di Maria Zegarelli
Ci sono Emma Bonino, Renata Polverini, Mercedes Bresso, Catiuscia Marini, Adriana Poli Bortone, Maria Antonietta Coscioni, Fiammetta Modena: esempio bipartisan di stelle nello scarso firmamento del mondo politico femminile italiano in pista per le elezioni regionali. Di «normale» in un paese che di normale ha ben poco hanno il loro curriculum: non sono passate prima del debutto in politica sul palco di qualche straziante trasmissione televisiva, non hanno posato per calendari con pochi veli e portano con fierezza i segni del tempo sui loro volti accettando con naturalezza il passaggio delle stagioni.
Direte voi, «buon segno». Sicuro, ma di contro nel Pdl è ormai risaputo che il Cavaliere stia ritirando fuori dal cappello le belle candidate che Veronica Lario stoppò alle Europee e lui adesso vorrebbe imporre alle regionali. Ragazze di bella presenza più che di ricchi curricula, come Giovanna De Giudice, Emanuela Romano e la finalista di miss Italia Francesca Provetti. Il ministro Gianfranco Rotondi le definisce «donne giovani e impegnate», ma nello stesso Pdl c’è chi gira con i musi lunghi perché a «tutto c’è un limite».
Donne e tv In realtà il modello (sub)culturale che ormai si è imposto in tanti anni di tv spazzatura ha sdoganato il modello velina dal Parlamento in giù. Analisi azzardata? Non proprio. Partiamo da un’indagine del Censis del 2006, datata direte voi, sì ma attuale più che mai come potrete vedere. Il lavoro rientra nel progetto «women and Media in Europe» e rimanda una fotografia fedele e spietata: l’immagine della donna che ogni giorno ci regala la tv italiana è stereotipata, patinata, che non invecchia mai e ha le misure da top model.
Lo spazio che viene offerto al gentil sesso - tenete conto che il 60% del pubblico televisivo è donna - è moltissimo: mentre spiattella ricette; cucina con abitini da pin up; accompagna il conduttore e seduce il telespettatore; si sottopone a interventi di chirurgia estetica; piange in trasmissione perché il suo spasimante le fa la dichiarazioni in diretta e via di questo passo. Di donne impegnate in politica, invece, ne vedete poche, soltanto il 6,4%; di anziane ancor meno, il 4,8%. I programmi sono condotti da uomini nel 58% dei casi, quando c’è una conduttrice molto spesso è costretta in abiti da lasciare senza fiato (strettissimi, cortissimi, scollatissimi). Il Censis ha fatto le lastre a 578 programmi televisivi di sette emittenti nazionali (Rai, Mediaset, la7) e il referto non fa sperare niente di buono: le donne compaiono moltissimo nei programmi di informazione ma soprattutto nei fatti di cronaca nera (67%) in quanto vittime o carnefici. Di tutte le altre, donne normali, che lavorano, impegnate in politica, nell’imprenditoria, non si parla quasi mai. Invisibili. Un mondo reale che non deve sfiorare quello mediatico. Bisogna affidarsi alla fiction per vedere in azione una donna medico, o magistrato, o avvocato.
Dati indirettamente confermati da un’altra indagine piuttosto recente, effettuata dall’Isimm Ricerche, che nel periodo 1-30 giugno 2009 ha monitorato i telegiornali e i programmi extra tg di Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, All Music, Sky Tg 24. Oggetto: pluralismo politico-istituzionale in televisione con focus sulla presenza in video di donne e uomini. Il quadro che ne viene fuori è desolante. Il tempo di parola dei soggetti politici ed istituzionali, escluso il governo, secondo la variabile sesso nei vari tg Rai è la seguente: maschi otto ore, 8 minuti, 37 secondi; femmine zero ore, 33 minuti, 49 secondi. In quelli Mediaset gli uomini hanno parlato una manciata di minuti in più, le donne saltano da 33 minuti a 58, mentre a Telecom scendono a 23. Stesso trend sui tg Sky e Rainews. Se le donne stanno al Governo nei Tg Rai compaiono 13 minuti e 46 secondi contro le tre ore e 28 minuti dei ministri. La prima obiezione, ovvia, è: ci sono più ministri uomini, più soggetti istituzionali uomini, più soggetti politici uomini. Vero, questo è il problema, il famoso «tetto di cristallo» che ci tramandiamo di secolo in secolo, come confermano anche i dati sulla presenza femminile nei programmi extra tg delle reti prese in esame. Nelle reti Rai gli uomini parlano complessivamente per 28 ore, 13 minuti, 54 secondi; le donne 4 ore, 55 minuti, 42 secondi. Su Mediaset sei ore e 43 minuti gli uomini; un’ora e 2 minuti le donne, mentre su Telecom Italia media il rapporto è di quasi 17 ore contro poco più di tre.
Le mozioni Il 13 settembre scorso il Senato ha approvato un documento bipartisan che impegnava il governo ad assumere iniziative affinché il sistema radiotelevisivo svolgesse un’opera «di sensibilizzazione» al rispetto della diversità di genere e della dignità delle donne. Come spesso capita un voto non si nega ma poi un intervento reale si rimanda sempre. Così i senatori Pd hanno presentato una mozione con la stessa finalità, prima firmataria Vittoria Franco, per riaprire il dibattito. «A causa della mancata attuazione degli impegni presi da parte del governo in quell’occasione - scrivono i senatori - si ritiene necessario portare all'attenzione di questa Assemblea un’altra mozione, considerato che non solo dalla prima mozione nulla è cambiato, ma sicuramente la situazione nel rapporto tra la figura e il ruolo delle donne nella realtà a causa della rappresentazione distorta che ne fanno i media è senza alcun dubbio degenerata». È talmente degenerata che più volte sia il Comitato di autoregolamentazione Tv e minori sia la commissione di Vigilanza Rai hanno spesso esortato a correggere il tiro. Nella mozione, firmata da 115 senatori Pd, oltre a molti dei dati che abbiamo citato, c’è un invito al governo ad assumere iniziative affinché il sistema radiotelevisivo pubblico non soltanto sensibilizzi, ma «promuova campagne di informazione finalizzate alla diffusione e alla valorizzazione del lavoro e delle opere delle donne nei campi artistico, culturale, scientifico e politico» e ad adottare analoghe misure anche nelle scuole. E dato che una mozione Pd di questo genere è difficile da non votare il Pdl si è attrezzato: ne ha presentata una, a prima firma Maurizio Gasparri, di analogo tenore. Ora resta da capire quanto il presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, sia disposto a smantellare la (sub)cultura di cui sopra che alla fine ha attratto anche mamma Rai. Se ancora non l’avete visto andate a guardarvi il video di Lorella Zanardo «Il corpo delle donne». Non ci sarà altro da aggiungere.
Direte voi, «buon segno». Sicuro, ma di contro nel Pdl è ormai risaputo che il Cavaliere stia ritirando fuori dal cappello le belle candidate che Veronica Lario stoppò alle Europee e lui adesso vorrebbe imporre alle regionali. Ragazze di bella presenza più che di ricchi curricula, come Giovanna De Giudice, Emanuela Romano e la finalista di miss Italia Francesca Provetti. Il ministro Gianfranco Rotondi le definisce «donne giovani e impegnate», ma nello stesso Pdl c’è chi gira con i musi lunghi perché a «tutto c’è un limite».
Donne e tv In realtà il modello (sub)culturale che ormai si è imposto in tanti anni di tv spazzatura ha sdoganato il modello velina dal Parlamento in giù. Analisi azzardata? Non proprio. Partiamo da un’indagine del Censis del 2006, datata direte voi, sì ma attuale più che mai come potrete vedere. Il lavoro rientra nel progetto «women and Media in Europe» e rimanda una fotografia fedele e spietata: l’immagine della donna che ogni giorno ci regala la tv italiana è stereotipata, patinata, che non invecchia mai e ha le misure da top model.
Lo spazio che viene offerto al gentil sesso - tenete conto che il 60% del pubblico televisivo è donna - è moltissimo: mentre spiattella ricette; cucina con abitini da pin up; accompagna il conduttore e seduce il telespettatore; si sottopone a interventi di chirurgia estetica; piange in trasmissione perché il suo spasimante le fa la dichiarazioni in diretta e via di questo passo. Di donne impegnate in politica, invece, ne vedete poche, soltanto il 6,4%; di anziane ancor meno, il 4,8%. I programmi sono condotti da uomini nel 58% dei casi, quando c’è una conduttrice molto spesso è costretta in abiti da lasciare senza fiato (strettissimi, cortissimi, scollatissimi). Il Censis ha fatto le lastre a 578 programmi televisivi di sette emittenti nazionali (Rai, Mediaset, la7) e il referto non fa sperare niente di buono: le donne compaiono moltissimo nei programmi di informazione ma soprattutto nei fatti di cronaca nera (67%) in quanto vittime o carnefici. Di tutte le altre, donne normali, che lavorano, impegnate in politica, nell’imprenditoria, non si parla quasi mai. Invisibili. Un mondo reale che non deve sfiorare quello mediatico. Bisogna affidarsi alla fiction per vedere in azione una donna medico, o magistrato, o avvocato.
Dati indirettamente confermati da un’altra indagine piuttosto recente, effettuata dall’Isimm Ricerche, che nel periodo 1-30 giugno 2009 ha monitorato i telegiornali e i programmi extra tg di Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, All Music, Sky Tg 24. Oggetto: pluralismo politico-istituzionale in televisione con focus sulla presenza in video di donne e uomini. Il quadro che ne viene fuori è desolante. Il tempo di parola dei soggetti politici ed istituzionali, escluso il governo, secondo la variabile sesso nei vari tg Rai è la seguente: maschi otto ore, 8 minuti, 37 secondi; femmine zero ore, 33 minuti, 49 secondi. In quelli Mediaset gli uomini hanno parlato una manciata di minuti in più, le donne saltano da 33 minuti a 58, mentre a Telecom scendono a 23. Stesso trend sui tg Sky e Rainews. Se le donne stanno al Governo nei Tg Rai compaiono 13 minuti e 46 secondi contro le tre ore e 28 minuti dei ministri. La prima obiezione, ovvia, è: ci sono più ministri uomini, più soggetti istituzionali uomini, più soggetti politici uomini. Vero, questo è il problema, il famoso «tetto di cristallo» che ci tramandiamo di secolo in secolo, come confermano anche i dati sulla presenza femminile nei programmi extra tg delle reti prese in esame. Nelle reti Rai gli uomini parlano complessivamente per 28 ore, 13 minuti, 54 secondi; le donne 4 ore, 55 minuti, 42 secondi. Su Mediaset sei ore e 43 minuti gli uomini; un’ora e 2 minuti le donne, mentre su Telecom Italia media il rapporto è di quasi 17 ore contro poco più di tre.
Le mozioni Il 13 settembre scorso il Senato ha approvato un documento bipartisan che impegnava il governo ad assumere iniziative affinché il sistema radiotelevisivo svolgesse un’opera «di sensibilizzazione» al rispetto della diversità di genere e della dignità delle donne. Come spesso capita un voto non si nega ma poi un intervento reale si rimanda sempre. Così i senatori Pd hanno presentato una mozione con la stessa finalità, prima firmataria Vittoria Franco, per riaprire il dibattito. «A causa della mancata attuazione degli impegni presi da parte del governo in quell’occasione - scrivono i senatori - si ritiene necessario portare all'attenzione di questa Assemblea un’altra mozione, considerato che non solo dalla prima mozione nulla è cambiato, ma sicuramente la situazione nel rapporto tra la figura e il ruolo delle donne nella realtà a causa della rappresentazione distorta che ne fanno i media è senza alcun dubbio degenerata». È talmente degenerata che più volte sia il Comitato di autoregolamentazione Tv e minori sia la commissione di Vigilanza Rai hanno spesso esortato a correggere il tiro. Nella mozione, firmata da 115 senatori Pd, oltre a molti dei dati che abbiamo citato, c’è un invito al governo ad assumere iniziative affinché il sistema radiotelevisivo pubblico non soltanto sensibilizzi, ma «promuova campagne di informazione finalizzate alla diffusione e alla valorizzazione del lavoro e delle opere delle donne nei campi artistico, culturale, scientifico e politico» e ad adottare analoghe misure anche nelle scuole. E dato che una mozione Pd di questo genere è difficile da non votare il Pdl si è attrezzato: ne ha presentata una, a prima firma Maurizio Gasparri, di analogo tenore. Ora resta da capire quanto il presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, sia disposto a smantellare la (sub)cultura di cui sopra che alla fine ha attratto anche mamma Rai. Se ancora non l’avete visto andate a guardarvi il video di Lorella Zanardo «Il corpo delle donne». Non ci sarà altro da aggiungere.
«L'Unità» del 10 febbraio 2010