DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi
Ancora su Ipazia. Di Rino Cammilleri
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Ipazia la «martire» usata come clava contro i cristiani. In barba alla storia. di Rino Cammilleri
Ipazia, scienziata bella e giovine, trucidata dai cristiani su ordine del vescovo Cirillo ad Alessandria nell’anno 415: questo il mito politicamente corretto. Intanto avvertiamo che prima di Voltaire (1736) Ipazia non se la filava nessuno; sono i philosophes a trarla dall’armadio dei secoli per metterla in quello degli «scheletri» della Chiesa. Nel secolo dei romantici Ipazia diventa la rappresentante del mondo pagano (visto come dorato e tollerante, dove si viveva in armonia con la natura e i suoi dèi) uccisa dal fanatismo monoteista. Nel Novecento eccola proto-femminista contro la «misoginia» cattolica.
Ebbene, in Alessandria tutti sapevano che eminenza grigia di Oreste era la vecchia Ipazia. Nel partito favorevole a Cirillo c’era un gruppo che il santo a stento riusciva a tenere a bada, i famigerati «parabolani», così chiamati dal nome dei gladiatori contra leones aboliti molto tempo prima da Teodosio. Si aggiunga che nella testa del popolino - e nelle dicerie - gli insegnamenti misterici di Ipazia, di cui nulla trapelava, erano diventati chissà quali pratiche di magia nera. Finì che la lettiga con cui gli schiavi portavano Ipazia a spasso venne assalita e lei linciata. Cirillo e Oreste, che non pensavano che le cose sarebbero trascese a tal punto, rimasero così impressionati da affrettarsi a far pace. Oreste, cui l’ordine pubblico era sfuggito di mano, lasciò la città. Rimase san Cirillo con la patata bollente in mano.
L’esercito degli elefanti vendicatori che radono al suolo i villaggi indù. di Rino Cammilleri
Nel luglio di due anni fa, nello stato indiano dell’Orissa, un pogrom di fondamentalisti indù contro i cristiani locali causò la morte di oltre cinquecento persone. Pare proprio che la difesa di questa gente abbandonata e perseguitata dagli uomini sia stata ora assunta direttamente dal Cielo, attraverso un mezzo inusuale…
di Rino Cammilleri
Sul sito dell'Arcidiocesi di Colombo (Sri Lanka) è comparsa una curiosa notizia (ringrazio la rivista «Il Cedro» per avermela segnalata) riguardante lo stato indiano dell'Orissa. Ricordate? Nel luglio di due anni fa un pogrom di fondamentalisti indù contro i cristiani locali causò la morte di oltre cinquecento persone. In quell'occasione una giovane suora venne bruciata viva, un'altra fu violentata, mentre le chiese e le case dei cristiani venivano distrutte. I fanatici se la presero anche con l'orfanotrofio di Khuntpali, cui fu appiccato il fuoco. Anche le bombe vennero usate: un centro pastorale fu raso al suolo così. Oltre ai morti, il risultato furono migliaia di feriti e un numero impressionante di gente rimasta senza casa.
Ma la furia anticristiana in quei luoghi non si è mai fermata del tutto. Anzi, sono più di dieci anni che va avanti; quello del luglio 2008 è stato solo il massacro più cospicuo. Le autorità hanno deprecato, sì, gli episodi ma in pratica sono state a guardare, anche perché il partito dei nazionalisti indù ha un ruolo non indifferente nella politica indiana. Il cristianesimo è molto diffuso specialmente nella casta più bassa, quella dei dalit, e nelle popolazioni tribali che in Orissa sono numerose. Tra costoro le riconversioni forzate all'induismo sono ormai all'ordine del giorno, anche perché il cristianesimo, con le sue scuole e la sua dottrina della dignità umana, ha insegnato, a gente abituata da sempre a subire e ubbidire, a reagire ai soprusi e a difendersi nei tribunali.
Ed ecco la notizia: pare proprio che la difesa di questa gente abbandonata e perseguitata dagli uomini sia stata assunta direttamente dal Cielo. Sì, perché in India l'elefante gode della stessa sacralità delle vacche. Ebbene, branchi di elefanti selvaggi hanno preso ad attaccare i villaggi dove risiedono i responsabili dei pogrom del 2008, distruggendo ogni cosa. Direte che, in India, non c'è niente di particolarmente strano in ciò: può essere che un elefante selvatico perda la testa. Il fatto è che il primo attacco (già, perché sono stati più d'uno) si è verificato nel luglio 2009, nello stesso giorno e nella stessa ora in cui l'anno prima era partito il pogrom. Uno dei caporioni della pulizia etnica a danno dei cristiani ha visto la sua azienda rasa al suolo, poi è toccato alla sua casa e alle sue fattorie, con un'operazione mirata che ha colpito solo lui. Da quel momento, i villaggi degli induisti non hanno avuto più pace. Quando meno se l'aspettano, ecco spuntare dalla foresta un branco di elefanti imbizzarriti che calpestano ogni cosa. Nell'Orissa sono ormai migliaia le persone che hanno dovuto darsi alla fuga nei campi (ora tocca a loro). Nel distretto di Kandhamal (dove una suora ha subìto uno stupro di gruppo) in sette sono stati uccisi e moltissimi sono rimasti feriti dagli elefanti.
A tutt'oggi sono quarantacinque i villaggi che hanno dovuto sopportare la furia degli elefanti. L'inglese Bbc, nel commentare questi fatti, ha chiarito che in India non è affatto raro che bestie selvatiche entrino nei centri abitati e facciano danni o vittime. Ma gli elefanti distruttori del Kandhamal si sono fatti ben trecento chilometri dalla loro riserva di Lakheri per andare a distruggere le case degli induisti, lasciando in pace quelle dei cristiani. Gli abitanti di quei luoghi sono unanimi nel dire che non hanno mai visto niente di simile. Adesso vivono nella paura di quelli che ormai tutti chiamano gli "elefanti cristiani", mandati dal Cielo a vendicare il sangue dei martiri. In parecchi villaggi sono state edificate barriere anti-elefanti, con blocchi stradali e vedette. Ma gli elefanti continuano con i loro attacchi a sorpresa e mirati. Sono ormai più di settecento le case abbattute da questi bestioni, e innumerevoli le coltivazioni devastate. Nessuno sa spiegare razionalmente perché quei bestioni scelgano accuratamente le loro prede tra quelli che hanno preso parte alla grande mattanza di cristiani. Gli animali vengono dalle riserve del Bihar, di Chattisgarh, di Jharkland, lasciano il loro habitat naturale per andare a compiere la vendetta nell'Orissa. E con una tattica precisa: mandano in avanscoperta i piccoli, poi si radunano e attaccano. I funzionari governativi incaricati della fauna selvatica allargano le braccia. L'unica cosa che si sa per certo è che gli elefanti hanno la memoria lunga.
Il Giornale venerdì 16 aprile 2010
Pedofilia. Di Rino Cammilleri
Sulla rassegna «I segni dei tempi» ho trovato questo articolo di Olavo de Carvalho, uscito su «O Globo» il 27 aprile 2002 e tradotto. Merita riportarlo quasi integralmente. «In Grecia e nell’Impero Romano l’uso di minori per la gratificazione sessuale degli adulti era una pratica tollerata e persino apprezzata. In Cina, i bambini castrati erano venduti a ricchi pedofili e questo è stato un commercio legittimo per millenni. Nel mondo islamico, la morale rigida che regola i rapporti tra uomini e donne sono spesso compensati dalla tolleranza circa la pedofilia omosessuale. In alcuni Paesi si è protratta almeno fino all’inizio del XX secolo, rendendo l’Algeria, per esempio, un giardino di delizie per i viaggiatori depravati (leggere le memorie di André Gide, Si le grain ne meurt). In tutti quei luoghi dove la pratica della pedofilia decadde, fu per l’influenza del cristianesimo – e praticamente solo per essa – che ha liberato i bambini da quel terribile giogo. Ma che ha pagato un pedaggio. È stata come una corrente sotterranea di odio e di risentimento che ha attraversato due millenni di storia, aspettando il momento della vendetta. Quel momento è arrivato. Il movimento di induzione alla pedofilia inizia con Sigmund Freud quando crea una versione caricaturale erotizzata dei primi anni di vita, una storia assorbita facilmente dalla cultura del secolo. Da allora la vita familiare, nell’immaginario occidentale, è sempre più stata vista come una pentola a pressione di desideri repressi. (…) Il potenziale politico esplosivo di questa idea è immediatamente utilizzato da Wilhelm Reich, psichiatra comunista che organizza in Germania un movimento per “liberazione sessuale dei giovani”, poi trasferito negli Stati Uniti, dove arriva a costituire, probabilmente, l’idea guida principale per la rivolta degli studenti negli anni ‘60. Nel frattempo, il Rapporto Kinsey, che ora sappiamo essere stato una frode in piena regola, distrugge l’immagine di rispettabilità dei genitori, presentandoli alle nuove generazioni come ipocriti malati o come occulti libertini sessuali.
L’arrivo della pillola e dei preservativi, che i governi stanno cominciando a distribuire allegramente nelle scuole, suona come il tocco di liberazione generale dell’erotismo dei bambini e degli adolescenti. Da allora l’erotizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza si propaga dai circoli accademici e letterari alla cultura delle classi medie e basse attraverso innumerevoli film, spettacoli televisivi, “gruppi di incontro”, corsi sulla pianificazione familiare, annunci e tutto il resto. L’educazione sessuale nelle scuole diventa un incentivo diretto ai bambini e ai giovani a praticare ciò che vedono nei film e in televisione. Ma fin qui la legittimazione della pedofilia è solo insinuata, nascosta, in mezzo a rivendicazioni che la includono come conseguenza implicita. (…) Uno degli autori del Rapporto Kinsey, Wardell Pomeroy, pontifica che l’incesto “spesso può essere utile”.
Con il pretesto della lotta contro la discriminazione, i rappresentanti del movimento gay sono autorizzati a insegnare nelle scuole elementari i benefici della pratica omosessuale. Chiunque vi si opponga è stigmatizzato, perseguitato, licenziato. (…) È impensabile che una rivoluzione mentale tanto ampia, che si è diffusa in tutta la società, miracolosamente non influenzi una parte speciale del pubblico: i sacerdoti e seminaristi. Nel loro caso si è sommato alla pressione esterna uno stimolo speciale, ben calcolato per agire dall’interno. In un libro recente, Goodbye, Good Men, il corrispondente americano Michael S. Rose mostra che da tre decenni organizzazioni gay statunitensi stanno infiltrando loro membri nei dipartimenti di psicologia dei seminari per ostacolare l’ingresso dei candidati vocazionalmente forti e motivati per forzare l’ingresso massivo di omosessuali nel clero. (…) Molestati e sabotati, confusi e indotti, è inevitabile che prima o poi, molti sacerdoti e seminaristi finiscano per cedere al generale degrado nei confronti di bambini e adolescenti. E quando ciò accade, tutti gli esponenti della cultura moderna “liberata”, l’intero establishment “progressista”, tutti i media “avanzati”, in breve, tutte le forze che per cento anni sono andati spogliando i bambini dell’aura protettiva del cristianesimo per consegnarli alla cupidigia degli adulti cattivi, improvvisamente si rallegrano, perché hanno trovato un innocente sul quale scaricare la loro colpa. Cento anni di cultura pedofila, all’improvviso, sono assolti, puliti, riscattati davanti all’Onnipotente: l’unico colpevole di tutto è … il celibato sacerdotale! Il cristianesimo deve pagare adesso per tutto il male che ha impedito loro di fare. (…) Mai la teoria di René Girard sulla persecuzione del capro espiatorio come soluzione per il ripristino delle unità illusoria di una collettività in crisi, ha trovato una conferma così evidente, così ovvia, così universale e allo stesso tempo. (…)».
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RWANDA. Di Rino Cammilleri
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Ipazia, fra storia e mito anticattolico. .Ma la "verità" della pellicola non è la "verità storica". Di Rino Cammilleri
I cercatori professionisti di scheletri nell'armadio cristiano ogni tanto tirano fuori l'episodio e, ovviamente, lo adattano al politicamente corretto corrente. Fino all'Illuminismo nessuno sapeva neanche chi fosse, questa Ipazia. Poi, il positivista John Toland nel 1720 e il solito Voltaire nel 1736 aprono le danze sulla progressista Ipazia vittima dell'oscurantismo clericale. Nel 1776 l'inglese Edward Gibbon consolida il mito nella sua celebre opera sulla caduta (per colpa del cristianesimo) dell'Impero romano. Nel secolo seguente tocca ai romantici: Ipazia è bellissima ed è l'ultima rappresentante dei mondo antico (dipinto come un'arcadia tutta ninfe, zefiri, pastorelle e satiri) trucidata dal fanatismo papista. Naturalmente, nel Novecento, Ipazia, veterofemminista, diventa la preda della misoginia cattolica. L'unica voce un po' fuori coro è quella di Mario Luzi, che le dedica un dramma nel 1978. Adesso, il film (e il cinema, forma di arte totale, si imprime nelle menti con una forza che la parola scritta neanche si sogna la scienza contro la religione, la tolleranza contro il fideismo. E indovinate chi sono i buoni e chi i cattivi. Roba da Odifreddi. Dunque, rassegnamoci al solito minestrone politicamente corretto. E non contate su una cinematografia contraria perchè non esiste: Martinelli e il suo Barbarossa sono stati presentati come “leghisti” su tutti i media, così che il pubblico è rimasto a casa.
Coi nostri limitati mezzi, dunque, ecco la verità sul «caso, Ipazia». Innanzitutto bellissima lo sarà stata forse, da giovane, visto che nel 415 la filosofa aveva sui sessant'anni (in un'epoca in cui già a quaranta pochi avevano ancora denti in bocca). Il suo fu un omicidio politico e la religione non c'entrava affatto. lpazia, figlia di un filosofo - Teone - molto addentro nell'ermetismo e nell'orfismo, era una neoplatonica che teneva scuola ad Alessandria. Una scuola tra le tante, in quella capitale della cultura antica. La parola “scuole” non deve trarre in inganno: si trattava di cenacoli per selezionati adepti. Di lei non è rimasta alcuna opera. Quel che si sa lo si deve ai suoi discepoli. Tra i quali c'erano parecchi cristiani. Uno di questi, Sinesio di Cirene, divenne addirittura vescovo. Secondo il metodo platonico (derivato a sua volta da quello pitagorico) i discepoli apprendevano «misteri» che non dovevano essere divulgati, perchè non tutti erano in grado di comprendere. Ipazia non era affatto pagana nel senso di adoratrice di Giove, Giunone e Mercurio; anzi, come neoplatonica era più vicina al cristianesimo che al paganesimo. Infatti, lodava virtù come la verginità (non si sposò mai) e la modestia nel vestire. Ma, come i pitagorici e i platonici, sosteneva che i filosofi, essendo i più sapienti, Dovevano occuparsi di politica, anche solo come consiglieri del principe. Infatti, ai suoi consigli ricorreva spesso il cristiano Oreste, prefetto di Alessandria. Oreste, da buon funzionario bizantino, aveva la classica visione cesaropapista dei rapporti con l'autorità religiosa, mentre il patriarca Cirillo cercava di salvaguardare l'in- pendenza della Chiesa rispetto al potere politico. Nel 414 il contrasto tra i due divenne plateale; Cirillo cercò un compromesso ma Oreste rimase fermo sulle sue posizioni. Si formarono, al solito, due partiti (cosa normalissima nell'antichità; S. Ambrogio di Milano ne sapeva qualcosa). Tra i partigiani del patriarca, però, c'erano i cosiddetti parabolani, cristiani in odore di eresia per la loro ricerca fanatica del martirio: si consacravano con giuramento alla cura degli appestati, sperando in tal modo di morire per Cristo. Li chiamavano così in ricordo degli antichi gladiatori (aboliti da Teodosio) che affrontavano i leoni nel circo. Cirillo cercava di tenerli sotto il suo controllo ma la città era turbolenta: nel 361 un vescovo imposto da Costantinopoli, Giorgio di Cappadocia, era stato linciato; sette anni dopo la morte di lpazia stessa sorte era toccata al nuovo prefetto; nel 457 venne ucciso a furor di popolo un altro vescovo di nomina imperiale, Proterio. Fu in questo ambiente e in questo clima che la colpa dell'intransigenza di Oreste venne attribuita a lpazia e ai suoi consigli. Si sparse la voce che i «misteri» della sua scuola riguardavano pratiche magiche e negromantiche. La donna venne assalita da un gruppo di esagitati mentre gli schiavi la portavano a passeggio in lettiga, tirata giù e trucidata. Oreste e Cirillo, messi di fronte al fatto compiuto (e impressionati dalla piega che aveva preso la loro disputa), si riconciliarono. Il prefetto lasciò Alessandria, forse per fare rapporto alla capitale; comunque, forse sostituito, non tornò più. Un'altra cosa da chiarire: Cirillo non aveva niente contro il paganesimo, sia perchè ormai minoritario e praticamente ininfluente, sia perchè la sua preoccupazione principale era costituita, semmai, dalle eresie cristiane, che a quel tempo spuntavano al ritmo di quasi una al giorno. Solo anni dopo, con l'avvento di Giuliano l'Apostata, prese la penna per contrastare il tentativo - tutto politico - dell'imperatore di ripristinare l'antica religione civile romana. Il neoplatonismo, col suo desiderio di attingere il divino tramite la filosofia e la pratica delle virtù, continuò ad avere la città di Alessandria come suo centro fino all'invasione islamica. Tra l'altro, quest'ultima fu enormemente facilitata dall'astio accumulato dall'Africa romana contro Bisanzio, la sua gravosa tassazione (in parte giustificata dalle guerre quasi continue contro i persiani, i bulgari, gli avari e infine gli arabi) e la sua politica della mano pesante contro le eresie (che in quelle zone avevano sempre trovato terreno fertile).
Naturalmente, ai cantori del politicamente corretto (il quale, come abbiamo visto, varia di epoca in epoca) tutto questo non interessa. Così, il mondo pagano viene immaginato (e rappresentato) come un'epoca d'oro di scienza e tolleranza, dove la gente viveva in armonia con la natura, un mondo che, ahimé, è stato distrutto dalle religioni monoteistiche, in particolare l'odiato cristianesimo. Quel mondo in realtà disperato in cui pochi campavano alle spalle di milioni di schiavi, sconvolto continuamente da guerre scatenate dalla personale ambizione di uno, quel mondo che accolse con sollievo la religione dell'amore del prossimo e della dignità umana, non è mai esistito per gli intellettuali, gli artisti, i registi e gli scrittori che, fiutato dove tira il vento, si allineano supini al Potere del momento. I milioni di martiri cristiani? Se la sono cercata e se la cercano. I cristiani sono cattivi perchè hanno ucciso Ipazia, così come gli statunitensi fanno schifo perchè hanno ammazzato Toro Seduto. In effetti, Hitler e Stalin erano battezzati, non si può negarlo. Anche Robespierre. È strano che non siano stati ancora messi tra gli scheletri nell'armadio della Chiesa cattolica. Eh, il Papa dovrebbe chiedere scusa...
Di Rino Cammilleri -
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SESSO. Di Rino Cammilleri
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TE DEUM/ Quell’inno che faceva tremare il cuore anche ai "mangiapreti" Napoleone e Garibaldi
C’è qualcosa di magnifico ma anche di terribile in questo antichissimo canto con cui la Chiesa loda l’Onnipotente e Gli rende grazie in occasione di eventi particolarmente importanti. E quando un anno si conclude. Tanto magnifico e terribile, questo inno, che non hanno osato rinunciarvi neppure i più feroci anticlericali. Napoleone, per esempio, non se ne perse uno, arrivando a minacciare di morte il clero se non gliel’avesse eseguito in pompa magna. Il Piemonte delle leggi eversive metteva in carcere i vescovi che si rifiutavano di intonarlo per protesta. Perfino Garibaldi, il più fanatico dei mangiapreti, pretese il solenne Te Deum, e più di una volta.
Bisogno di ingraziarsi le plebi superstiziose e legate alla religione? Voglia di legittimarsi come «liberatori» e «purificatori» della Chiesa? Sì, c’era anche questo, come nel caso del generale Championnet e la sua pistola puntata alla testa dell’arcivescovo di Napoli affinché il sangue di San Gennaro si sciogliesse pure davanti agli invasori francesi. Ma nessuno mi toglie dalla capoccia che c’era anche un fondo di ancestrale terrore del divino, una di quelle emozioni che niente come la musica è capace di far salire dal profondo dello stomaco.
E, tra i canti sacri della tradizione cristiana, se ce n’è uno in grado di far tremare il cuore è il possente Te Deum. Quelle note, sgorgate nella magnificenza del gregoriano, in qualche modo evocano il Giudizio, la sentenza finale di quel Maestro che, scaduto il tempo, ritira il compito e lo valuta: sufficiente o insufficiente. La vita è infatti un compito, anche se molti cercano di convincerci che sia solo un giocattolo (il quale, se ti va bene ci giochi, sennò lo butti via). E la valutazione finale, senza possibilità di appello, prevede una sola alternativa di voto: buono, non buono. Uniamoci anche noi, nel finale di quest’anno, al canto di ringraziamento che la Chiesa eleva da sempre al suo Creatore. Uniamoci anche se siamo stonati. Anche se quest’anno non è stato dei migliori, perché il Signore non permetta di peggio (al quale, com’è noto, non c’è mai fine). Finché non si realizzi la Beata Speranza e venga, finalmente, il Suo Regno.
Te Deum laudámus: / te Dóminum confitémur. Te ætérnum Patrem, / omnis terra venerátur. Tibi omnes ángeli, / tibi cæli et univérsæ potestátes: tibi chérubim et séraphim / incessábili voce proclamant: Sanctus, / Sanctus, / Sanctus / Dóminus Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra / maiestátis glóriæ tuae. Te gloriósus / Apostolórum chorus, te prophetárum / laudábilis númerus, te mártyrum candidátus / laudat exércitus. Te per orbem terrárum / sancta confitétur Ecclésia, Patrem / imménsæ maiestátis; venerándum tuum verum / et únicum Fílium; Sanctum quoque / Paráclitum Spíritum. Tu rex glóriæ, / Christe. Tu Patris / sempitérnus es Filius. Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, / non horruísti Virginis úterum. Tu, devícto mortis acúleo, / aperuísti credéntibus regna cælórum. Tu ad déxteram Dei sedes, / in glória Patris. Iudex créderis / esse ventúrus. Te ergo, quæsumus, tuis fámulis súbveni, / quos pretióso sánguine redemísti. ætérna fac cum sanctis tuis / in glória numerári. Salvum fac pópulum tuum, Dómine, / et bénedic hereditáti tuæ. Et rege eos, / et extólle illos usque in ætérnum. Per síngulos dies / benedícimus te; et laudámus nomen tuum in sæculum, / et in sæculum sæculi. Dignáre, Dómine, die isto / sine peccáto nos custodíre. Miserére nostri, Dómine, / miserére nostri. Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, / quemádmodum sperávimus in te. In te, Dómine, sperávi: / non confúndar in ætérnum. http://www.ilsussidiario.net/
Lenin. Il denaro e la massoneria dietro la Rivoluzione russa
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E se Dio fosse un alieno?
Dal momento che non sono pochi quelli che ci credono, è lecito chiedersi se quel che chiamiamo «Dio» non sia per caso una civiltà di extraterrestri dalla quale la razza umana in qualche modo discende. Certo, si potrà subito obiettare che, anche se così fosse, il problema sarebbe solo spostato. Si potrebbe infatti altrettanto legittimamente domandare chi ha creato gli extraterrestri.
Gli Ufo sono un vero e proprio mito dei nostri tempi, talmente incoraggiato dai media da aver creato un'industria nei centri abitati vicini alla famosa «Area 51» nel deserto del Nevada, dove il governo degli Stati Uniti avrebbe condotto - dice una consolidata leggenda metropolitana - degli esperimenti segreti su un disco volante schiantatosi, carico di alieni, da quelle parti. Si potrebbe cominciare col chiedersi perché questi alieni atterrino quasi sempre negli Stati Uniti, dal momento che è là che più si addensano le «tracce» e gli «incontri ravvicinati». Un'altra osservazione da fare è la seguente: molti scienziati, se intervistati sul tema dichiarano che sarebbe arrogante pensare che, in un universo così vasto e per la maggior parte sconosciuto, la razza umana sia sola. Tuttavia, questo modo di ragionare non è che un atto di fede, un auspicio che non c'è bisogno di essere scienziati per formulare. Ora, quantunque l'argomento abbia alimentato e continui ad alimentare la letteratura fantascientifica e sia dichiarato, appunto, «fantascienza» tout court da altrettanti scienziati, è bene sapere che il massimo scrittore di fantascienza di tutti i tempi, l'ebreo russo naturalizzato americano Isaac Asimov, agli extraterrestri non credeva.
Isaac Asimov, ateo e scientista (scrisse anche un paio di opere per «confutare» la Bibbia alla luce delle scoperte scientifiche), chiedeva prove. Non visioni, non racconti, non testimonianze, ma solide e tangibili prove... Invece non c'è niente. Nessuno, in tutti questi anni, è stato in grado di mostrare uno straccio di quel che la scienza chiama prova. In più, si dilungava ad analizzare la pretesa mentalità aliena, concludendo che il comportamento di questi ultimi, se esistevano, era troppo irrazionale per essere preso sul serio. Infatti, che cosa vogliono? Cercano un contatto? Allora perché sfuggono continuamente? Intendono studiarci restando nascosti? Allora perché si mostrano continuamente?
Altro mito destituito di fondamento: gli alieni sono buoni. Anzi, migliori di noi; la loro evoluzione li ha condotti a perfetta bontà. Chissà perché la nostra ci ha lasciati cattivi come Caino. Anzi, misti, come Caino e Abele (con la solita prevalenza del primo). Le leggi dell'evoluzione variano da pianeta a pianeta? O gli alieni sono tutti convertiti a una filosofia della bontà, una specie di cristianesimo seguito da tutta una razza? Ma perché, allora, il cristianesimo ha mostrato i suoi limiti solo sulla Terra? Ma la pista religiosa collide con quella scientifica, l'unica per la quale gli alieni sono ammirati. La loro potrebbe benissimo essere una razza idolatrica, teocratica e dispotica. Lo schiavismo totalitario e organizzato potrebbe aver permesso loro il balzo in avanti tecnologico. Ma, se le cose stanno così, bisognerebbe piuttosto temerli, gli alieni, e attrezzarsi per un'eventuale invasione come si pensava nei vecchi film degli anni '50 (che la propaganda liberal ci ha fatto credere essere metafore del timore del comunismo).
Che dire, poi, della religione? Non è pensabile che una razza senziente così avanzata possa non porsi il problema. I cristiani dovrebbero pensare a un'altra Incarnazione, avvenuta, questa, su Antares? O gli alieni sarebbero anch'essi bisognosi di evangelizzazione come furono gli indios americani scoperti da Colombo? No, la tecnologia richiede un fondamento cristiano, una mentalità per la quale il creato va sottoposto a dominio, studiato ed esplorato. Ci vuole una mentalità che nobiliti il lavoro e la ricerca scientifica, che possa contare sul libero sforzo di tutti, donne comprese. Perché la scienza si concentri sulla tecnologia occorre un Galileo, il quale era credente e agiva in un milieu cristiano...
r.cammilleri ilgiornale
Eroismo e sangue nella terra degli shogun. "Il crocifisso del samurai" di Rino Cammilleri, un 0maggio al cristianesimo giapponese
Tratto da L'Osservatore Romano del 4 novembre 2009
"Anche i miei antenati, dal diciassettesimo secolo fino a oltre la metà dell'Ottocento, dovettero nascondersi sulle colline intorno a Nagasaki insieme a pochi altri scampati alle persecuzioni anticristiane". L'arcivescovo di Nagasaki Joseph Mitsuaki Takami parla dei suoi avi cattolici; l'intervista risale a un paio di anni fa, nell'imminenza della grande cerimonia di beatificazione dei 188 martiri giapponesi che si è svolta a Nagasaki il 24 novembre 2007.
"Erano arrivati nella zona di Nagasaki diversi anni prima della rivolta di Shibara (1638) fuggendo da Sendai - continua Takami - Avevano attraversato a piedi da nord a sud l'Onshu, la maggiore isola dell'arcipelago nipponico. Avevano intrapreso questo viaggio lungo e pericoloso per sfuggire alla persecuzione di Masamune. Il daimyo di Sendai aveva infatti iniziato a perseguitare i cristiani nel suo feudo. Masamune, dopo il fallimento dell'ambasceria del suo inviato Hasekura Tsunenaga presso Filippo iii re di Spagna e il Papa Paolo v nel 1615, da grande protettore del missionario padre Sotelo era diventato un persecutore della fede allineandosi alla politica anticristiana di Tokugawa Ieyasu, lo shogun di Edo".
Colpito dal racconto dell'arcivescovo Takami, chi scrive volle visitare qualche mese dopo i musei dell'arcipelago di Amakusa nel Kyushu, Giappone meridionale, che conservano gli oggetti di culto dei Kakure Kirishitan, ovvero i cristiani che si nascondevano per sfuggire alle persecuzioni.
Si potrebbe pensare che, tuttavia, quest'argomento possa interessare al massimo gli esperti della storia del cristianesimo in Giappone. Si resta, quindi, molto sorpresi per la pubblicazione dell'ultimo libro di Rino Cammilleri, Il crocifisso del samurai (Milano, Rizzoli, 2009, pagine 280, euro 18, 50). La sorpresa sta nel fatto che non è un libro di storia, ma un romanzo, come sottolinea l'autore. Tuttavia l'azione si svolge in contesti storici descritti con accurati dettagli e questo consente al lettore, anche al meno esperto di storia del Giappone, di seguire le vicende dei protagonisti che agiscono in diverse epoche.
Il primo capitolo del libro porta il lettore nell'agosto del 1549, quando una giunca cinese approda nel porto di Kagoshima. A bordo dell'imbarcazione ci sono tre religiosi cattolici: Francisco Xavier - Francesco Saverio - Cosme de Torres e Juan Fernández. In quell'epoca il governo del Giappone era nelle mani di Toyotomi Hideyoshi che aveva assoggettato i feudatari ribelli e costretto l'imperatore in un ruolo puramente rappresentativo, quasi prigioniero nel palazzo di Kyoto.
La missione di Xavier in Giappone fu breve; dopo appena tre anni dovette partire per la Cina perché gravemente ammalato. Tuttavia fu il primo evangelizzatore in un Paese dove il cristianesimo trovò molti seguaci e il numero dei credenti salì in breve fino a trecentomila.
Nel secondo capitolo un altro balzo nel tempo e nello spazio e il racconto si sposta al 17 marzo del 1865 quando a Nagasaki il sacerdote francese Bernard Petitjean, membro della Société des Missions Etrangères, viene per la prima volta avvicinato da alcune contadine giapponesi che abitano a Urakami, un villaggio sulle alture che circondano il grande porto del Giappone meridionale.
Al missionario il Governo giapponese aveva da poco concesso di aprire una piccola chiesa a Nagasaki, dopo oltre duecento anni di Sakoku (1638-1853), ovvero la chiusura totale della nazione agli stranieri. Secondo le norme, il luogo di culto cattolico era aperto solo agli occidentali residenti o di passaggio nella città portuale mentre per i locali vigeva il divieto assoluto di accedervi.
Le donne sfidano il divieto e chiedono a padre Bernard di mostrare l'immagine della Vergine Maria. Gli domandano inoltre se fosse celibe oppure sposato e, infine, se fosse un prete obbediente al Papa di Roma. Dopo essersi convinte che padre Petitjean era effettivamente un sacerdote cattolico, gli svelano il loro segreto custodito per oltre due secoli: "Il nostro cuore è come il tuo".
Terzo capitolo e terza ambientazione temporale: il racconto è collocato in un tempo antecedente a padre Petitjean di oltre due secoli, durante l'inverno del 1637. Qui Cammilleri inizia a descrivere la rivolta dei cristiani della penisola di Shimabara contro il governatore di Nagasaki, il rinnegato cristiano Terazawa Hirotaka, e contro il daimyo di Shimabara, Matsukura Shigeharu.
Chi racconta questi avvenimenti remoti è l'abitante più anziano di Urakami che, ormai prossimo alla fine, vuole tramandare al sacerdote cattolico quanto lui ha appreso da suo padre che a sua volta ricevette questo racconto dal nonno.
In questa parte del libro è il romanzo che si innesta nella storia: alcuni personaggi sono frutto dell'abilità di Cammilleri mentre altri hanno un effettivo riscontro storico anche se i tratti del loro carattere risentono del tocco dello scrittore. Tra questi il giovane Amakusa Shiro che, appena sedicenne, diviene la guida spirituale dei ribelli affiancato però da alcuni esperti samurai cristiani che decidono le strategie militari. La grande maggioranza dei ribelli erano tuttavia anonimi contadini a cui l'autore dà invece volto e nome. Per Cammilleri, non tutti i cristiani assediati nel castello di Hara perirono tra le fiamme che avvolsero l'edificio al termine dell'impari battaglia. Tra i pochi sopravvissuti, una giovane coppia, Yumiko e Kato, riuscì a fuggire e a raggiungere via mare la comunità di Urakami. Ed è proprio uno dei loro pronipoti il personaggio dell'anziano che trasmette la memoria della rivolta al missionario francese.
Per quei Kirishitan di Nagasaki l'insegnamento del Vangelo, a distanza di circa tre secoli, era ancora quello impartito da padre Xavier al suo arrivo nel Kyushu nel 1545. Pur avendo anticipato il finale - Cammilleri perdoni l'indelicatezza - vale veramente la pena leggere questo libro che ha il pregio di fornire un quadro accurato di un periodo della storia del Giappone tra i più interessanti e tra i meno conosciuti. La ribellione di Shibara nacque certamente come moto di protesta per le angherie alle quali i contadini erano sottoposti da parte dei gabellieri del daimyo, tuttavia la ribellione ben presto assunse contenuti religiosi e politici.
Per porre fine alla rivolta, gli assediati del castello di Hara chiesero allo shogun Togugawa Iemitsu una cosa per lui pericolosa da concedere: la libertà del culto di Cristo. Perché in un Paese dove per secoli i seguaci di religioni diverse come shintoismo, buddhismo e confucianesimo erano convissuti in modo sufficientemente pacifico, ai cristiani veniva negato quanto agli altri era invece concesso? Il primo editto contro i cattolici venne pubblicato nel 1587 sotto il Governo Toyotomy Hideoshi mentre la prima persecuzione sanguinosa avvenne nel 1597.
Due erano i principali motivi di tali persecuzioni: Tyotomi Hideoshi e i primi tre shogun della famiglia Tokugawa, Ieyasu, Hidetada e Iemitsu, che avevano concentrato il potere politico a Edo (Tokyo), ritenevano i missionari cattolici possibili alleati dei "barbari del sud" ossia degli spagnoli che avevano posto in quel periodo le prime basi navali nelle isole della Nueva España, le Filippine.
Per il Governo di Edo tale presenza era troppo vicina e veniva sentita come una minaccia all'unità del Paese appena ricostituita dopo secoli di lotte fraticide. Anche la conversione al cristianesimo di diversi daimyo dell'isola meridionale del Kyushu veniva interpretata come un passo verso la ribellione all'autorità di Edo e per questo i feudatari cristiani furono subito rimossi, esiliati o uccisi.
Il secondo motivo era forse più grave del primo: le maggiori tre religioni orientali presenti in Giappone non facevano riferimento ad alcuna autorità suprema che potesse oscurare la figura dell'imperatore e il potere del Governo. I preti buddhisti, i monaci shintoisti e i maestri confuciani riconoscevano l'autorità civile e rispettavano l'ascendenza divina del potere imperiale. Al contrario, alcuni missionari cristiani, specie i religiosi spagnoli, avevano nelle loro prediche incitato il popolo ad abbattere i simboli dei falsi idoli e a riconoscere l'autorità di Cristo e il potere del Papa di Roma. Ovviamente i predicatori parlavano per metafore, ma i vertici di Edo li presero sul serio e decisero dapprima l'espulsione di tutti i missionari stranieri e successivamente il bando del culto della religione cristiana. Ritornando all'assedio di Hara, sembra che lo shogun Togukawa Iemitsu fosse disposto anche a concedere un'amnistia ai contadini di Shibara, ma certo non avrebbe mai permesso a samurai convertiti al cristianesimo di rimanere alla guida di un movimento che faceva riferimento a un'autorità suprema estranea alla società giapponese. Inoltre per i governanti giapponesi non era accettabile il continuo riferimento al messaggio di uguaglianza e di pari dignità degli uomini che veniva sottolineato nella predicazione dei missionari cristiani.
Per le autorità questa dottrina era sovversiva e metteva in discussione la rigida divisione della società giapponese in quattro classi chiuse dove i contadini, circa l'ottanta per cento della popolazione, dovevano mantenere le famiglie dei nobili feudatari, dare i mezzi per pagare i salari dei samurai e versare ai gabellieri quanto doveva essere dato per lo shogun a Tokyo. Per Tokugawa, sterminare tutti gli assediati ad Hara era l'unica soluzione per evitare che la rivolta dei cristiani di Shibara potesse contagiare quelli che vivevano negli altri feudi del Giappone centrale.
Cammilleri nel suo libro descrive con grande dovizia di particolari le fasi dell'assedio e gli scontri armati intorno al castello di Hara tra le cui rovine si erano asserragliati i seguaci di Shiro. Questi resistettero con grande tenacia e ottennero anche una significativa vittoria contro gli armati del generale Itakura Shigemasa che venne ucciso nel corso degli scontri.
Tuttavia la fine per i cristiani giunse ineluttabile sia per la scarsità delle provviste di cibo sia per il bombardamento che il castello subì da parte di un vascello olandese su ordine del nuovo comandante dell'esercito Matsudaira Nobutsuna.
Cammilleri per descrivere gli scontri si è accuratamente documentato sulle tecniche adottate sia dagli assediati che dagli assalitori che attaccavano i cristiani contando sul numero soverchiante e sul migliore armamento.
Si tratta quindi di un libro che offre diverse chiavi di lettura; notevole lo sforzo di dare un profilo psicologico definito a ciascuno dei personaggi anche se il loro modo di pensare rimane tipicamente occidentale in quanto la loro voce risente troppo forse della sensibilità soggettiva dell'autore.
Il tratto caratteristico del popolo giapponese, dove l'io individuale è grandemente condizionato da quello collettivo, viene comunque rispettato e la fine degli assediati tra le rovine di Hara viene resa come un'azione di volontà collettiva. Mentre le fiamme bruciano gli uomini e le strutture dell'edificio, ancora non è stato ammainato lo stendardo con le figure del calice che sostiene l'ostia consacrata e a lato due angeli con il motto: "Laudato o Santissimo Sacramento".