DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il dramma dei partigiani traditi dai comunisti

Tratto da Il Giornale del 10 febbraio 2010

Il Giorno del Ricordo è uno dei frutti della caduta del comunismo. Finché ci sono stati Urss e Pci le vicende legate alla strage di Porzus, alle foibe e all’esodo sono state tenute lontano dalla memoria nazionale e dai manuali scolastici.

Dopo il 1991 la verità si è fatta strada, anche se bollata come «revisionismo». La sostanza del «revisionismo» consiste nel fatto che la generale ammissione dei crimini commessi dai comunisti ha destabilizzato il richiamo all’antifascismo come categoria fondante della democrazia; in seguito è iniziata anche una rilettura di pagine che erano state stracciate, o mistificate, della Resistenza.

Proprio nei giorni scorsi l’Associazione degli ex partigiani della Osoppo-Friuli ha ricordato a Udine questi tragici capitoli della storia nazionale. In modo preciso storici come Elena Aga-Rossi, Roberto Chiarini, Pietro Neglie, Paolo Pezzino, Raoul Pupo e Tommaso Piffer hanno messo a fuoco in modo organico luci e ombre dell’antifascismo e soprattutto le fratture e le radicali contrapposizioni all’interno della Resistenza a partire appunto dalle vicende che si svolsero sul confine nord-orientale dove i comunisti animarono una Resistenza «parallela» al di fuori del Cln e contro gli alleati nel segno di un «internazionalismo» anti-italiano e filosovietico. Il disegno di assorbimento delle brigate partigiane italiane nell’esercito jugoslavo, con l’epurazione dei militari italiani che avevano dato vita alla Resistenza in quanto rei di aver combattuto contro la Jugoslavia, iniziò mentre l’Urss patrocinava l’ingresso del Pci nel governo Badoglio. A tradire, favorendo i tedeschi, furono infatti i partigiani comunisti. Già prima del massacro di Porzus del febbraio 1945 nella ritirata invernale i partigiani comunisti avevano facilitato i tedeschi nell’assalto ai partigiani non comunisti della Osoppo. Così l’osovano Guido Pasolini scrisse al fratello Pier Paolo: «Incaricati di proteggerci le spalle (i comunisti) si ritirarono senza sparare un colpo! Ancora una volta ingannati!».

Nell’ottobre del 1944 Palmiro Togliatti, dopo aver ricevuto a Roma gli emissari di Tito, Kardelj e Gilas, impartisce a Vincenzo Bianco, rappresentante del Pci nella Venezia Giulia, l’ordine di «favorire l’occupazione della Regione Giuliana da parte delle truppe del Maresciallo Tito». In quelle stesse settimane identiche rivendicazioni e proposte venivano avanzate da parte jugoslava al Cln dell’Alta Italia, ma l’inviato di Tito riceveva il più categorico rifiuto da parte di Alfredo Pizzoni, che presiedeva il vertice dell’antifascismo italiano. E gli stessi «garibaldini» che avevano compiuto la strage di Porzus dopo essere stati inglobati nel IX Korpus vennero trasferiti dal Friuli sempre più ad est dell’Isonzo e poi verso Lubiana in modo da non far partecipare partigiani italiani, anche se comunisti, alla liberazione di Trieste. E proprio in quell’occasione, il 1° maggio 1945, Togliatti emetteva la direttiva ai militanti comunisti presenti a Trieste «ad accogliere le truppe di Tito come truppe liberatrici». Da quel giorno iniziò la tragedia delle foibe e dell’esodo.