C’è qualcosa di magnifico ma anche di terribile in questo antichissimo canto con cui la Chiesa loda l’Onnipotente e Gli rende grazie in occasione di eventi particolarmente importanti. E quando un anno si conclude. Tanto magnifico e terribile, questo inno, che non hanno osato rinunciarvi neppure i più feroci anticlericali. Napoleone, per esempio, non se ne perse uno, arrivando a minacciare di morte il clero se non gliel’avesse eseguito in pompa magna. Il Piemonte delle leggi eversive metteva in carcere i vescovi che si rifiutavano di intonarlo per protesta. Perfino Garibaldi, il più fanatico dei mangiapreti, pretese il solenne Te Deum, e più di una volta.
Bisogno di ingraziarsi le plebi superstiziose e legate alla religione? Voglia di legittimarsi come «liberatori» e «purificatori» della Chiesa? Sì, c’era anche questo, come nel caso del generale Championnet e la sua pistola puntata alla testa dell’arcivescovo di Napoli affinché il sangue di San Gennaro si sciogliesse pure davanti agli invasori francesi. Ma nessuno mi toglie dalla capoccia che c’era anche un fondo di ancestrale terrore del divino, una di quelle emozioni che niente come la musica è capace di far salire dal profondo dello stomaco.
E, tra i canti sacri della tradizione cristiana, se ce n’è uno in grado di far tremare il cuore è il possente Te Deum. Quelle note, sgorgate nella magnificenza del gregoriano, in qualche modo evocano il Giudizio, la sentenza finale di quel Maestro che, scaduto il tempo, ritira il compito e lo valuta: sufficiente o insufficiente. La vita è infatti un compito, anche se molti cercano di convincerci che sia solo un giocattolo (il quale, se ti va bene ci giochi, sennò lo butti via). E la valutazione finale, senza possibilità di appello, prevede una sola alternativa di voto: buono, non buono. Uniamoci anche noi, nel finale di quest’anno, al canto di ringraziamento che la Chiesa eleva da sempre al suo Creatore. Uniamoci anche se siamo stonati. Anche se quest’anno non è stato dei migliori, perché il Signore non permetta di peggio (al quale, com’è noto, non c’è mai fine). Finché non si realizzi la Beata Speranza e venga, finalmente, il Suo Regno.
Te Deum laudámus: / te Dóminum confitémur. Te ætérnum Patrem, / omnis terra venerátur. Tibi omnes ángeli, / tibi cæli et univérsæ potestátes: tibi chérubim et séraphim / incessábili voce proclamant: Sanctus, / Sanctus, / Sanctus / Dóminus Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra / maiestátis glóriæ tuae. Te gloriósus / Apostolórum chorus, te prophetárum / laudábilis númerus, te mártyrum candidátus / laudat exércitus. Te per orbem terrárum / sancta confitétur Ecclésia, Patrem / imménsæ maiestátis; venerándum tuum verum / et únicum Fílium; Sanctum quoque / Paráclitum Spíritum. Tu rex glóriæ, / Christe. Tu Patris / sempitérnus es Filius. Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, / non horruísti Virginis úterum. Tu, devícto mortis acúleo, / aperuísti credéntibus regna cælórum. Tu ad déxteram Dei sedes, / in glória Patris. Iudex créderis / esse ventúrus. Te ergo, quæsumus, tuis fámulis súbveni, / quos pretióso sánguine redemísti. ætérna fac cum sanctis tuis / in glória numerári. Salvum fac pópulum tuum, Dómine, / et bénedic hereditáti tuæ. Et rege eos, / et extólle illos usque in ætérnum. Per síngulos dies / benedícimus te; et laudámus nomen tuum in sæculum, / et in sæculum sæculi. Dignáre, Dómine, die isto / sine peccáto nos custodíre. Miserére nostri, Dómine, / miserére nostri. Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, / quemádmodum sperávimus in te. In te, Dómine, sperávi: / non confúndar in ætérnum. http://www.ilsussidiario.net/