Le Conferenze episcopali incoraggino la ratifica - da parte di quei Paesi che non lo hanno ancora fatto - della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. Lo chiede il dicastero vaticano per le migrazioni nel documento finale - reso noto nei giorni scorsi - del vi Congresso mondiale, svoltosi a novembre in Vaticano sul tema: "Una risposta pastorale al fenomeno migratorio nell'era della globalizzazione".
I 320 delegati provenienti dai cinque Continenti hanno analizzato e approfondito l'argomento in tutte le sue sfaccettature, stilando un testo conclusivo che definisce la migrazione "un segno dei tempi", con cui la Chiesa è chiamata a confrontarsi alla luce dell'Erga migrantes caritas Christi. L'Istruzione del 2004 costituisce la Magna Charta dell'impegno cattolico in tale contesto.
Il documento - che reca la data del 18 gennaio scorso - ne attualizza alcune indicazioni pratiche, tra le quali spicca come "preoccupazione costante della Chiesa e delle sue agenzie" debba essere "lo statuto di richiedenti asilo", soprattutto perché in questo 2010 ricorre il ventennale della Convenzione dell'Onu. Inoltre vengono auspicati un'"autorità politica mondiale" - come richiesto nella Caritas in veritate - che si occupi delle questioni relative all'immigrazione" e un maggior sostegno "all'azione ecclesiale attraverso un aumento della visibilità sui mass-media".
Questo significa in pratica, per il Pontificio Consiglio presieduto dall'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, campagne internazionali per combattere la discriminazione, la xenofobia e il razzismo, incontri interculturali e progetti per neutralizzare paure razziali e culturali, sospetto e diffidenza.
Attraverso un'attenta lettura della realtà del ventunesimo secolo, il testo denuncia tragedie come il traffico di esseri umani, i sequestri di persona, il lavoro forzato, e fa riferimento alle problematiche degli apolidi, dei falsi matrimoni e delle nozze "per corrispondenza", ponendo la comunità internazionale davanti a quelle nuove forme di schiavitù che costringono soprattutto donne e bambini alla prostituzione e al lavoro illegale. Esperienze drammatiche di sofferenza umana, che diventano ancora più evidenti quando le tante persone che ogni giorno cercano di attraversare un deserto e i cosiddetti boat people "muoiono o vengono gettate in mare, o semplicemente viene loro negato il soccorso e vietato l'accesso al territorio nazionale e sono respinte, oppure - nella migliore delle ipotesi - arrivano in condizioni miserevoli" a destinazione.
Nel documento si denunciano anche le esperienze di "detenzione arbitraria, a volte persino di "tortura" vissute dai migranti "nei campi di accoglienza".
Il fenomeno migratorio d'altronde investe in pieno gli stessi Paesi di accoglienza, che non sempre hanno la capacità di farsi carico di un numero crescente di arrivi. Ciò non giustifica "un atteggiamento difensivo e politiche migratorie restrittive" che "dividono e distruggono le famiglie", così com'è altrettanto chiaro che le tensioni sociali nella popolazione locale sono generate "anche dalla paura della disoccupazione, a causa della presenza dei lavoratori migranti" e che i disordini sociali tra questi ultimi "sono causati pure dall'ingiustizia sociale". Secondo il Pontificio Consiglio "non ci si è occupati finora a sufficienza delle questioni di benessere, dei sistemi di sicurezza sociale e dei modelli di integrazione", mentre il grado di assorbimento "nel mercato del lavoro del Paese d'accoglienza non corrisponde a quello sociale". Per questo le Chiese locali dovrebbe aumentare la cooperazione con i Governi e la società civile nella difesa della dignità dei migranti, accompagnarli attraverso un ruolo di mediazione tra le rappresentanze di queste persone e le autorità locali, in uno sforzo che includa la revisione delle politiche di controllo delle frontiere e dei diritti di cittadinanza.
È la realtà che lo insegna: in contraddizione con gli atteggiamenti restrittivi, le economie mondiali hanno bisogno della mobilità umana e la promuovono. Però mentre oggi i media segnalano una certa ripresa nei mercati, i migranti devono sempre misurarsi con tutta la portata dei danni provocati dalla crisi attuale che, secondo la stima dell'Organizzazione Mondiale del Lavoro, ha provocato la perdita di circa 50 milioni di posti.
La disponibilità di manodopera e il diritto all'occupazione sono pacificatori sociali e contribuiscono a ridare speranza e fiducia, chiarisce il documento. Ma la crisi economica ha messo anche in evidenza quanto i migranti siano colpiti dai licenziamenti e come ciò si traduca in una diminuzione dei flussi delle rimesse. L'affievolimento del rispetto dei principi fondamentali della legislazione internazionale e dei diritti dei migranti in materia di lavoro hanno ulteriormente colpito l'integrazione e la coesione sociale.
In definitiva per la Chiesa il "macrofenomeno" delle migrazioni rappresenta una sfida pastorale prioritaria. Non solo: esso è anche un'importante opportunità ecumenica. Tra gli aspetti positivi il documento coglie infatti segni importanti di corresponsabilità e di comunione tra Chiese di origine e Chiese di accoglienza, e accenna ai giovani, la cui presenza costituisce un'occasione privilegiata per scambi culturali, che potrebbero aprire prospettive di tolleranza e di convivenza pacifica nella società del futuro.
Infine un accenno ai bambini rimasti nei Paesi di origine, che pagano un prezzo molto alto. "La loro visione della società di domani - avverte il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti - potrebbe essere già forgiata dal concetto materialistico di emigrare per guadagnare di più".
(©L'Osservatore Romano - 20 febbraio 2010)