di Inos Biffi All'apparire della costituzione apostolica Anglicanorum coetibus (4 novembre 2009) sull'accoglienza di gruppi anglicani "nella piena comunione cattolica", il pensiero si volge spontaneamente a John Henry Newman, che, dopo un laborioso e tribolato cammino, il 9 ottobre 1845 veniva accolto nella Chiesa cattolica dal passionista Domenico Barberi - beatificato nel 1963 - che per caso passava da Littlemore.
Nel suo Diario Newman scrive: "In serata venne Padre Domenico. Iniziai la mia confessione". "L'8 ottobre - egli annota nell'Apologia (1864) - scrissi a vari amici la seguente lettera: "Littlemore, 8 ottobre 1845. Stasera aspetto padre Domenico, il passionista che, fin dalla gioventù, è stato ispirato a occuparsi in modo diretto e specifico, prima dei paesi del Nord, poi dell'Inghilterra. Dopo quasi trent'anni di attesa fu mandato qui senza che lui l'avesse chiesto. (...) È un uomo semplice e santo, e allo stesso tempo dotato di notevoli qualità. Non conosce le mie intenzioni, ma intendo chiedergli l'ammissione nell'unico ovile di Cristo"".
Quella sera piovosa Newman incominciò, dunque, la sua confessione generale presso il fuoco a cui il passionista, giunto tutto bagnato fradicio, si riasciugava. La preparava da giorni e la terminò l'indomani, il 9 ottobre, quando, verso le sei del pomeriggio, fece la professione di fede, seguita dal battesimo sotto condizione; il giorno seguente partecipò alla messa e fece la comunione.
"Avevo l'impressione - ricorderà sempre nell'Apologia - di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora ad oggi, è rimasta inalterata". "Mai la Chiesa Romana, dopo la riforma protestante, - avrebbe commentato il primo ministro britannico William E. Gladstone - ha riportato una vittoria più grande!".
A proposito di questa Chiesa nel maggio del 1843 aveva comunicato a Keble: "Temo di credere che la comunione cattolica romana sia la Chiesa degli apostoli. Sono assai più sicuro del fatto che la Chiesa anglicana si trovi in loco haereseos, che non del fatto che le aggiunte romane al Credo originale non siano altro che sviluppi scaturiti da un'esperienza viva e penetrante del deposito della fede". E il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana cui si stava dedicando gliene dà una conferma sempre più chiara.
A Henry H. Manning aveva scritto che le sue dimissioni da vicar di St. Mary's non erano dovute a delusione né a irritazione, ma alla sua convinzione che "la Chiesa di Roma è la Chiesa cattolica", mentre non lo era quella anglicana. Alla sorella Jemima, angosciata dalla scelta del fratello come chi viene a sapere "che un caro amico deve morire", diceva in una delle lettere tormentate e piene di affetto di quel tempo: "Una chiara convinzione della sostanziale identità fra Cristianesimo e sistema romano occupa la mia mente da tre anni"; l'"unica ragione" del suo gesto era "semplicemente quella di credere che la Chiesa romana è quella vera". D'altronde egli non poteva fare diversamente: "Non vedo nulla che mi possa spingere alla decisione, se non il pensiero che offenderei Dio, non facendolo".
Nel suo soggiorno a Milano, nel 1846, osservava: "Oggi è un anno dacché sono nella Chiesa Cattolica - e ogni giorno benedico Lui, che mi conduce dentro sempre più. Sono passato dalle nubi e dalle tenebre alla luce, e non posso guardare alla mia precedente condizione senza provare l'amara sensazione che si ha quando si guarda indietro a un viaggio faticoso e triste".
Il distacco dalla Chiesa anglicana era stato dolorosissimo, e tutti, in lacrime, lo avevano avvertito nella cappella di Littlemore il 26 settembre del 1843, quando Newman pronunziò il suo ultimo sermone anglicano - "La separazione dagli amici" - ossia la separazione, come egli diceva, da quella Chiesa che non lo riconosceva più e da quei fratelli, "teneri e affettuosi", ai quali domandava che pregassero "perché conoscesse la volontà di Dio e fosse pronto ad attuarla". L'unico suo timore - avrebbe scritto ancora alla sorella Jemima - era quello di "tradire la grazia divina".
La conversione segnava l'approdo di un cammino interiore arduo e lucido, in cui si intrecciava la sua fedeltà alla coscienza che via via trovava la sua illuminazione nella storia stessa della Chiesa. Dal profilo della fedeltà alla Grazia e alla coscienza si potrebbe dire che quel cammino era incominciato quando nella sua prima conversione (1816) brillò in lui, con la diffidenza per "la verità dei fenomeni mutevoli", "l'idea di due e solo due esseri assoluti di piena evidenza: Io e il mio Creatore" - Creatore che parla e si rivolge a lui personalmente nella Scrittura - e la persuasione che "la santità è preferibile alla pace" e che "la crescita è segno della vita".
Ma va segnata un'altra tappa nell'iter interiore di Newman, quando, in circostanze di viva sofferenza e di prostrazione, nel 1827, si risvegliò bruscamente dalla seduzione dell'intellettualismo e del liberalismo. Venne poi il viaggio nel Mediterraneo del 1833 e la malattia in Sicilia, durante la quale andava ripetendo di "non aver mai peccato contro la Luce", la Luce che brillava nel suo spirito illuminato dalla Parola di Dio.
Intanto si dedicava allo studio appassionato dei Padri della Chiesa, e particolarmente dei suoi "amici del secolo iv", che erano "Atanasio dal cuore regale", il "maestoso Ambrogio", il "glorioso predicatore" Crisostomo, paragonato a "una giornata di primavera, luminosa e piovosa, che riluceva e brillava della pioggia", e Basilio, simile a "una giornata d'autunno, calma, mite e uggiosa", e Gregorio di Nazianzo, un'"estate piena, con lunghe ore di dolce quiete, e la monotonia spezzata da lampi e tuoni".
"Sempre il ricordo dei Padri - annota Denys Gorce - dorme in fondo alla sua anima, pronto a rivivere e a manifestarsi. Passando a Milano, nel recarsi a Roma, (...) egli si sentirà perfettamente at home nella grande città patristica". Newman aveva scritto: "Questo è il luogo più meraviglioso. (...) Milano presenta maggiori richiami, che non Roma, con la storia che mi è familiare. Qui ci fu Sant'Ambrogio, Sant'Agostino, Santa Monica, Sant'Atanasio".
Dichiarerà a Pusey: "I Padri mi fecero cattolico (The Fathers made me a Catholic)" e chiederà al Signore "il senso dei santi Padri", così da dire quello che essi hanno detto e da pensare quello che essi hanno pensato.
Furono, quelli, per Newman anni di assidua e sofferta ricerca e di penetrante e rigorosa valutazione intellettuale. Ma egli si accorgeva che, per una "verità intera", non poteva più accontentarsi di una "via media", e che i suoi Tracts - che gli provocavano violente reazioni e forti condanne - lo inducevano al distacco definitivo e traumatico, d'altronde rasserenato da sicura coscienza. Il "Movimento di Oxford", che egli aveva suscitato, come una primavera, maturava in lui nell'adesione alla Chiesa di Roma, pur continuando a portare nel cuore e nella memoria il bene ricevuto e l'attaccamento alle valide tradizioni conservate nella sua Chiesa.
Newman entrava, secondo le parole della costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, in quell'"unica Chiesa di Cristo che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica", quale "sussiste nella Chiesa Cattolica governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui".
Newman non si sarebbe mai pentito del passo fatto. Trent'anni dopo la conversione avrebbe confidato: "Dal 1845 non ho mai esitato, neppure per un solo istante, nella convinzione che fosse mio preciso dovere entrare, come allora ho fatto, in questa Chiesa cattolica che, nella mia propria coscienza, ho sentito essere divina".
E quando si sussurrava che, deluso del trattamento che gli era riservato nella Chiesa Cattolica, avesse intenzione di ritornare alla Chiesa anglicana, egli smentì con indignazione quelle voci: "Non ho mai vacillato un istante nella mia fiducia nella Chiesa Cattolica, da quando sono stato accolto nel suo grembo. Sarei un perfetto imbecille - per usare un termine moderato - se nella mia vecchiaia abbandonassi "la terra dove scorrono latte e miele", per la città della confusione e la casa della servitù".
(©L'Osservatore Romano - 21 febbraio 2010 )