DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Divorzio breve, animalismo, Bresso e ru486

Divorzio breve Lo scorso 12 gennaio la II Commissione (Giustizia) della Camera dei Deputati ha iniziato l’esame di tre proposte di legge (nn. 749, 1556 e 2325) che propone di abbreviare i tempi e di semplificare la procedura per l’ottenimento della pronunzia di divorzio.

La Legge sul divorzio del 1 Dicembre 1970, n. 898, ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità di ottenere lo scioglimento del matrimonio in presenza di due condizioni, una di carattere soggettivo, l’altra di carattere oggettivo. Le condizioni soggettive consistono nell’accettare da parte del giudice che «la comunione di vita spirituale e materiale tra i coniugi non possa essere mantenuta o ricostituita […]» (art. 1).

Quanto alle condizioni oggettive, riguardano ipotesi varie, fra cui il protrarsi da almeno tre anni della separazione tra coniugi. Già nel 1989 tale termine era stato ridotto da cinque a tre anni. Ora le tre proposte di legge in esame prevedono un’ulteriore riduzione.

In particolare, la proposta n. 2325, che riprende il testo della proposta n. 2444 esaminata nel corso della XIV Legislatura, riduce, in via generale, da tre a un anno il periodo di tempo che deve trascorrere dalla comparizione dei coniugi davanti al giudice nel procedimento di separazione per poter proporre domanda di divorzio. Le proposte n. 749 e n. 1556 differenziano invece la durata del periodo ininterrotto di separazione in ragione della presenza e dell’età dei figli e del tipo di separazione (consensuale o giudiziale). In particolare, la proposta n. 749 stabilisce che nelle separazioni consensuali, in assenza di prole, le separazioni stesse devono essersi protratte ininterrottamente da almeno un anno decorrente dal momento dell’avvenuta comparizione dei coniugi dinanzi al presidente del Tribunale.

Il termine breve si applica anche al caso in cui il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale o se siano state precisate dai coniugi conclusioni conformi. In tutti gli altri casi, rimane fermo il termine attuale di tre anni. Ancora più dirompente appare la proposta n. 1556 che riduce il periodo di separazione a sei mesi, in assenza di figli o in presenza di figli maggiori di 14 anni, ovvero a un anno se vi sono figli infraquattordicenni. Il termine di sei mesi si applica anche quando non sia stata pronunciata sentenza nel giudizio contenzioso o se questo si sia trasformato in consensuale. Tale proposta contiene anche una disciplina transitoria. In particolare stabilisce che i termini brevi sono applicabili anche alle separazioni contenziose i cui procedimenti si sono conclusi, anche con sentenza non definitiva, prima della data di entrata in vigore della legge e alle separazioni consensuali i cui procedimenti sono in corso, a condizione che i coniugi, prima che ne intervenga l’omologazione, dichiarino concordemente di volersene valere. Infine, le proposte n. 2325 e n. 749 con disposizione identica novellano l’art. 191 in materia di scioglimento della comunione legale dei coniugi. In particolare, l’art. 2 di tali proposte prevede che la comunione dei beni fra coniugi si sciolga nel momento in cui il presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati.

Nella disciplina attuale il regime di comunione perdura durante tutto il giudizio di separazione e fino al passaggio in giudicato della sentenza di separazione. Il processo di dissoluzione della famiglia continua dunque implacabilmente, malgrado siano ormai accertati i danni irreparabili provocati dalla legalizzazione del divorzio nella legislazione italiana ed europea. Corrispondenza Romana n.1130 del 20/2/2010

Dietro l'operazione ci sono radicali, finiani e piddini.

Animalismo. Le organizzazioni dei genitori, in Spagna, stanno protestando calorosamente contro la circolare del governo socialista che propone un corso di “Educazione per la vita cittadina”, dopo aver constatato che in una città della Spagna gli studenti cominciano a pensare che il sesso può essere praticato liberamente, anche con gli animali. D’accordo con l’organizzazione Professionali per l’Etica, gli studenti della terza elementare, in una scuola di Cordoba nel sud della Spagna, l’Andalusia, stanno partecipando a un corso la cui materia si intitola: “La natura ci ha dato il sesso e noi lo possiamo usare con un’altra ragazza, un altro ragazzo oppure con un animale”.

Gruppi di genitori hanno detto che la materia indottrina i bambini, camuffa un programma pro-omosessualità e critica le norme ed i valori della morale. Nelle regioni di Castilla e di Leon, circa 500 alunni sono stati esonerati dalla partecipazione a questi corsi per ragioni di coscienza, mentre centinaia di altri, a Madrid e a Valencia, stanno aspettando la decisione della corte per sapere se saranno o meno obbligati a frequentarli (CNA, 4 febbraio 2010;CR n.1130 del 20/2/2010) .

Bresso e la Ru 486. Il Presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso si prepara a seguire l’esempio dell’Emilia Romagna in merito alla somministrazione della pillola abortiva Ru486, che avverrà in regime di day hospital. La denuncia è di Chiara Mantovani, membro del Consiglio Direttivo Nazionale di Scienza & Vita, in un articolo pubblicato su “Il Foglio”.

Secondo la Mantovani tale soluzione non solo è incompatibile con la Legge 194, ma incentiva la pratica dell’aborto fai-da-te trasformandolo in una faccenda privata, e costringe le donne «a monitorare da sole l’espulsione del prodotto del concepimento, cioè del bambino che è ucciso con l’aborto, ad assumere antidolorifici di auto-somministrazione e a giudicare se le perdite ematiche hanno carattere di emorragia oppure sono nella norma».

Nell’articolo la Mantovani denuncia inoltre l’intenzione generale di delegare alle donne tutto il problema aborto e dunque di deresponsabilizzare la società intera ed in primis i chirurghi che praticano gli aborti. Non abbiamo bisogno di scaricabarili, afferma la Mantovani, ma di una cultura della vita.
Sebbene l’esponente di Scienza & Vita abbia il merito di denunciare la deriva antivita in atto, non sembra cogliere le contraddizioni insite nel ragionamento. In effetti, la pratica del day hospital per la somministrazione della Ru486 è la soluzione inevitabile alla scellerata decisione di commercializzare il prodotto, conseguenza di un dibattito politico privo di seri argomenti pro vita. Il ricovero coatto della donna in ospedale non solo non è consentito dalla legge (se non in casi eccezionali) ma prevede costi esorbitanti insostenibili a carico delle strutture pubbliche, come ammette la stessa Mantovani.

Desta inoltre non poca preoccupazione vedere esposti i soliti “buoni motivi” per dire “no” all’aborto facile da parte di esponenti di importanti organismi che dovrebbero difendere la vita innocente con radicalità e coerenza. Il problema della privatizzazione dell’aborto non è di adesso; la Legge 194 prevede l’assoluta ed indiscussa “proprietà” della vita del bambino da parte della madre, al punto che neppure il padre può in alcun modo influire nella decisione. Il medico che rilascia il certificato ed il chirurgo che pratica l’aborto sono dei semplici esecutori di una sentenza di morte già scritta nelle pieghe delle norme dell’ipocrita ed omicida Legge 194.

L’obiettivo principale non può essere quello di preservare la donna dal trauma psichico o fisico ma, al contrario, di scuotere le innumerevoli coscienze anestetizzate da oltre trent’anni di legalizzazione dell’aborto.

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