DI L UCA G ALLESI
N el gergo mafioso si chiama «incaprettamento», ed è un crudele modo di legare la vittima con le mani e i piedi dietro la schiena, affinchè si strangoli da sola. Nel campo economico, si chiama «politica degli aiuti», ed è un modo di soffocare i paesi poveri con prestiti a interesse che non riusciranno mai a onorare se non contraendo altri prestiti che accenderanno altri interessi e così via, fino all’asservimento totale della nazione ai voleri dei creditori. Questa, almeno, è la tesi provocatoria di Dambisa Moyo, studiosa di economia, già consulente della Banca Mondiale e della Goldman Sachs, autrice di
D ead Aid, un esplosivo saggio appena pubblicato dalla Penguin Press in edizione tascabile (pagg.
188, £ 9.99). Lo scopo dichiarato di Dambisa Moyo è distruggere il falso mito della efficacia degli aiuti ai Paesi poveri: in realtà, sostiene la studiosa nativa dello Zambia, inondare di soldi le fragili nazioni africane serve solo ad arricchire gli speculatori e a tacitare le coscienze dei benefattori. I sempre più numerosi sostenitori della politica degli aiuti ritengono, spesso in assoluta buona fede, che il problema dei Paesi sottosviluppati sia la mancanza di denaro, e che, quindi, basti sopperire a tale mancanza per risolvere tutto. Ma, si sa, il pavimento dell’inferno è lastricato di buone intenzioni, e purtroppo, negli ultimi vent’anni, nessuno ha voluto fare un bilancio effettivo dei risultati ottenuti, altrimenti avrebbe scoperto che la situazione è drammaticamente peggiorata.
Tanto per fare un esempio, tra i molti citati dettagliatamente nel libro, il Pil di numerose nazioni africane, tra cui Malawi, Burundi e Burkina Faso, negli anni Ottanta superava quello della Cina. Per non parlare della situazione precedente, ossia quella coloniale, che nessuno rimpiange ma che, oggettivamente, garantiva maggiore libertà e benessere al continente africano, come dimostra l’autrice con dati e cifre inoppugnabili, che arrivano addirittura a mettere in discussione un altro dogma del politicamente corretto, quello della Democrazia. Siamo sicuri – si chiede la studiosa africana – che che i regimi democratici siano la soluzione adatta a paesi giovani, fragili e divisi in etnie in continuo contrasto fra loro? No, è la risposta, perché quella che è stata in Occidente una sofferta e lunga conquista durata secoli, non può diventare la panacea per risolvere situazioni totalmente diverse; anzi, parafrasando Karl Kraus su Freud, può addirittura diventare il male di cui pretende di essere la cura. Qualche dato aiuta a comprendere meglio: negli ultimi cinquant’anni sono stati rovesciati sul Continente nero 1000 miliardi di dollari. Nello stesso periodo, le guerre hanno mietuto 40 milioni di vite, e c’è un preciso nesso tra le due cifre. La ricchezza è una maledizione, e se la disponibilità di materie prime è un dato di fatto, che ha fatalmente attirato l’interesse di individui e governi senza scrupoli, l’abbondanza di denaro proveniente dagli aiuti non è altrettanto inevitabile, e può quindi essere messa in discussione. Il problema è che, continua la Moyo, nessuno si è preso la briga di coinvolgere i diretti interessati. È grottesco, ad esempio, che sia un cantante bianco e residente lontano dall’Africa come Bono a essere interpellato da George Bush in una visita ufficiale alla Casa Bianca nel 2005 o un suo sodale come Bob Geldof a partecipare al G8 tenutosi in Scozia sempre nel 2005, col ruolo di consigliere nella Commissione britannica per l’Africa. Ma purtropppo, come ha amaramente commentato un diplomatico africano, «la voce di un nero non può competere con la chitarra acustica di un bianco».
E così, tra un cantante rock e l’altro, il circo degli aiuti prosegue, causando danni collaterali e altre vittime, oltre a quelle già citate delle guerre scatenate dall’avidità. La disponibilità di fondi, infatti, aumenta l’inflazione e annienta l’iniziativa privata, scoraggiando l’intraprendenza: chi mai si rimboccherebbe le maniche per ottenere un incerto guadagno quando, senza fatica alcuna, può avere «aiuti» gratis? Ecco allora che la popolazione non si ribella, la terra non viene più coltivata e al potere salgono i più corrotti. Non è un caso se proprio dall’Occidente sono stati appoggiati e foraggiati i peggiori dittatori del Continente nero, come il cannibale Idi Amin, il corrotto tiranno della Liberia Samuel Doe e l’«Imperatore» Bokassa, la cui cerimonia di incoronazione nel 1977 costò 22 milioni di dollari. Accertato il totale fallimento delle politiche africane perseguite durante l’ultimo mezzo secolo dall’Occidente, la Mayo offre alcune ragionevoli soluzioni, alcune sull’esempio di Muhammad Yunnus, il banchiere dei poveri premio Nobel per la Pace nel 2006, che con la rete di microcredito da lui inventata ha aiutato a uscire dalla povertà milioni di abitanti del subcontinente indiano.
Qualunque sia la soluzione, l’importante è agire, e farlo subito. Come dice un proverbio africano, il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è piantarlo ora.
«I fondi umanitari foraggiano dittatori e scoraggiano i privati.
Da bocciare i testimonial rock come Bono e Geldof. Meglio puntare su esempi positivi che vengono dal basso come il microcredito del Nobel Yunus»
Avvenire 16 febbraio 2010