Gentile direttore,
mi spinge a scriverle un articolo sul cardinale Tarcisio Bertone pubblicato su « Il Foglio » del 13 febbraio scorso dove si afferma all’inizio che «amici e nemici finiscono stranamente per dire la stessa cosa, sia pur con accenti diversi: molte gambe, molto fiato e molto cuore, ma poca o nessuna strategia». Io non oso definirmi amico a motivo della venerazione che porto verso il cardinale ( se mai, è lui che può considerarmi tale), certo non sono nemico (categoria che non dovrebbe esistere per i cristiani), ma scrivo semplicemente come uno che conosce bene il segretario di Stato di Benedetto XVI, avendo lavorato con lui quando era arcivescovo di Vercelli e fino a oggi per collaborazioni di cui sono richiesto per il governo della Chiesa universale.
Senza conoscenza diretta, l’articolo si basa su notizie e interpretazioni degli atti di governo del cardinale Bertone , con molti dettagli che andrebbero rettificati, e dà un ritratto deformante sin dal titolo (« Bertone l’allegrone») che, per amore di rima, rende negativa una qualità del segretario di Stato. Stupisce non tanto il fatto che l’articolo, riprendendo voci giornalistiche o anonime tanto diffuse quanto infondate, enumeri gli ipotetici lati negativi del suo governo, quanto piuttosto che riesca a deformare gli aspetti positivi che non possono essere ignorati. Il risultato è un’insalata che risulta indigesta a chi ama la verità e conosce il cardinale Bertone così come egli è e non come lo si vuole dipingere. Posso assicurare dalla mia esperienza che il tratto umano e salesiano della sua personalità non è affatto di ostacolo alla missione che ha avuto e ha nella Chiesa proprio perché gli permette di stare vicino alla realtà del popolo cristiano e della società civile allo scopo di annunciare e testimoniare il Vangelo in modo comprensibile e positivo. Le opposizioni che incontra sono del tutto spiegabili, ma non sono un segno di fallimento e tanto meno di mancanza di una strategia ( in contraddizione con l’altra accusa di decisionismo!).
Ma se questa mia testimonianza potesse sembrare influenzata dalla troppa prossimità, più di ogni altra opinione dovrebbe valere quella dello stesso papa Benedetto XVI, che lo ha scelto non per raccomandazioni indirette, ma per collaudata conoscenza diretta. Ora, se una persona intelligente e prudente come questo Pontefice ha scelto il cardinale Bertone come suo segretario di Stato, dopo averlo avuto come segretario della Congregazione per la dottrina della fede, l’unica spiegazione possibile è che lo ritiene adatto a questa missione e il miglior suo collaboratore.
Del resto, basta leggere quanto lo stesso Benedetto XVI ha scritto nella calorosa lettera del 15 gennaio scorso per rendersi conto della verità di quanto ho riportato dalla mia esperienza. Il Papa non si accontenta infatti di mettere in rilievo l’humanitas del segretario di Stato, grazie alla quale nella Congregazione per la dottrina della fede si è creato «un clima di autentica familiarità » , ma afferma che questo clima ha favorito «una decisa e determinata disciplina di lavoro». Ed è lo stesso Benedetto XVI a riconoscere che questa humanitas nel cardinale si compone armonicamente con il sensus fidei e la «preparazione dottrinale e canonistica».
Nell’articolo pubblicato su « Il Foglio » , al contrario, l’ humanitas viene declassata a una vaga allegria, quasi da buontempone, mentre si rimprovera al cardinale la mancanza di pedigree diplomatico e di strategia.
Ma se papa Ratzinger avesse voluto come segretario di Stato una persona con pedigree diplomatico, non aveva che l’imbarazzo della scelta e questo vuol dire che il governo pastorale di Benedetto XVI voleva un tale collaboratore (forse anche per cancellare nella Chiesa quella «sporcizia» che, da cardinale, Ratzinger aveva conosciuto e denunciato). Il fatto che alcuni possano criticare il cardinale Bertone è del tutto legittimo (purché sia rispettata la verità), ma non si può ignorare che quanto fa il segretario di Stato è servire il Papa e che ogni tentativo di separare l’uno dall’altro è frutto di dietrologie smentite dai fatti (si veda il comunicato della Segreteria di Stato del 9 febbraio approvato da Benedetto XVI, che ne ha ordinato la pubblicazione).
Questo ho voluto scriverle, gentile direttore, per una maggiore conoscenza della realtà affinché, come si legge nel citato comunicato, «si affermino la verità e la giustizia».
Cordialmente
Giuseppe Versaldi vescovo di Alessandria
© Copyright Avvenire, 18 febbraio 2010
Lettera a monsignore Risposta (sine ira ac studio) al vescovo di Alessandria che ci critica
A monsignor Giuseppe Versaldi, vescovo
di Alessandria
Eccellenza
reverendissima, su Avvenire di ieri lei
lamenta per lettera l’effetto “deformante”
che risulterebbe dal ritratto
del segretario di stato vaticano, cardinale
Tarcisio Bertone, pubblicato dal
Foglio il 13 febbraio. Lei, monsignore,
è stato vicario generale negli anni in
cui Bertone, che volle nominarla, ricopriva
l’incarico di arcivescovo della
diocesi di Vercelli. Quel sodalizio che
ha dato tanti buoni frutti è alla base
del fatto che ora si dice sia proprio lei,
monsignore, il candidato favorito alla
sede arcivescovile di Torino, dove è
prossima la scadenza del mandato del
cardinale Severino Poletto (il Foglio,
17/02/10).
La comprensibile sollecitudine e
l’amicizia verso il segretario di stato le
fanno quindi onore. Ma forse le fanno
vedere attacchi e inesattezze dove non
c’è altro che normale lavoro, sine ira
ac studio, di raccolta di pareri e umori
(“un’insalata che risulta indigesta
alla verità”, ha scritto su Avvenire).
Quando lei rileva una contraddizione
nell’articolo del Foglio – se a Bertone
si rimprovera un eccesso di decisionismo,
scrive, non si capisce come si
possa attribuirgli nello stesso tempo
la mancanza di una vera strategia –
forse dimentica che il problema segnalato
da molte delle voci riportate
nell’articolo sembra essere quello: decisionismo
senza strategia. Vorremmo
anche sottolineare che, per quanto ci
riguarda, pur essendo contrari alle
estreme derive dell’illuminismo, la
nostra è comunque una cultura critica,
che sine ira ac studio (ancora) può
occuparsi criticamente anche dei problemi
della chiesa. Infine, di fronte all’obiezione
che il segretario di stato
vaticano viene scelto dal Papa, può essere
utile leggere ciò che scrive Famiglia
cristiana questa settimana: “Ogni
tanto non diamo al mondo laico un
bello spettacolo di chiesa. Anche perché
c’è chi non aspetta altro per delegittimarne
l’autorevolezza. Né basta a
coprire divisioni e lotte interne, farsi
scudo della persona del Papa”.
Ma Ferrara ricorda quando diceva che Famiglia Cristiana non capiva la sua Lista contro l'aborto?
Un altro segno di incomprensione acuta lo ha dato Famiglia cristiana. Mi tratta con simpatia. Ma aggiunge che sbaglio a portare la cosa in politica, che è divisivo porre una questione delicata al giudizio dei cittadini. Perché, ai cittadini vanno poste solo le questioni inessenziali? Capisco che nella cultura cattolica è forte l’idea di agire sulle coscienze individuali, in una logica di conversione più che di diritto positivo, di politica. Ma io sono un laico. Questo è il mio contributo, forse fallimentare forse no, a far riemergere anche in politica (“la più alta forma di carità” secondo Paolo VI) una questione decisiva della vita contemporanea: la tendenza inarrestabile (in apparenza) a un progressivo maltrattamento disumanizzante della vita umana. Che ci posso fare?Infine, sempre Famiglia cristiana dice che sono un “mago” dell’informazione. È un altro modo di dire: furto con destrezza. Ma il mio giornale vende quindicimila copie, un rapido passaggio moratorio su Otto e mezzo valeva tre punti percentuali. Non capiscono i paolini, così esperti come sono in giornali e editoria milionari, che è successo qualcosa al di fuori di me, delle mie effettive possibilità, dei miei mezzi? Non capiscono che se alla fine, con due lire, con due o tre volontari, con uno staff inesistente, con un giornalino di élite, con comportamenti diversi da quelli esplosivi delle battaglie single issue che abbiamo conosciuto (una dieta speciale intimista al posto di un digiuno con collegio medico ansioso), se alla fine la moratoria ha fatto il giro dell’Italia e del mondo, e la lista è in tutte le circoscrizioni della Camera, e la questione è posta per tutti, bè, se è successo questo vuol dire che qualcosa era accaduto in dipendenza non dalla mia magia ma dalla feroce malizia con cui in questi trent’anni avevamo rimosso la questione della vita e della morte?
Il Foglio 17 marzo 2008