DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Anche l’Africa ha le sue colpe. Di Franco Cardini

L’ Africa è stata per troppo tempo un «continente ne­gato ». Mèta di avventure coloniali e di romantici viaggi, ter­ra tanto affascinante da generare in chi la conosceva una vera e pro­pria malattia tra lo psicologico e il sentimentale – il «mal d’Africa» –, oggetto dell’amore di personaggi che vanno da Karen Blixen a Leo Frobenius, teatro delle gesta cine­matografiche di Clark Gable, Ava Gardner, Humphrey Bogart e Katharine Hepburn, è rimasto nel­la sostanza un continente avvolto in una spessa cortina di pregiudizi e di stereotipi. Dall’Africa sono provenute, negli ultimi due secoli, gran parte delle materie prime che hanno consentito all’Occi­dente il suo straordinario decollo socioeconomico e il consegui­mento di un distacco incolmabile rispetto al resto del mondo in ter­mini di qualità della vita. Eppure, poco abbiamo studiato a scuola e meno ancora capito di quello che in quell’immenso territorio anda­va accadendo. Credo che oggi non si potrebbe più assistere senza un moto di sdegno profondo a film come Africa addio, girato nel 1966 da Gualtiero Jacopetti che cinica­mente faceva il tifo per i mercena­ri dell’Union Minière belga o per l’Apartheid sudafricana. Eppure, quella pellicola aveva un pregio di fondo: il rivelare, spesso magari al di là dei suoi obiettivi, che, se un delitto era stata la colonizzazione, uno ancora più grande fu la «de­colonizzazione » così come avven­ne, che lasciò il continente intero nelle mani di bande di militari e di politici locali corrotti e manovrati dalle lobby dei diamanti, del pe­trolio, del coltan e delle armi, le quali, del resto, continuano a im­perversare. Oggi, se non altro con­sultando quella spaventosa galle­ria degli orrori (purtroppo tutti comprovati) che è Le livre noir du capitalisme di Marc Ferro (nella nuova edizione di Hachette­Laffont del 2003), apprendiamo cose ben più agghiaccianti dei ce­lebri gas asfissianti lanciati dagli i­taliani contro gli abissini nel ’35­’36 e lungamente negati da Indro Montanelli: il libro di Adam Hoch­schild,
Les fantômes du roi Léo­pold

(Belfond 1998) ci ha ad esem­pio svelato gli orrori genocidi per­petrati nella seconda metà del­l’Ottocento da re Leopoldo II del Belgio, proprietario a titolo perso­nale dello stato indipendente del Congo, nelle miniere del quale si tagliavano mani e piedi agli schia­vi che avessero tentato piccoli fur­ti o, peggio, la fuga. Davanti a pa­gine di storia di questo tipo ci si
sorprende quasi a pensare che la ra­gione della nostra unanime esecra­zione per i regimi totalitari sta unica­mente nel fatto che essi hanno in­troiettato in Euro­pa delle pratiche di governo e dei me­todi di repressione che tutto l’Occi­dente aveva fino ad allora tranquil­lamente usato, ma solo fuori dei suoi confini. Oggi, co­munque, a scorno dell’ostinato si­lenzio dei grandi mass media – si parla mai della privatizzazione dell’acqua o del racket del coltan, in Africa, a «Porta a Porta»? –, mol­to comincia ad emergere. Africa­nisti con pochi peli sulla lingua come Claudio Moffa o come Gio­vanni Armillotta, editore della bat­tagliera rivista Africana, comincia­no a cantarla sempre più chiara.
Nel libro
Il sud del mondo (Fonda­zione Boroli 2009), uno studioso come Gianpaolo Calchi Novati, che ci affascinò e ci atterrì già nel 1995 col suo Dalla parte dei leoni
(Il Saggiatore), c’insegna a ribalta­re la nostra prospettiva abituale e a sostituire alla dialettica Oriente­Occidente, ormai in gran parte re­torica, quella Nord-Sud, ch’è inve­ce rivelatrice in termini di dislivel­lo economico, politico e tecnolo­gico. Un dislivello da ridurre al più presto, e drasticamente, nel no­stro stesso interesse. A tanta fiori­tura di letteratura scientifica e pubblicistica rivolta soprattutto all’oggi, occorreva una base di lar­go respiro sintetico. Ora ce l’ab­biamo, con il libro di John Thorn­ton,

L’Africa e gli africani nella for­mazione del mondo atlantico ,
che contribuisce anch’esso come quello del Calchi Novati – anche se sulla base d’una prospettiva del tutto diversa – a ribaltare molti luoghi comuni che ormai da trop­po tempo stanno circolando. Non c’è dubbio che l’Europa abbia lar­gamente spogliato e sfruttato l’A­frica: ma il punto è, come il Thornton ben dimostra, che quel continente era già alla fine del Medioevo ben altro che un mon­do deserto e barbarico, del quale si potesse dire solo che «hic sunt leones». A parte gli Stati articolati ed evoluti come l’E­gitto e i principati corsari nordafrica­ni, formalmente dipendenti dalla Sublime Porta, e a parte i paesi del Corno d’Africa e l’impero etiopico, una vivacissima at­tività politica, mili­tare ed economica caratterizzava il mondo africano occidentale, già se­de di antiche e prospere monarchie e attraversato dalle linee carovaniere che dall’A­tlante e dal Niger portavano fino al mar Rosso. Thornton documen­ta con molta attenzione quel che oggi forse sanno senza dubbio be­ne, ma soltanto, gli studiosi o co­munque i cultori più attenti di storia coloniale: che cioè gli Stati africani furono compartecipi e corresponsabili della tratta degli schiavi ed ebbero un ruolo da pro­tagonisti nella stessa formazione di una cultura che non è azzarda­to definire «atlantico-interafrica­na », caratterizzata da una forte di­namica d’ibridazione intercultu­rale. Questo libro apporta fra l’al­tro notevoli chiarimenti soprattut­to riguardo una realtà oggi emer­gente, quella brasiliana, a proposi­to della quale fecero scalpore, una trentina-quarantina di anni fa, gli studi di Roger Bastide che parla­vano della négritude e che, mo­strando come quello dell’ibrida­zione interrazziale brasiliana fosse in buona parte un equivoco, intro­ducevano il concetto allora ancora scandaloso e oggi ohimè desueto di «etnocentrismo», che spiegava tante cose. Anche le pagine sul sincretismo religioso e sulla dina­mica del rapporto fra «religioni a­fricane » e cristianesimo sono mol­to importanti per farci compren­dere quanto profonde siano, an­che ad esempio a proposito del New Age, le radici arcaiche del po­stmoderno.


John Thornton

L’AFRICA E GLI AFRICANI NELLA FORMAZIONE DEL MONDO ATLANTICO (1400-1800)
Il Mulino. Pagine 504. Euro 38,00


© Copyright Avvenire 27 marzo 2010