DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Quella 'metanoia' che ci consente di offrire perdono. Scola, Card. Angelo

Quasi aggrappato al bellissimo crocifisso quattrocentesco il Papa sosta in silenzio. La forza scultorea di quest’immagine sintetizza il significato del grande gesto con cui, nella Basilica di San Pietro, Giovanni Paolo II ha voluto «implorare il perdono divino per le colpe di tutti i credenti».
Con l’acuto senso drammatico dell’esistenza che lo contraddistingue e che rivela l’apertura profonda della sua persona al Mistero e all’umanità, nel Mistero sempre
abbracciata, il Papa ha poi approfondito, nell’omelia, il valore che la Chiesa deve attribuire a questo coraggioso passo da Lui profeticamente ed indomitamente voluto. Libero dai rischi di fraintendimento che, fuori e dentro la Chiesa, un simile gesto potrebbe comportare. Libero dalla pretesa di giudicarne le conseguenze perché consegnato integralmente, in questo atto di confessione, al suo Signore.
1. L’apertura dell’omelia offre il senso del gesto. Prendendo le mosse dalla Seconda Lettera ai Corinti — «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto il peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2 Cor 5, 20-21) —, il Papa lascia chiaramente intendere che la logica dell’atto da lui compiuto è la stessa della paradossale — così egli l’ha definita — iniziativa del Padre di trattare il Suo Figlio Unigenito da peccato per la nostra salvezza: «Cristo, il Santo, pur essendo assolutamente senza peccato, accetta di prendere su di sé i nostri peccati. Accetta per redimerci».
Questo paradosso — al quale il Padre, per la potenza dello Spirito, introduce il Figlio Unigenito e che il Figlio, nell’amore dello Spirito, accoglie dal Padre incarnandosi — mostra la ragione adeguata per cui la Chiesa, nel Successore di Pietro circondato dai suoi più stretti collaboratori della Santa Sede, decide, in tutta umiltà, di confessare le colpe dei propri figli.
Certo: la Chiesa non è Gesù Cristo. E pur tuttavia, in tanto in quanto ne è il sacramento, Essa — come i Padri hanno ben intuito — non può non renderne presente la santità nel mondo di oggi. Forte e precisa è stata la sottolineatura di questo dato sia nell’omelia del Santo Padre, sia in tutto il ritmo del singolare gesto liturgico. La Chiesa stessa — anche se composta, come diceva Maritain, da un «personale» esposto, dal primo fino all’ultimo fedele, al peccato — partecipa misteriosamente della paradossale dignità del suo Capo che, inabissando la sua onnipotenza nell’impotenza della kenosi, arriva fino a farsi simile a tutti gli uomini nel peccato, per riscattarli.
2. A questo punto si apre il secondo orizzonte della riflessione del Santo Padre. Una simile concezione rafforza il convincimento, messo puntualmente in rilievo anche dal documento della Commissione Teologica Internazionale, che per parlare di peccato occorre partire dalla responsabilità diretta della persona: «Confessiamo, a maggior ragione, le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi».
Il grande gesto che il Papa, a nome di tutti i cristiani, ha compiuto in San Pietro, non solo implica il coinvolgimento personale, ma proprio da esso prende le sue mosse. In primo piano, perciò, sta il «mio peccato». La «mia libertà», però, è solidale in Cristo Gesù con quella di tutti gli uomini. E tale solidarietà rivela la singolare, negativa de-solidarietà degli uomini in «Adamo». Ecco perché il peccato dei figli della Chiesa che ci hanno preceduto ci riguarda da vicino. Esso pesa sulla nostra libertà non perché i figli siano responsabili delle colpe dei padri, ma perché l’uomo, quando pecca, sempre, inesorabilmente, comunica a tutti gli altri qualcosa di mortale. Questa circolazione di morte è stata definitivamente vinta nell’abbassamento vertiginoso del Figlio di Dio trattato da peccato. E così, con evidenza, s’impone un dato confortante dell’esperienza cristiana: la grazia — che è Cristo stesso, volto misericordioso del Padre — è sempre offerta alla libertà dell’uomo.
3. La dinamica di de-solidarietà in Adamo, vinta dalla grazia di Cristo che imposta la nuova solidarietà della comunione dei santi, è stata evidenziata dal Successore di Pietro con un vero e proprio atto primaziale. Recentemente il Papa ha ricordato che la genesi del ministero petrino è pura grazia, sottolineando la fragilità del primo degli apostoli, chiamato perciò ad un permanente atteggiamento di confessione. Così, proprio nel pieno esercizio del primato petrino, Giovanni Paolo II ha riassunto in sé, ad un tempo, la dimensione personale e quella comunitaria che vede la Chiesa riconoscere di fronte a Dio tutte le colpe commesse nel passato dai suoi figli e domanda a noi, figli del presente, la forza di saper cambiare.
Da questa sua particolare vocazione prende le mosse il duplice movimento confessante cui il Papa ha fatto riferimento nell’omelia. Per ben due volte Egli ha ripetuto «perdoniamo e chiediamo perdono». In effetti, secondo la grande logica del Padre nostro, la preghiera insegnataci da Gesù stesso, sarebbe impossibile ogni perdono se non partisse dalla contrizione del nostro io. Se non cominciasse, cioè, dal grido, tutto pieno di stupore e di dolore, a Cristo che, presente nell’Eucaristia, ci raggiunge nelle circostanze e nei rapporti di ogni giorno e ci muove ad invocare il cambiamento. Quella metanoia ci consente di offrire perdono!
4. All’alba del nuovo millennio, il Santo Padre invita tutti i fedeli a camminare liberi nella sequela di Cristo e, proprio per questo, così desiderosi della verità da saper piegare la propria libertà nell’obbedienza. Questa, senza alcun dubbio, ha nella contrizione e nell’invocazione del perdono di Dio, la sua più acuta punta espressiva: «Occorre rendersi conto fino in fondo del valore del grande dono che il Padre ci ha fatto in Gesù. Bisogna che davanti agli occhi della nostra anima si presenti Cristo». Solo così, infatti, la libertà incontra veramente il volto dell’altro e, attraverso l’altro, si fa carico di tutti i bisogni che emergono in un determinato frangente storico.
Dopo lo straordinario atto penitenziale di questa prima Domenica di Quaresima, i figli di Dio che vivono nella santa Chiesa, sono potenzialmente più spalancati a raccogliere la domanda che sgorga incessante dal cuore di uomini e di popoli; più capaci di una solidarietà verso tutti e ciascuno; più disponibili alle urgenze, espresse ed inespresse, che provengono dal travaglio con cui ogni uomo vive gli affetti e il lavoro;
più aperti al paragone con l’esperienza religiosa di uomini e popoli di altre culture. Ne scaturisce un energico richiamo alla rigenerazione dell’unità fra gli stessi cristiani solidali con i fratelli maggiori del popolo eletto di Israele. Essi si dispongono, inoltre, alla carità fino al martirio nell’assunzione dei bisogni personali, sociali, di civiltà, di solidarietà, di cultura, di giustizia e di pace che caratterizzano il mondo di oggi.
5. Forse il riverbero più provocante del gesto compiuto dal Santo Padre ci è stato offerto dal Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede mentre pronunciava dall’Altare della Confessione questa preghiera: «Preghiamo perché ciascuno di noi, riconoscendo che anche uomini di Chiesa hanno talora fatto ricorso a metodi non evangelici nel pur doveroso impegno di difesa della verità, sappia imitare il Signore Gesù mite ed umile di cuore». La verità si difende in forza della verità, perciò non teme mai la libertà. Il Cardinal Ratzinger, senza nulla togliere al compito di promozione e di custodia della dottrina affidato alla Congregazione, ha reso più incisivo e potente l’esercizio di questa collaborazione al Successore di Pietro.
Nel riconoscere umilmente che la libertà di ogni fedele può barcollare di fronte alla potenza della verità, il valore della verità ne esce esaltato e ancor più capace di convincere. E questo nulla toglie allindefettibilità della Chiesa!