DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

BENEDETTO XVI AL CLERO DI ROMA LA FORZA DELLA GENEROSITÀ LO SFREGIO DEL TORNACONTO

DAVIDE RONDONI
I
preti sono uomini tra gli uomini. Ieri il Papa li ha invitati fortemente ad essere 'completamente' uomini. A essere uo­mini di contemplazione ma anche uomi­ni di 'compassione' verso l’uomo che è ferito dal peccato. Per la loro stessa con­dizione di verginità e di dedizione, i preti possono vivere l’umanità di tutti, e non u­na parziale umanità, non una parziale de­dizione. Il richiamo di ieri al clero roma­no è di grande importanza. Parlando ai preti, il Papa sa di parlare, per così dire, al­la società guardata con gli occhi di Gesù. Alla società abitata da Gesù.
Per questo ciò che ha detto ieri interroga la nostra intera società. Non è un discor­so per un gruppo separato. Non un pro­gramma per una certa fascia sociale o per un certo gruppo di interesse. Non per un partito. Ma per uomini che hanno accet­tato di farsi di tutti. Che hanno accettato di essere servi di tutto e di tutti. In un cer­to senso dei veri sovvertitori, in questa e­poca dove spesso gli uomini giocano a fa­re i presunti padroni e padroncini della vi­ta propria e altrui. Per questo ieri ha osa­to ricordare il più grande sovverti­mento della storia. Ovvero lo sguardo di Cristo sull’uo­mo. Lo sguardo che sa che cosa è veramente uma­no, degno d’uomo. Lo sguardo che anche nel pecca­tore vede la possi­bilità della scoper­ta del vero bene. E della piena soddi­sfazione. Il vero sguardo rivoluzionario. Che non lascia le cose come stanno. Che non lascia in pace nessuno. Così quando ieri il Papa si è sof­fermato sul fatto che non si può dire che mentire o rubare è umano, devono tre­mare i petti di tutti. Così quando ha detto che invece è veramente umano l’essere generosi, devono tremarci i polsi in que­sta società dove la generosità sembra per­dere terreno in favore del bieco e a volte scorretto tornaconto. Il Papa non ha det­to: rubare non è legale. Sarebbe stato trop­po poco. E troppo comodo, in un certo senso. Ha detto: non è umano. Ha detto ben di più. E ha usato la parola 'pecca­to'. Che è come dire la ferita più dura. L’orrendo. E’ un peccato di disumanità. E ha detto ai suoi: chiamatelo con il suo no­me. Non dite che rubare è umano. No, è disumano.
Perché invece la generosità è veramente umana, la ricerca della giustizia è vera­mente umana. E lo sappiamo, se lasciamo parlare un poco la nostra esperienza lo sappiamo: avvertiamo molto più com­piuta la nostra vita quando è generosa, quando sa donarsi, di quando ricaviamo per noi stessi gioie rubate. La compassio­ne, il farsi vicino all’uomo come è, segna­to dal peccato, significa ricordare sempre cosa è l’uomo veramente. Cosa lo rende veramente tale. Cioè dove sta la sua vera soddisfazione.
Ha osato per questo, il Papa, soffermarsi sulla parola più temuta della nostra epo­ca: la parola obbedienza. La parola riget­tata da tutti come fonte di alienazione, di­ce, è invece la descrizione della esperien­za che conforma il nostro essere a ciò che è più suo, più adeguato a noi. Per questo l’obbedienza è una forma della libertà. Poi­ché ascoltando Dio, si ascolta il bene del­la natura del nostro essere più profondo.
Parlando ai suoi preti, il Papa vescovo di Roma, non ha girato intorno ai problemi. Ha descritto un clero appassionato alla vi­ta degli uomini. Che non si fa dettare le categorie di giudizio e di pensiero sulla vi­ta da altro che non sia il Vangelo. E perciò sa essere dalla parte della persona sem­pre. Parlava ai suoi, il Papa. Ma poiché la sua è l’unica leadership mondiale che si fonda sull’essere servo, parlava in un cer­to senso come servizio a tutti. E infatti so­no parole che, in mezzo al troppo chiac­chierume anche di queste settimane, ser­vono
veramente.

© Copyright Avvenire 19 febbraio 2010