GIORGIO PAOLUCCI
P relevata dopo l’uscita dalla scuola mentre stava rientrando nella residenza protetta per minori di Fano dove era ospitata da alcuni mesi. Caricata con la forza su un’auto dopo avere inutilmente tentato di liberarsi. Scomparsa nel nulla, quasi certamente rapita dal padre, forse con l’aiuto di complici, dicono le prime testimonianze.
Diciassette anni, pachistana, la ragazza è una di quelle immigrate di seconda generazione di cui le cronache sono costrette a occuparsi con preoccupante frequenza.
Colpevole di troppe concessioni a certe abitudini di vita all’occidentale. Poco propensa a seguire le rigide prescrizioni imposte dal genitore, che l’aveva punita con una serie di maltrattamenti sfociati in un decreto di allontanamento emanato dal tribunale dei minori di Ancona.
Non accettava – quel padrepadrone descritto come un uomo rigido e violento anche nei confronti della moglie – che sua figlia avesse imboccato una strada diversa da quella che lui aveva programmato. Non voleva arrendersi alla libertà di un’adolescente ammaliata dalle stesse cose che ammaliano le coetanee italiane: un filo di trucco, un paio di jeans, uscire di casa la sera, una cotta per il compagno di classe. Innocenti concessioni ai costumi prevalenti, bollate come inaccettabili trasgressioni, come incrinature di un’identità culturale e religiosa concepita alla stregua di un fortino da preservare a ogni costo dagli attacchi del nemico.
Mentre scriviamo non è dato sapere quale sarà la sorte della giovane, e in cuor nostro cerchiamo di allontanare i brucianti ricordi di altri casi di cui sono state protagoniste e vittime altre ragazze di seconda generazione: il ricordo di Hina, giovane pachistana accoltellata dal padre e dallo zio e sotterrata nel giardino di casa; il ricordo di Sanaa, la marocchina trucidata dal genitore perché era andata a vivere col fidanzato italiano. Storie estreme, a cui si affiancano decine di casi meno cruenti ma non meno indicativi di un’incapacità di tanti, troppi padripadroni di accettare che i figli ( ma soprattutto le figlie) siano diversi da come loro li vogliono.
Sappiamo bene che è sbagliato indulgere a facili generalizzazioni, sappiamo bene che esistono situazioni di segno contrario che non salgono agli onori delle cronache. Ma il ripetersi di episodi simili a quello che si è consumato ieri a Fano ripropone inesorabilmente gli interrogativi di fondo sui processi d’integrazione in atto nel nostro Paese e sul rispetto da tutti dovuto alle leggi e ai valori che stanno a fondamento della convivenza civile. Nessun alibi può essere accordato in nome del ' rispetto delle diversità', nessuna indulgenza a quanti trasformano l’autorità paterna in una prevaricazione che cerca alimento e giustificazione nella tradizione islamica. Il dramma che in queste ore vede protagonista questa giovane ci ricorda quanto sia necessario vigilare sul diffondersi di abitudini di vita ' impermeabili' e spesso ostili all’interno di alcune comunità immigrate, e quanto sia esile il crinale su cui camminano tante ragazze di seconda generazione. Innamorate di libertà innocenti, ma che possono avere un prezzo altissimo. Inaccettabile.
Avvenire 18 gennaio 2010