Chi tra i primi riconobbe, non a caso, la grandezza di Chenu proprio in questo campo, furono storici del calibro di Giuseppe Alberigo, Jacques Le Goff e padre Louis-Jacques Bataillon – morto esattamente un anno fa. Allievo all’Angelicum di Roma del grande confratello Réginald Garrigou-Lagrange, Chenu negli anni della sua maturazione teologica si impose all’attenzione dei colleghi con la pubblicazione nel 1942 di Ecole de théologie. Le Saulchoir. Il volume verrà messo all’indice dal Sant’Uffizio con l’accusa di aver adottato il «metodo storico in teologia» e quella condanna costerà a padre Chenu la sospensione dall’insegnamento nelle università cattoliche.
Un destino, il suo, per molti versi simile a quello di altri due esponenti della Nouvelle théologie: il gesuita Henri de Lubac e il domenicano Yves-Marie Congar. Saranno poi il vento del Concilio e Giovanni XXIII a riabilitare non solo il metodo innovativo, ma anche tutto il pensiero di Marie-Dominique Chenu. A vent’anni dalla morte, di questo grande pensatore rimane viva più di tutto l’eredità come studioso della teologia medievale, soprattutto per il periodo dall’XI al XIII secolo.
Ne è convinto il discepolo e custode dell’archivio Chenu, il teologo e docente alla Facoltà teologica di Lugano monsignor Inos Biffi: «Credo che lo Chenu medievista resisterà al tempo, lo studioso che (pur con i suoi limiti e le critiche che non hanno mancato di essere segnalate) ha impresso una svolta nel metodo e nei risultati alle analisi sulla teologia e più in generale sulla cultura medievale. Egli è stato per me il più geniale storico della teologia medievale».
Torna alla mente di Biffi, come in un album dei ricordi, la lunga amicizia intercorsa con il grande francese per più di trent’anni, dal 1959 al 1990: «Mi ha sempre incoraggiato nei miei studi e nelle ricerche, specialmente su san Tommaso – rivela monsignor Biffi –. Di lui posseggo molti manoscritti; mostrandomeli mi diceva che sarebbero serviti ad "alimentare il suo purgatorio". Si tratta di appunti, trascrizioni, schemi di lezione inediti sui grandi teologi medievali inglesi e del periodo barocco, assieme alle lettere da me ricevute. Si potrebbe pensare di pubblicare, in forma adeguata, parte di questo materiale. Sarebbe un mio gesto di omaggio verso questo grande pensatore e amabile maestro».
Chi mette in evidenza l’attualità e l’audacia del pensiero di Chenu e del suo «tomismo aperto», nonché della grande impronta che ha lasciato su pensatori del calibro di Congar, Claude Geffrè e del recentemente scomparso Edward Schillebeeckx, è il teologo domenicano Alessandro Cortesi, autore tra l’altro del bel saggio Marie Dominique Chenu. Un percorso teologico (Nerbini, pp. 212, euro 14): «Chenu è stato il maestro sia di Congar che di Schillebeeckx.
Entrambi si sono messi sulla scia del maestro, facendo tesoro della sua lezione più cara: affrontare la teologia mantenendo un riferimento al pensiero cristiano ma leggendolo nella sua evoluzione ed essendo sempre in dialogo con i percorsi della modernità». Il pro-teologo emerito della Casa pontificia, il cardinale svizzero Georges-Marie Cottier, fa affiorare dai suoi ricordi un aspetto poco conosciuto della biografia di Chenu: la sua attenzione per i preti operai e di riflesso per la teologia del lavoro negli anni del dopoguerra in Francia. Non a caso Chenu è stato uno dei pochi teologi ad essere citati nell’enciclica sociale di Paolo VI, la Populorum progressio.
Cottier ricorda a questo proposito la prefazione che lo stesso Chenu gli fece a un libro del lontano 1967, Chrétiens et marxistes avec Roger Garaudy/Georges Marie Cottier. «Gli sono ancora grato per quella prefazione – afferma il cardinale –. Egli come san Domenico era un vero vir evangelicus. Credo che più di altri capisse la questione operaia perché era uno storico ma anche un teologo. In Chenu vibrava questa tensione». Ma proprio su una questione nodale come il dialogo con il marxismo, agli occhi di Cottier, il domenicano francese riuscì a capire più di altri: «In lui c’era qualcosa di romantico, quasi di ottocentesco.
Padre Chenu ha conosciuto dei comunisti generosi. Non so se si è misurato con il marxismo che si sviluppava oltrecortina. Ma il suo libro sul lavoro, nonostante forse oggi sia datato perché egli non poteva prevedere la rivoluzione informatica e la globalizzazione, ha ancora dentro di sé delle grandi intuizioni. La sua maggiore ricchezza? Forse quella di non essere stato solo un raffinato teologo, come lo era invece De Lubac, ma anche di essere un prete accanto alle vicende quotidiane degli uomini, ai loro problemi». Resta vivo anche il ricordo del ruolo di Chenu come perito al Concilio, documentato nel suo Diario del Vaticano II (Il Mulino, pp.160, euro 10). «Padre Chenu è stato il teologo – rivela padre Cortesi – che più si è speso perché nella Gaudium et spes fosse adottata l’espressione "segni dei tempi". Un’altra sua impronta è il superamento della "cristianità costantiniana". Secondo lui il Concilio avrebbe condotto a un’intelligenza della fede più profonda, in una continua rilettura per portare la parola di Dio in un mondo nuovo».
A questo proposito torna alla mente di Inos Biffi come lo stesso Chenu tentò di convincere il grande filosofo cattolico Etiénne Gilson ad accettare in toto la riforma conciliare: «Esiste un intenso carteggio tra i due, fatto di tesi e di antitesi, in cui traspare tutto il grande ottimismo del domenicano per il futuro della Chiesa». Una lezione e un’eredità, quella di Marie Dominique Chenu, che al cardinal Cottier appare attuale e feconda ancora oggi, anche per la sua forza profetica: «Comprese prima di altri i problemi che affliggevano il Terzo mondo.
Chenu aveva previsto la fine del colonialismo ed ha intuito, prima di altri, molte delle cose che si sono poi avverate. Credo che il maggiore debito di riconoscenza verso i suoi insegnamenti sia la presenza pastorale del teologo nella vita della Chiesa: oggi è un dato acquisito, ma non era certo così ai tempi della giovane vita accademica di Chenu».
Filippo Rizzi
Avvenire 10 febbraio 2010
Padre Chenu e il medioevo di Tommaso
Marie-Dominique Chenu (1895-1990): "Uno dei principali medievisti del suo tempo", secondo la definizione di Louis-Jacques Bataillon, il presidente della Commissione Leonina, da poco scomparso. Noi possiamo aggiungere: il principale storico della teologia medievale scolastica dei secoli xii e xiii e lo studioso più innovatore del "Tommaso della storia", ossia di un Tommaso che non è - come annotava Yves Congar - "senza padre, senza madre, senza genealogia", ma trova la sua identità e originalità nella cultura del suo tempo. E, infatti, le ricerche di padre Chenu sulla teologia medievale, e in particolare su Tommaso d'Aquino, si mossero esattamente nella convinzione di un inscindibile rapporto tra la figura della teologia e le "congiunture" - come egli le chiamava, forse un poco abusando del termine - nelle quali essa nasceva e si elaborava. "Il medievismo di Chenu - lo rileva ancora padre Bataillon - è quello di un uomo visceralmente teologo, di un teologo che ha compreso, contro la maggior parte dei tomisti del tempo, che non si può cogliere una dottrina, per alta che sia, nella sua vitalità propria, se non la si colloca nel contesto in cui è nata".
Ricordiamo le tappe principali della sua vita: nato a Soisy-sur-Seine il 6 gennaio 1895, nel 1913 entra dai Domenicani, a Le Saulchoir, presso Tournai (Kain-La-Tombe), attratto dalla "vita domenicana come tale", e dall'"ideale evangelico" che fu proprio dei Mendicanti. Dal 1914 al 1920 Chenu compie i suoi studi a Roma, all'Angelicum, e sotto la guida del padre Réginald Garrigou-Lagrange (1877-1964) redige la tesi di lettorato dal titolo De contemplatione, che il relatore giudica ottima, con la nota che il suo autore rivela una "profonda conoscenza della dottrina di san Tommaso sulla natura della contemplazione", anche se non manca il significativo invito "a non allargare storicamente la ricerca". Chenu dirà: "Non tanto amavo la storia come un mestiere, ma sentivo che la Parola di Dio è nella storia, e che entrare nella storia è un mezzo per raggiungere la Parola di Dio. Ora questo modo di pensare, a Roma, era considerato come sospetto di razionalismo".
Egli riconoscerà d'avere sentito il fascino di Garrigou-Lagrange, d'avere ricevuto da lui "il fecondissimo capitale di una grande teologia della fede", ma non accoglierà l'invito del relatore, che lo aveva caro, a restare all'Angelicum come suo collaboratore: cosa che "il Padre - affermava Chenu - non mi ha perdonato". Preferì tornare a Le Saulchoir, un "laboratorio di ricerca", dove si troverà "come un pesce nell'acqua" - affermerà: "È là che io sono nato" -, incominciando a insegnarvi "storia delle dottrine" (non "storia dei dogmi"), e dove si svolse la sua fervida attività di ricercatore e di scrittore.
Il 1937 segna una data importante nella vita di padre Chenu. È l'anno della pubblicazione di una plaquette dal titolo Une école de théologie. Le Saulchoir, in cui esponeva - come egli afferma - "le nostre idee sul metodo storico". L'opuscolo suscita inquietudini a Roma, e particolarmente all'Angelicum e in Garrigou-Lagrange, e viene ritirato dalla circolazione. La reazione giunge al culmine con la messa all'Indice, il 4 febbraio 1942, del petit livre di Chenu, che subito si sottomette, senza nascondere l'amarezza che lo tocca - come scrive a Gilson - "fin nel profondo del cuore". Le accuse erano che deprezzava il valore della ragione teologica in teologia, discreditava la Scolastica e il suo carattere speculativo e quindi diminuiva il suo carattere scientifico: accuse sostanzialmente infondate.
Sulla vicenda padre Chenu è tornato più volte. Egli - tra l'altro - dichiarò di averne appreso per radio la notizia. Dopo la condanna del 1942, Chenu lascia la reggenza e l'insegnamento di Le Saulchoir, ed è assegnato al convento parigino di Saint-Jacques, dal quale è allontanato nel febbraio del 1954, per l'"esilio" di Rouen, a motivo della sua implicazione nella questione dei preti operai. Torna a Parigi definitivamente nel giugno 1962.
Dal settembre al dicembre 1962 prende parte al concilio come teologo del vescovo di Antsirabé (Madagascar). Particolarmente la Gaudium et spes risente dell'influsso della teologia della incarnazione, della creazione, della praxis, della storia, di Chenu. Gli anni dal 1966 al 1990 sono trascorsi nel convento di Saint-Jacques, a Parigi, distinti sempre dalla vivacità mentale e dalla fraterna disponibilità. Secondo la testimonianza di Congar: "Il Padre Chenu è rimasto se stesso, meravigliosamente libero, vivo, risvegliatore di idee, aperto all'amicizia e fraterno, attraverso le prove che non gli sono state risparmiate". Muore l'11 febbraio 1990 e i suoi funerali sono tenuti a Notre Dame.
Più volte Chenu ha illustrato il senso e il fondamento dell'applicazione de la méthode historique allo studio della teologia medievale e in particolare: "La rivelazione - egli scriveva - si inserisce nel tempo" e "la teologia non è che la fede solidale col tempo". Ora, "a Le Saulchoir decidemmo, intorno agli anni 1920-1930, di studiare l'opera di san Tommaso d'Aquino in base alle possibilità - tecniche e spirituali - del metodo storico", d'altronde come padre Lagrange lo applicava alla Scrittura e padre Pierre-Marie Mandonnet (1858-1936) alla storia. Nacquero, su queste premesse, le grandi opere di argomento medievale di Chenu o i suoi saggi, che portano sempre l'impronta inconfondibile della sua chiarezza espressiva, dell'esuberanza del suo stile, della perspicuità e finezza del suo giudizio.
Ricordiamo: La théologie comme science au xiii siècle, nata come corso di introduzione alla teologia sulla base della prima questione della Summa Theologiae, studiata storicamente e non soltanto quale elaborazione speculativa; l'Introduction à l'étude de saint Thomas d'Aquin, frutto dell'insegnamento tenuto dal 1930 al 1950 in cui san Tommaso è colto nella sua "relazione con il contesto culturale vivo in cui era sorto e in cui si erano determinate le sue opzioni e scelte dottrinali": "Veder nascere e lavorare un maestro in teologia - osservava Chenu - è un grande spettacolo", precisando: "Inutile aggiungere che questa coerenza non comporta affatto il relativismo che la maldestrezza degli uni o degli altri ne hanno talora dedotto. Per il fatto di essere iscritta nel tempo, la verità non è meno vera".
Ecco, poi, La théologie au douzième siècle: "un livre perpétuel" (Alain Boureau), "uno dei più bei libri e forse il più bel libro sul medioevo" (Sofia Vanni Rovighi). Lo compongono diversi saggi raccolti su sollecitazione di Étienne Gilson, che a sua volta lo definisce "un'opera veramente nuova", in cui è messo in luce "il tessuto mentale e culturale", o la "mentalità" operante nel secolo XII.
Difficilmente si legge questo meraviglioso libro senza gustarlo e senza essere iniziati allo spirito e alla qualità degli studi di Chenu, e alla intelligenza interiore del medioevo.
Possiamo anche ricordare tre finissimi volumetti: St. Thomas d'Aquin et la théologie: un gioiello, del quale ancora la Sofia Vanni Rovighi diceva: "Pochi libri giovano quanto questo a far capire il pensiero di san Tommaso"; La théologie est-elle une science?: un profilo penetrante e vivace della figura della teologia e sul senso della sua "scientificità". L'éveil de la coscience dans la civilisation médiévale, che mostra brillantemente il sorgere e l'imporsi, nel loro contesto storico, della consapevolezza e della dignità del soggetto, o il risvegliarsi della coscienza come tratto caratteristico della civiltà dei secoli xii-xiii.
Lo Chenu che resiste e resisterà al tempo sarà indubbiamente lo Chenu medievista, che, pur con i limiti e le critiche che non hanno mancato di essere segnalati, ha impresso una svolta nel metodo e nei risultati degli studi sulla teologia e più in generale sulla cultura medievale. Meno invece - mi sembra - hanno resistito e resisteranno gli scritti venuti dalla fervida sensibilità di Chenu ai cosiddetti "segni dei tempi".
Étienne Gilson, che nel 1967 aveva manifestato tutto il suo disagio postconciliare ne Les tribulations de Sophie, in quegli anni scriveva a Chenu con parole molto crude: "Non posso impedirmi di pensare che, del prete che borbotta oggi parole vaghe, e di me che credo ancora che Hoc est corpus meum, io sono probabilmente il solo nel cui cuore sia presente la fede in una pura e semplice Transustanziazione". E, ancora: "Non comprendo più nulla di quello che avviene nella Chiesa. Il nostro amico P. Congar mi pare balbetti davanti a un muro e non sono neppure sicuro di capire tutto quello che voi stesso dite. Mi ricordo solo di aver profetizzato, come l'Asina di Balaam, a mons. Montini quello che stava per capitare nei vostri riguardi: "Voi volete impedirgli di fare ciò che sa fare e fa mirabilmente" - gli ho detto in Vaticano - prima che fosse Paolo VI; "Così come io lo conosco, sono sicuro che egli farà un'altra cosa in cui forse non troveremo solo dei motivi di consenso"".
Chi scrive ebbe la felice ventura di lavorare sotto la guida di padre Chenu alla tesi I misteri della vita di Cristo in Tommaso d'Aquino: "Un tema molto opportuno e molto fecondo - mi scriveva il 19 dicembre 1959 - per entrare nella conoscenza della teologia medievale". Da quell'occasione nacque con lui un'affettuosa amicizia, che durerà dal 1959 alla vigilia della morte, e sarà alimentata da incontri al convento domenicano di Saint-Jacques di Parigi, mostrandosi preziosa soprattutto per l'incoraggiamento e per il sostegno alle diverse ricerche che avrei condotto sia su san Tommaso, sia sui teologi scolastici del secolo XIII, in cui sono proseguiti gli stessi studi di Chenu sulla teologia come scienza.
Ma quell'amicizia ebbe altri frutti, come: un lungo epistolario accuratamente conservato, il dono di una gran quantità di suoi manoscritti e una collaborazione, che trovò forma e spazio nella Biblioteca di Cultura Medievale presso l'editrice Jaca Book. In tale Biblioteca apparvero diverse opere di Chenu - Il risveglio della coscienza nella civiltà medievale; La teologia come scienza nel XIII secolo; La teologia nel XII secolo (e prossimamente l'Introduzione allo studio di san Tommaso d'Aquino) - precedute da sue prefazioni. Né sono mancati contributi appositamente redatti per il pubblico italiano.
Passando tra le mani di Chenu, gli antichi testi, sia di Tommaso sia di altri autori medievali, si ravvivavano e diventavano irresistibilmente attraenti, mostrando quanto nel medioevo la ragione abbia criticamente pensato la fede e quanto la fede abbia promosso e liberato la ragione. Per ciò Chenu resta ancora un grande maestro.
(©L'Osservatore Romano - 11 febbraio 2010)