondate di violenza legate all’irrobustirsi del fondamentalismo islamico. Ora, invece, ci sono scontri periodici».

Da cosa deriva il clima d’odio?

«In Egitto è presente un islam politico e fanatico. L’ostilità contro le minoranze cristiani nasce da qui».

Per le autorità, l’attacco di ieri è una vendetta per il presunto stupro di una bimba musulmana da parte di un cristiano, a novembre.

«Non può essere vero. Qualsiasi cosa sia successa a novembre, aveva già innescato violenze. I copti della zona hanno ricevuto una punizione di massa ed è stato abbastanza: le loro case e le loro chiese sono state date alle fiamme (a novembre, nell’area ci sono stati scontri durati cinque giorni tra musulmani e cristiani, ndr). La questione non può certo riaccendersi dopo due mesi. È una scusa utilizzata dalle autorità ed è inaccettabile. E l’attacco è arrivato proprio il 7 gennaio, la data è simbolica: gli spari erano diretti contro la congregazione che celebrava il Natale».

Il governo egiziano cosa fa per diminuire le tensioni?

«Lascia la situazione deteriorarsi. Le forze di sicurezza lanciano segnali sbagliati ogni volta che non implementano le leggi o tardano ad arrestare i colpevoli».

Come dovrebbero dunque agire le autorità per favorire le relazioni interreligiose?

«Potrebbero evitare le ostilità all’origine e implementare le leggi dopo i crimini: fare del loro meglio per arrestare i perpetratori e per raccogliere informazioni. Ma nella maggior parte dei casi i criminali sono rilasciati per mancanza di prove».

C’è dibattito sulla questione nel Paese o è ancora un tabù?

«Sì, ne parlano i mass media governativi ma soprattutto quelli privati. Dopo i violenti fatti di Alessandria nel 2005 (sette chiese furono attaccate e ci furono quattro morti, ndr) ci sono state anche alcune manifestazioni. Ormai l’opinione pubblica egiziana è consapevole della situazione».

© Copyright Il Giornale, 8 gennaio 2010


«L’Italia intende difendere sempre la libertà di culto»

Di «orrore e riprovazione» ha parlato il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, secondo cui la comunità internazionale «non può restare indifferente né deve mai abbassare la guardia di fronte all’intolleranza religiosa», mentre l’Italia «intende continuare a difendere in tutte le sedi il principio della libertà di culto». «Della tutela della comunità copta in quel Paese - ha concluso il ministro Frattini - parlerò personalmente, nel quadro degli eccellenti rapporti di amicizia e cooperazione che ci legano con il mio omologo Ahmed Abul Gheit», in occasione della sua visita in Egitto, al Cairo che avverrà la prossima settimana.

© Copyright Il Giornale, 8 gennaio 2010