venerdì 26 febbraio 2010
Nella provincia del Québec, in Canada, è in corso una campagna in favore della “dignità di morire”, che sostanzialmente si sta dimostrando una campagna a favore soprattutto dell’eutanasia e del suicidio assistito, attualmente vietati dal Codice penale. Una commissione parlamentare sta raccogliendo deposizioni e testimonianze di esperti in vista di una proposta da sottoporre a referendum. Se approvata, potrebbe essere usata come pressione sul governo federale, al quale spetta l’eventuale cambiamento del Codice penale.
Questa commissione, finora denominata “sulla questione del diritto a morire con dignità”, ha nei giorni scorsi cambiato il suo nome, diventando: “Commissione speciale sulla questione della morte con dignità”. La scomparsa del termine “diritto” è dovuta alle obiezioni sollevate sull’esistenza di un pregiudizio già dal titolo. Anche su cosa realmente possa intendersi con dignità si è aperto un dibattito, con le obiezioni, per esempio, di chi si occupa di cure palliative, che contesta che la dignità possa essere data solo da eutanasia e suicidio assistito.
Di seguito pubblichiamo la lettera sull’argomento, apparsa venerdì scorso sul quotidiano La Presse, del dottor Marc Beauchamp, chirurgo ortopedico di Montreal.
La cosa peggiore che possa capitare in una società di diritto come la nostra è che una persona debole e vulnerabile si lasci uccidere da una persona o un gruppo di persone con più potere.
È questo potere che reclamano dalla Commissione parlamentare il dottor Gaétan Barrette, della Federazione dei medici specialisti del Québec, e il dottor Louis Godin, della Federazione dei medici generici del Québec. I loro argomenti poggiano principalmente su dei sondaggi tesi a dimostrare il sostegno all’eutanasia dei membri delle due federazioni e dell’opinione pubblica.
La correttezza dell’uso di questi dati è già stata oggetto di varie critiche, anche da parte di un noto statistico dell’Università di Montreal. Allo stesso modo in cui non si preoccupano di finezze e sottigliezze quando cercano più soldi per gli aderenti (e di ciò li si ringrazia!), così non mettono di certo i guanti bianchi per reclamare il privilegio per i medici di non essere sottoposti al Codice penale per poter effettuare l’eutanasia sui loro pazienti.
L’efficacia fa qui premio sulla verità, ma i due negoziatori perdono credibilità agendo in questo modo. Dovrebbero ispirarsi ai loro colleghi del Collegio dei medici, o almeno dare l’impressione di avere un po’ di rispetto e di sensibilità verso le persone deboli, che rischiano di diventare le prime vittime di colleghi incauti quanto loro.
Tuttavia, è un altro il punto che sembra finora essere sfuggito a questi leader sindacalisti, abituati ai metodi della negoziazione, e ai politici.
Il punto centrale è che, quando si tratta di un argomento importante come la vita di una persona, l’opinione della maggioranza non è sufficiente, perché significherebbe dare la precedenza al gruppo (i forti) sulla persona (il debole). Il 50 per cento più uno, o anche l’80 percento di sostegno popolare non basta quando è questione del diritto alla vita (ed è anche il caso della pena di morte), un diritto talmente fondamentale che non può essere negato per gli altri, né rinunciarvi quando si tratta di noi stessi. Questo è il loro più grande errore.
Il secondo errore è di fare della morte una questione solamente medica, mentre si tratta di qualcosa infinitamente più grande che merita la più grande attenzione e la più grande prudenza, che non potranno mai essere assicurate da nessuna pretesa “segnalazione” di eccezionalità.
Affermare che dare volontariamente la morte dovrebbe essere tra le cure a disposizione del medico per trattare le sofferenze di una persona cosciente (l’equivalente del suicidio assistito), o peggio, per dare la morte a una persona incosciente o non consenziente (eutanasia attiva), non è alla fine che un tentativo di presa di potere da parte della classe medica. Anche se si vestono questi gesti con parole edificanti o poetiche del tipo “cure appropriate di fine vita”, “diritto a una morte dignitosa”, “ultima piccola spinta per il viaggio finale”. Si deve resistere a questa offensiva.
Come corollario, sarebbe una aberrazione e un errore storico delegare il diritto alla vita (e alla morte) al Ministero della salute. Non è un suo compito.
Questa commissione parlamentare si dimostrerà utile se aiuterà a chiarire la pericolosa confusione dei termini utilizzati: da un lato, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia e il suicidio assistito (tutti da evitare), e dall’altro, l’accesso a cure attente, umane, con un controllo ottimale del dolore tanto fisico quanto morale (che è necessario favorire e sviluppare). Chi opera con persone in fin di vita potrà confermare che i pazienti curati e attorniati da attenzione autentica normalmente non si augurano l’eutanasia, e attraversano con dignità questo passaggio che, infine, è parte della vita. Ecco il nostro vero compito come medici: umanizzare la medicina con un atteggiamento umile e disponibile che “aiuti a vivere”.
Marc Beuchamp
chirurgo ortopedico - Montreal, Canada
http://www.ilsussidiario.net/