"Cari Sacerdoti. Raccolta antologica" è il titolo del volume che riunisce gli scritti sul sacerdozio di Giovanni Battista Montini. Il volume, curato da padre Leonardo Sapienza, è stato pubblicato per la prima volta nel 2001 ed è stato ristampato per iniziativa dell'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, Antonio Zanardi Landi, in occasione dell'Anno sacerdotale e in concomitanza con la visita di Benedetto XVI a Brescia e Concesio (8 novembre 2009). Apre la raccolta uno scritto - che qui pubblichiamo - tratto dalla prefazione che nel 1954 il pro-segretario di Stato Montini, poco prima della sua nomina ad arcivescovo di Milano, dedicò al volume di monsignor Pierre Veuillot "Notre Sacerdoce. Documents pontificaux de Pie x à nos jours", pubblicato quell'anno a Parigi.
Dal Vaticano, li 23 agosto 1954.
La letteratura si è divertita a rimettere in scena il prete, non più come personaggio convenzionale, un tantino comico e compiacente, avvezzo ad evitare querele e disturbi, e destinato a fallire il colpo che sarebbe suo, quello d'indovinare l'ora e il dramma degli spiriti; ma piuttosto come l'essere esotico e misterioso, che ha una esperienza del mondo e degli uomini tutta sua, intessuta di sofferenze e di misticismo, anche lui destinato a mancare di successo pratico, non più però per colpa propria, ma per la sordità o l'ostilità del mondo profano che lo circonda.
E concomitante a questa illustrazione psicologica e narrativa il mondo moderno ha guardato al prete con occhi infocati di ostile sarcasmo e accecati di mentalità utilitaria: l'erede d'un medioevo finito, l'alleato dell'egoismo conservatore, il bonzo d'una litania spenta, l'estraneo alla vita, ecco il prete.
Il clero ha sentito quest'ondata d'infido interesse letterario per i segreti del suo animo e di antipatia repellente della società alla sua permanenza in mezzo alle nuove faccende del secolo; ha sentito, e si è raccolto su se stesso: bisogna - ha detto dentro di sé - riprendere coscienza, verificare i propri poteri e i propri doveri, commisurare la propria missione alle condizioni del mondo circostante, profondamente mutato.
Il moto istintivo, certamente saggio, è stato di difesa; e non già dei carismi del sacerdozio, che, ignorati dal mondo, subivano minori contrasti, quanto delle forme canoniche sociali ed esteriori, che ordinatamente definiscono la vita del prete, l'abito, la lingua, lo stile. E parve ad alcuni educatori che tutto fosse qui, o almeno questo il punto più minacciato, e perciò bisognoso di tutela e di esercizio.
Altri ricorsero allo stupendo sforzo del rianimare interiormente l'espressione cultuale, nella quale il sacerdote è, più che in altre cose, impegnato: il movimento liturgico ridonò senso e poesia alla stanca preghiera, il rito riapparve nelle sue vesti genuine di austerità e di bellezza, la celebrazione dei misteri riaccese il senso dell'ineffabile connubio divino e umano dell'azione sacramentale; un brivido di gioia misteriosa, di divina presenza e di umana carità invase le pie assemblee ricomposte intorno all'altare; e il sacerdote gioì: la primavera della Chiesa rifioriva.
Ma spesso le assemblee erano piuttosto gruppi scelti; le folle mancavano. Il popolo sembrava, nella sua più vasta moltitudine, inesorabilmente assente. Tornerà? Non tornerà. Bisogna andarlo a cercare. Tocca al sacerdote muoversi, non al popolo; inutile che il sacerdote suoni la sua campana; nessuno l'ascolta; bisogna ch'egli intenda le sirene che vengono dalle officine, i templi della tecnica di cui vive e palpita il mondo moderno; tocca a lui a rifarsi missionario se vuole che il cristianesimo resti e ritorni ad essere fermento vivo della civiltà. E il sacerdote si mosse. Bisogna comprendere: l'apostolo è pastore, è pescatore; si adatta cioè a tutte le esigenze del fine da conseguire, che è quello di riprendere le anime e condurle a Cristo. Un certo relativismo apostolico è insito al genio dell'arte pastorale. E di qui un riformismo nuovo invase l'anima del sacerdote: buono il principio; ma quanto difficile, quanto pericolosa l'applicazione! A chi tocca la riforma? e quale dev'essere? Alcuni incauti non posero mente a questi elementari e grandi limiti, che solo all'autorità della Chiesa spetta custodire e tracciare e che, ove si tratti del divino deposito della fede e della legge di Cristo, essa stessa non può che difendere.
Ed è in questa molteplice e affannosa ricerca del vero concetto del sacerdozio che la spiritualità del nostro tempo si è maggiormente esercitata, e che le speranze, non pur dei soli fedeli, ma anche di tanti spiriti chiaroveggenti del campo laico e civile, specialmente durante e dopo le tragiche esperienze delle guerre, si sono rivolte: un vero, un buono, un umano, un santo sacerdozio salverebbe il mondo. La missione dello spirito è incontestabile. Perfino l'ateismo si crea i propri attivisti, idealmente votati alla causa. La dedizione di fratelli al bene dei fratelli è la sola molla che può rialzare il mondo; l'idea di sacrificio e di redenzione è ancor oggi, nella trionfante profanità materialista, il faro orientatore d'ogni autentico sforzo morale e sociale. L'arte di professare le dottrine più alte e più universali e di sapersi curvare, in virtù delle dottrine stesse, su le singole sofferenze umane, sul povero, su l'orfano, sul delinquente, sul disperato, è tutt'oggi reputata la più eccellente per dare all'umanesimo dei tempi nuovi un senso autentico di vita, di nobiltà, di speranza: è l'arte del sacerdozio. E sì; anche la capacità di esprimere gli ineffabili veri che ci circondano, di avvicinare senza profanare il mistero in cui l'universo è sommerso, di dare senso alle cose e interiore linguaggio agli spiriti, e voce sonante alla fatica, al dolore, all'amore dell'uomo, preghiera cioè, che sia vera come la luce, e come la luce poesia e vita, anch'essa può essere sacerdozio, ed anch'essa è nel cuore ancor viva del secolo ventesimo.
Allora, il sacerdozio che cosa è?
Non rispondo io; risponde il libro, che qui si apre.
Basti a me ricordare come appunto la domanda sia viva, e come parta, in ben diversa espressione, e dalla Chiesa e dal mondo. Verrà così il desiderio, pieno di rispetto e di attenzione, di scorrere queste pagine magistrali.
Chi avesse vaghezza di scoprirvi un disegno metodico e di classificare in capitoli generali la vasta materia, non durerà fatica ad accorgersi come la sua apparente discontinuità e la sua disuguaglianza possono facilmente essere ridotte a tre punti principali, sotto i quali essa logicamente si riassume. E cioè: dapprima - dico in senso estimativo - il Sacerdote è considerato come l'uomo di Dio. È un essere umano che fa sua vita dare culto a Dio, cercare Dio, inebriarsi di Dio, studiare Dio, parlare a Dio, parlare di Dio, servire Dio.
È l'uomo religioso; è l'uomo sacro. È l'intermediario fra Dio e gli uomini, è il ponte; rappresenta Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Questa è la prima vena da cui scaturiscono insegnamenti e commenti, che hanno la meravigliosa freschezza delle cose sempre vive, e non mai abbastanza esplorate e comprese.
Poi dalla specificazione religiosa si viene a quella morale. Il Sacerdote dev'essere un uomo tutto speciale: non certo l'efficacia essenziale del suo ministero dipende dalle sue qualità, dalle sue virtù, ma tali sono le sue funzioni, tali i suoi doveri, che tutta la sua psicologia, tutta la sua anima, tutte le sue azioni vi devono corrispondere. Il Sacerdote dev'essere santo. Quale poi sia la santità confacente all'esercizio del sacerdozio è questione di grande importanza e di non minore complessità. Esortazioni, insegnamenti, consigli, ammonimenti si moltiplicano per dare alla figura del sacerdote il suo migliore risalto morale. L'imitazione, anzi l'assimilazione a Cristo arricchisce di valore mistico questa parte della formazione sacerdotale.
Viene la terza, ricchissima, e riguarda la specificazione sociale del sacerdozio. Il sacerdozio è un servizio sociale. È per gli altri. È l'organo del Corpo mistico destinato a distribuire la grazia e la dottrina e la guida salvatrice.
Sacerdozio e egoismo sono termini antitetici.
Sacerdozio e carità coincidono.
I termini sgorgano da non finire: apostolo, missionario, padre, pastore, maestro, fratello, servo e vittima. La più attraente e la più difficile delle imprese, quella di formare gli altri, di dare loro un modo di pensare, di pregare, di agire, di sentire, questa è la missione del Sacerdote. Quindi un'estrema capacità di distinguersi e di confondersi, di influire e di pazientare, di parlare e di ascoltare. È luce, è sale. Cioè elemento attivo, operante; entra nelle anime, con infinita riverenza, per liberarle, per affrancarle, per compaginarle all'unità di Cristo. Se non fa questo, che è? E perciò egli dev'essere immensamente abile. Un artista, un operaio specializzato, un medico indispensabile, un iniziato alle sottili e profonde fenomenologie dello spirito: uomo di studio, uomo di parola, uomo di gusto, uomo di tatto, di sensibilità, di finezza, di forza. Quanto lavoro su se stesso deve il Sacerdote esercitare per abilitarsi a lavorare su gli altri! E tutto questo nella semplicità del vero, nell'umiltà dell'amore, senza artificiosi infingimenti, senza vili timidezze! Timoroso se mai d'essere, o d'apparire interessato, di ricevere senza dare, di comandare senza servire. Arte difficile, difficilissima, che suggerisce al sommo magistero innumerevoli, impareggiabili insegnamenti.
Come spesso avviene all'esame approfondito dei vari aspetti del cristianesimo, anche a questa analisi del sacerdozio si avrà l'impressione dell'inarrivabile: l'ideale è troppo alto; l'uomo ha osato troppo; fallirà il segno. Sì, è possibile; ed è terribile: nulla è più vicino al perfetto quanto il ridicolo, nulla tanto vi corrisponde, contraddicendolo, quanto il mostruoso; e, pur troppo, a cadere dall'alto basta poco. Ma il quadro non sarebbe completo se le forze capaci di produrre un tale prodigio, qual è il sacerdozio, non fossero esse pure indicate; una, umile e coraggiosa, che si chiama vocazione, cioè tormento interiore, amore che non dà pace, sicurezza nella debolezza, comando liberatore. L'altra, ineffabile e potente, che investe la creta umana e le imprime un sigillo nuovo, la solleva a potestà trascendenti; e si chiama la grazia, quella grazia che un sacramento speciale, l'ordine sacro, conferisce solennemente.
L'uomo non è più lui, è uno strumento, è un organo. La Chiesa lo possiede. Il Sacerdote è l'uomo della Chiesa; è il suo ministro; ne custodisce e ne dispensa la dottrina; ne fa scaturire i tesori di grazia e li dispensa; intona la preghiera, perché il popolo ripeta e risponda.
Ed anche su questo aspetto gli insegnamenti dei Pontefici sono copiosi e belli; un accento di paternità li fa misteriosi e patetici, commoventi talvolta.
La lettura perciò di queste pagine sarà interessante. Per chi ne comprenderà a fondo l'incomparabile significato sarà suggestiva. Perché produrrà ancora una volta - la collezione delle opere classiche e popolari sul sacerdozio è ricchissima - la meravigliosa sorpresa di scoprire sotto la nera tunica, disprezzata e consunta, del sacerdozio cattolico un mondo singolarissimo, il mondo del sublime e dell'eroico; un mondo sempre in fieri, com'è la perfezione in questa vita terrena, e perciò deficiente e rinascente: un mondo sovrumano e umanissimo; un mondo estremamente ideale ed estremamente concreto.
E con questa meraviglia un'altra: quella d'incontrare eternamente fedele il Maestro, il Papa, che dice, come usa lo stile romano, parole eccelse e gravi con accento semplice e piano, e che invita anime pure e generose di giovani a seguirlo, ad aiutarlo, a continuare la sua opera di salvezza nello spregiudicato, ma affamato mondo moderno.
(©L'Osservatore Romano - 18 febbraio 2010)