Oxford. Mentre a Cambridge saltava
la conferenza dello storico israeliano
Benny Morris, accusato di razzismo nei
confronti dei musulmani, a Oxford Guy
Stroumsa, professore di Religioni comparate
all’Università di Gerusalemme,
ha identificato nello studio dell’Islam le
secolari radici del relativismo religioso.“
Nella Francia cattolica del XVII secolo
essere interessati all’islam aveva
una portata rivoluzionaria, quasi quanta
potrebbe averne oggi in Israele. Parlo
di uno studio mosso da un’inesauribile
curiosità intellettuale, che lo considerasse
come oggetto di scienza e non vittima
di propaganda. Eppure lo studio
dell’islam nell’età moderna non nasce
fra i liberi pensatori ma in un filone di
cristiani illuminati”. L’attenzione scientifica
nei confronti dell’Islam si basa su
una considerazione politica: mentre
l’occidente cristiano è scosso dalle infinite
guerre fra cattolici e protestanti,
l’Impero ottomano è pacifico e prospero.
Ferma restando la convinzione sulla
falsità dell’Islam, si fa strada la curiosità
per le sue istituzioni e i suoi meccanismi,
nel tentativo di riprodurre ciò
che possa garantire la pace anche in
Europa.
Il primo a scriverne è il romano Pietro
della Valle, che nel 1614 raggiunge
Istanbul e di lì intraprende un tour dell’Islam
durato dieci anni; ma non sempre
la conoscenza diretta dell’oriente è
ritenuta necessaria alla sua comprensione.
Michel Baudier, ad esempio, nel
1625 fonda su notizie di seconda mano
una “Histoire générale de la religion
des turcs”, opera dedicata “alla chiesa
di Dio” in cui avanza l’idea che Maometto
avesse ripreso alcuni fondamenti erronei
della teologia ebraica; William
Bedwell, a Cambridge, stigmatizza la
violenza dell’islam nel feroce trattato
Mohammedis imposturae. L’islam è comunemente
ritenuto un’eresia cristiana.
La febbre turca s’impossessa repentinamente
dell’occidente cristiano e il paragone
fra l’islam e le altre religioni monoteiste
porta a una sua progressiva rivalutazione:
Guillaume Postel, primo
professore di arabo al Collège de France,
sostiene apertamente la superiorità
dell’est sull’ovest. Il punto critico è il
1651, quando nell’Historia Orientalis lo
svizzero Johann Hottinger difende il
protestantesimo elogiando i musulmani
a detrimento dei cattolici. Negli stessi
anni l’oxoniano Edward Pococke parla
esplicitamente di Maometto come riformatore
morale. “L’islam”, spiega
Stroumsa, “inizia a venire rispettato
perché ha consentito la crescita di una
filosofia o, nelle parole di Pococke, the
improvement of human reason”.
Non sorprende dunque che il Settecento
sia il secolo della divulgazione
islamica e della sua mitizzazione ai danni
del Cristianesimo. Dopo che in Pierre
Bayle l’islam viene considerato in tono
neutro, solo nei suoi aspetti storicogeografici,
Henri de Boulainvilliers
compone una Vie de Mahomed in cui
pur dimostrando di non conoscere l’islam
a dovere promuove Maometto a legislatore
religioso al pari di Mosè e di
Gesù. Un passo verso la tolleranza favorì
di fatto lo scetticismo: se Maometto
era un eretico, ma al contempo era assimilabile
a Mosè e Gesù, allora si trattava
non di uno ma di tre impostori. Così
nasce il celebre trattato anonimo “De
tribus impostori bus”, grimaldello del
relativismo moderno.
La migliore metafora dell’irruzione
dell’islam nella cultura occidentale è
contenuta in Nathan der Weise di G.E.
Lessing (1779). Un anello è custodito di
generazione in generazione finché un
erede, non volendo deludere nessuno
dei tre figli, lo fa fondere e ne ricava tre
uguali. “E’ così anche per le tre religioni
monoteiste”, conclude Stroumsa; “se
possono essere tutte vere, allora sono
tutte ritenute un po’ false”.
Antonio Gurrado
Il Foglio 12 febbraio 2010