DAVIDE RONDONI
D ue notizie apparentemente riferite a cose lontane colpiscono in questi giorni. Ieri è stata inaugurata a Dubai la torre grattacielo più alta del mondo. La Burj Khalifa di 828 metri di altezza. Supera di gran lunga le sorelle di Taipei (508) e le Petronas malesi di Kuala Lumpur (452). Figuriamoci di quanto svetta su quei grattacielini oramai mignon che pur ci stupiscono ancora in giro per Manhattan o quelli progettati con gran sussiego a Milano. Però c’è un problema: Dubai è attraversata da una crisi profonda, e la torre che doveva gridarne la potenza economica al mondo diviene un simbolo grottesco (e per metà sfitto, visto che gli appartamenti non son per nulla andati a ruba…). E l’altra notizia, ben approfondita da questo giornale domenica scorsa, riguarda il numero di coloro che sono in Europa a rischio povertà. Una cifra enorme, 78 milioni. A costoro un po’ di riparo viene dai cosiddetti 'ammortizzatori sociali'. E dalla gran carità diffusa tra il popolo.
La gran torre di Dubai è stata lanciata al cielo come segno di potenza. Facevano così già le famiglie medievali nelle nostre città e nei borghi d’Italia. Tra le due torri di Bologna e questa nuova di Dubai corre un filo diretto: manifestazioni di potere e di prestigio. E l’Europa che si sta dotando di organismi politici di governo tesi a farne una potenza unica, scopre di avere così tanti suoi abitanti sulla soglia della povertà. Due potenze che scoprono di non esserlo. O di esserlo molto meno di quanto pensavano. La torre e il povero sono due segni della nostra epoca. Forse i due principali segni della nostra epoca, si potrebbe dire come di ogni epoca. In ogni regno antico c’è stata la costruzione di torri e la plebe piangente. Così in ogni regno moderno e ora anche nella nostra epoca. Che pensa di essere diversa, che ha millantato per tanto tempo d’essere la 'moderna', la 'nuova', la 'più avanzata', e invece si ritrova come le altre: con la torre che evoca un prestigio destinato a passare, e con le folle dei poveri vicino a casa, anzi in casa. C’è qualcosa di vertiginoso nell’accostare questi due segni. Queste due notizie simbolo. Dubai con il suo mercato finanziario e immobiliare che parevano aver inserito il turbo fino a pochi mesi fa, erano visti come la nuova mecca, il futuro. E l’Europa pur tra mille difficoltà raggiungeva lo status di grande realtà politica, con un presidente, un ministro degli esteri (anche se quasi nessun europeo sa come si chiamano). Ma ecco che la grande costruzione economico-finanziaria e la grande architettura politica mostrano la loro debolezza. La loro fragilità.
La torre e il povero. La torre in rovina già all’inaugurazione e il povero che non cessa di rovinare la festa alla corte dei potenti sono il segno anche della nostra epoca. Che non è in definitiva né migliore né peggiore di quelle che i nostri avi si sono trovati a vivere. Che non è più forte solo perché si autodefinisce più moderna. Il problema di ieri è anche il problema di oggi. Come ricorda il grande poeta Eliot: c’è qualcosa che non cambia nella storia degli uomini. Una lotta che non cambia. Tra bene e male, per la quale occorre essere buoni. La torre e il povero stanno ancora lì, come in ogni civiltà a ricordarci di cercare davvero quale è la nostra forza. Il Papa in questi giorni ha parlato di sobrietà e solidarietà. Solo l’uomo che ha una vera forza è capace di sobrietà e di solidarietà. È dei deboli il ricorso al lusso e all’egoismo. Ma allora, in questa nostra epoca ancora sotto il segno della torre e del povero, da dove ci verrà la forza per costruire case per tutti e non totem, e ripari per chi ne ha bisogno? Da dove ci può venire la forza?
Avvenire 5 gennaio 2010