Badinter, quando poche ore dopo il
cesareo mi aggiravo sbandando per la
clinica imbastita di punti in cerca della
nursery (“Fermatela!”, aveva gridato
d’orrore la suora. “E’ la cesarizzata di
stanotte!”), dato che non avevo ancora visto
il bambino e volevo fare la solita conta
delle dita. Istinto materno o possessione
diabolica? Qualcosa di irresistibile,
questo è certo. Per me, poi, che fino a poche
ore prima avevo torturato mia madre:
“Non so se lo voglio, questo coso”, e
lei: “D’accordo. Dallo a me”.
A Elisabeth Badinter la parola istinto
fa impressione? Sono trent’anni che si
agita. Ok, troviamone un’altra. Sta di fatto
che se milioni di ragazze, contro tutto
e contro tutti, la società antimaterna, i
datori di lavoro, i partner riottosi, i budget
limitati, le polveri sottili, l’effetto serra,
gli ogm, la corruzione, la crisi globale,
la cellulite, le smagliature e così via, a un
certo punto della loro vita, spesso troppo
presto o anche troppo tardi, decidono di
attivare (o meglio smettono di inattivare)
la scatola magica che si portano in grembo,
be’, il miracolo andrà spiegato in
qualche modo.
In tutto il saggio della non-saggia Badinter
(“Le conflit. La femme et la mère”),
è in opera una curiosa inversione,
per non dire perversione. Il mondo a testa
in giù. Non è la “childfree” a essere
edonista, ma chi insiste tignosamente per
portarsi a casa un bambino, o anche due
o tre. Non è chi allatta al seno, provvida
dotazione, a scegliere la soluzione più comoda,
ma chi fa “andare indietro” il latte
per arrabattarsi con polverine, biberon,
scalda biberon, tettarelle, sterilizzatori,
disinfettanti e tutta questa gran rottura
di palle. Oltre al fatto che allattare
serve all’utero – altra barbarie della natura
– per rimettersi in sesto: a ogni ciucciata
si contrae. Sono i “morsi uterini”
(che belli, e che male).
Libera non è chi si può godere una
splendida vacanza dal mondo maschile,
tornando a se stessa e facendo la sconvolgente
esperienza di un altro tempo, il
tempo odoroso e selvaggio della nutrice,
così istruttivo per la vita, per il lavoro e
per tutto; libera è chi, à la Dati, si scaraventa
subito in ufficio a presidiare il posto,
tette che esplodono e pancera contenitiva.
E si è visto quanto è durata la povera
Rachida.
Tutte le teorie sull’attaccamento e sul
“bonding”, da John Bowlby a Thomas
Berry Brazelton, fatte fuori in un colpo.
Solo roba ideologica. Chi l’ha detto che
il piccolino ha bisogno della prossimità
al corpo della mamma che peraltro, nei
primi tempi, continua a percepire come
il suo stesso corpo? Roba da animali. E
chi l’ha detto che il distacco deve avvenire
gradualmente, in modo che il bambino
possa completare quel processo di
individuazione decisivo per la sua salute
fisica e mentale? Quello che conta è
che non si de-individui la madre, che
possa tornare prima possibile a godersi
in tutta libertà la mensa, il cartellino, la
macchinetta del caffè, le riunioni alle
sette di sera, tutte cose di cui, si sa, noi
donne andiamo pazze.
Pensate che secondo l’ideologia neomaterna
“la buona madre pone naturalmente
i bisogni del figlio al di sopra di
tutto”. Accidenti. Ma anche quei fasci
dell’Onu hanno sancito il superiore interesse
del minore: principio al quale, nella
nostra società liquida, varrebbe la pena
di tenersi saldamente attaccati per
non andare del tutto alla deriva.
Non è il mondo a dover fare un esame
di coscienza per aver messo ai margini la
nascita insieme a tutto quello che conta
davvero per noi umani: la relazione, il legame,
l’amore. Non è il lavoro a dover essere
ripensato – come peraltro stiamo
chiedendo tutte, dalle turniste alle top
manager – in base a quel principio del
“primum vivere” che comincia peraltro a
solleticare anche gli uomini. In questione
è piuttosto il vizio arcaico della maternità,
condizione di “frustrazione, solitudine,
alienazione e sensi di colpa”… “Come
vivere tutte le tue giornate in compagnia
di un incontinente mentalmente deficiente”
(il bambino, ndr).
Non è il modo in cui abbiamo organizzato
le cose ad allontanarci da quel minimo
di libertà e felicità sperimentabili su
questa terra. E’ la maternità che ostacola
le carriere, infastidisce le aziende, distrugge
i ménage (“se la madre allatta
per mesi o anche anni, che fine fa l’intimità
della coppia e la sua sessualità?”),
limita la sacra libertà delle individue.
Perfino, nientemeno, la libertà di bere e
fumare a piacimento quando si è incinte.
Una certa Gaia, che piacerebbe molto
a Badinter, scrive sul mio blog: “Come si
fa convivere il desiderio di non avere figli
e la paura per un futuro di solitudine?
Io non voglio figli e di questo sono sicura
al cento per cento, non voglio occuparmi
di qualcun altro…”. Come se esistesse
una libertà non relata. Come se occuparsi
degli altri non contenesse una suggestiva
occasione di libertà e felicità.
Il mondo di cui parla Elisabeth Badinter
non esiste più. E’ esistito solo come figura
provvisoria nella fenomenologia della
libertà femminile. E se l’ideologia antimaterna
dell’infelice Simone de Beauvoir
ha avuto una sua preziosa funzione, quella
di Badinter è sospetta. Perché se questo
mondo non esiste più, esiste invece
una minoranza di non-mère insofferenti
in una Francia campione di fecondità,
parchi invasi di coppie con carrozzine e
boutique pour enfant sulla Rive Gauche,
fra le quali il saggio andrà probabilmente
a ruba. Badinter, madre di tre figli, le
blandisce in ogni modo e le assume in cielo,
a modello della donna nuova: “Anche
se il rifiuto della maternità fosse minoritario,
la vera rivoluzione sta qui, e chiama
una ridefinizione dell’identità femminile”.
La “childfree”, dice, è più donna, più
sexy, e anche più tosta della mamma, tanto
che, preconizza in un crescendo scellerato
“verrà il giorno in cui la maternità
sarà appannaggio delle donne culturalmente,
socialmente, professionalmente
sfavorite”. Una cosa da sfigate, in pratica.
Anche se in fondo alla profezia le scappa
un punto di domanda. Bontà sua.
Marina Terragni
© Copyright Il Foglio 26 febbraio 2010
DONNA, PER EMANCIPARTI
DIMENTICA CIO`CHE SEI
La filosofa francese Elisabeth Badinter, studiosa dell’illuminismo e autrice di saggi di grande successo sui temi dell’identità femminile, spiega nel suo ultimo libro (“Le conflit. La femme e la mère”, Flammarion) che dagli anni Ottanta in poi il movimento di emancipazione e di riscatto delle donne si è drammaticamente rallentato, se non proprio interrotto, per colpa della riaffermazione di un’idea positiva di maternità. E invece fare figli candida alla frustrazione, allo scacco professionale, all’avvilimento e al conflitto, prima di tutto con se stesse e con le proprie aspirazioni. Non fatevi turlupinare, esorta Badinter – che ha comunque tre figli, dei quali immaginiamo il grande compiacimento alla lettura delle teorie materne – e in 253 pagine, non fitte ma molto assertive, spiega che la vera libertà è quella di essere proprio come gli uomini, e che la maternità non è che un dovere sociale fatto passare per vocazione naturale. Dimenticarsi di quel che si è, insomma, è la ricetta della Badinter. La conferma che, certe volte, la misoginia delle donne non ha nulla da invidiare a quella degli uomini.
Nicoletta Tiliacos