DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Non si elimina la vergogna dei laojiao per almeno 500 mila cinesi


Si tratta di carceri “amministrativi” per crimini minori, ma sono veri lavori forzati dove si finisce senza processo, senza difesa e senza appello, anche solo per avere “disturbato” le autorità o chiesto giustizia. Secondo stime non ufficiali, ora ci sono 500mila detenuti. Insieme ai laogai, hanno imprigionato oltre 50 milioni dagli anni ’50 a oggi. Il governo aveva promesso di eliminare il laojiao nel 2007.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Decine di migliaia di persone in Cina sono detenute nei laojiao, veri campi di lavoro forzato dove si arriva senza processo penale, basta essere considerati causa di problemi o avere presentato petizioni al governo per chiedere giustizia. Di frequente sono le stesse autorità amministrative, o addirittura la polizia, a decidere di internare nei campi i “disturbatori”, per periodi anche lunghi, spesso senza nemmeno comunicare il provvedimento di condanna. Eppure il governo di Pechino già nel 2007 aveva detto che avrebbe cancellato tale sistema.

La statunitense Laogai Research Foundation (Lrf) stima che in tali campi ci siano almeno 500mila detenuti. Altri gruppi pro-diritti dicono che, secondo i dati ufficiali del ministero per la Giustizia, sono oltre 190mila, seppure aggiungono che il calcolo preciso appare impossibile per la carenza di dati. Hu Xingdou, esperto di Pechino che si batte per l’abolizione dei laojiao, dice che ne esistono oltre 300 accertati, ciascuno che ospita da 1000 a 2mila detenuti. Ma tutti concordano che ce ne sono molti altri non ufficiali, dove i disturbatori sono portati per giorni e settimane, senza nemmeno un’accusa ufficiale. Eppure da oltre due anni Pechino afferma che è allo studio un progetto di legge per sbarazzarsi dei laojiao. Parallalo al sistema del laojiao (rieducazione attraverso il lavoro) vi è il laogai (riforma attraverso il lavoro), dove la polizia cinese manda i recidivi. Entrambi i due sistemi prevedono i lavori forzati. La Lrf stima che dagli anni ’50 sono stati in queste prigioni tra 40 e 50 milioni di persone. La gran parte dei laogai sono prigioni usate dal Partito Comunista che risultano in via ufficiale eliminate dopo il 1994.

Nei centri di riforma -tramite-lavoro (laojiao) sono portati i colpevoli di crimini minori, come prostituzione, furto con scasso e aggressione. Per esempio, lo scorso novembre il gestore di un ristorante di Shenzhen è stato condannato a un anno di laojiao per avere spacciato banconote false. Ma i gruppi per i diritti umani documentano la ininterrotta detenzione di contestatori e attivisti prodiritti. Come Zhang Huaiyang di Shenyang, condannato a 18 mesi a giugno per avere messo online su internet il documento Charta 08 e alcuni articoli politici. Il China Human Rights Defenders spiega che Zhang ha cercato senza successo di ottenere la riforma della condanna avanti al tribunale locale.

Tra i detenuti c’è anche Zhang Jie, reclusa parecchie volte per avere presentato petizioni al governo di Pechino per chiedere il risarcimento per la demolizione della sua casa.

Harry Wu, fondatore della Lrf, è stato 19 anni nei laogai, dopo il suo arresto nel 1960 per esseri opposto all’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica. Dopo il rilascio nel 1979 è emigrato negli Usa e da allora si batte per denunciare questo scandalo al mondo. Dice che nei laojiao i detenuti sono costretti a lavorare, la ragione ufficiale è di redimerli per ottenerne il recupero sociale. Ma spesso sono solo utilizzati per le esigenze delle autorità: fare palloni da gioco per le Olimpiadi di Pechino del 2008; prodotti per l'esportazione come luci di Natale, scarpe, parti di autoveicoli e altro.

Hu ricorda che per esserci detenuti “non occorrono prove, non occorre processo…. Non c’è diritto di appello”.

Questa carcerazione senza processo è stata condannata dalle Nazioni Unite, che più volte hanno chiesto a Pechino in via ufficiale di abolire i laojiao, ritenuto contrari alle convenzioni internazionali. L’Assemblea nazionale del popolo si è impegnata a farlo già nel congresso del 2005. Di nuovo un comitato ristretto dell’Anp nel 2007 ha annunciato che stava elaborando un progetto di riforma, ma nel 2008 Teng Wei, vicedirettore dell’ufficio del diritto penale dell’Anp, ha solo comunicato che occorrevano “ulteriori approfondimenti”.

Secondo i media ufficiali, c’è un contrasto tra il ministro per la Pubblica sicurezza, che vuole mantenere l’attuale sistema, e la Corte Suprema del Popolo, favorevole ad allargare le garanzie giudiziarie a tutte le condanne detentive. Ma intanto non risultano novità e Hu commenta al South China Morning Post che per l’abolizione ci vorranno “almeno da 5 a 10 anni”, anche perché “alcune autorità pensano che siano necessari per rendere stabile la società”. “Ma anche perché portano grandi profitti”, tramite il lavoro forzato che “produce merci e crea grandi benefici economici”.