DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Br: il terrorista è gnostico

La lettura ideologica marxista-leninista non basta a spiegarle Le Brigate rosse erano una setta rivoluzionaria con molte analogie col fondamentalismo religioso e le comunità delle catacombe La tesi controcorrente del sociologo Orsini


DI
R OBERTO B ERETTA
I
l muro tra monaci e terroristi è sottile, con gli eretici ancor me­no. Magari non farà piacere, la tesi di Alessandro Orsini – giovane sociologo che non ha vissuto gli an­ni di piombo ma ne ha studiato gli eventi con piglio innovativo –, e tut­tavia va apprezzata la profondità d’analisi sull’arduo nodo dei rap­porti tra terrorismo e religione.
Professor Orsini, secondo lei i ter­roristi sono gnostici. In che senso?

«La gnosi è una conoscenza supe­riore destinata a pochi eletti: la stes­sa caratteristica che si trova in tutti i documenti brigatisti, i cui autori pensavano di essere un manipolo di giusti, possessori della verità ultima sul significato della storia. Forse ne­gli anni Settanta questa tesi non fa­ceva impressione, ma le medesime convinzioni tornano nella rivendi­cazione del delitto D’Antona nel 1999 e in quello Biagi nel 2002, ben dopo la caduta del comunismo».

Beh, la dottrina delle minoranze che guidano la storia è sempre sta­ta un caposaldo marxista, senza bi­sogno di ricorrere alla gnosi…

«È vero, ma non basta a spiegare le Brigate rosse. Le Br sono una setta nella tradizione dello gnosticismo rivoluzionario, di cui possiedono le caratteristiche: l’ossessione per la purezza personale; un catastrofi­smo radicale, secondo cui il mondo sarebbe immerso nel dolore e nella sofferenza; di conseguenza la con­cezione salvifica della rivoluzione come un’apocalisse che squarcia le tenebre e instaura una 'società per­fetta'; l’identificazione del nemico come il maligno, un mostro respon­sabile dell’infelicità umana e dun­que da sterminare; infine la menta­lità 'a codice binario' che riduce
tutti gli aspetti della realtà alla con­trapposizione tra forze del Bene e forze del Male».
Qui siamo nel manicheismo puro.
C’entra qualcosa il fatto che non pochi brigatisti venissero da un’e­sperienza cattolica?

«Questo è un punto trascurato ma importantissimo. In effetti, una cer­ta cultura cattolica ha procurato forze alla contestazione e poi al ter­rorismo. Un brigatista ha racconta­to che durante gli attentati si senti­va come Cristo che si lascia crocifig­gere per redimere l’umanità (si chiama 'sindrome dell’eroe mes­sianico'). Per un altro uccidere era come salire sulla pira accesa, sacri­ficarsi per il bene del mondo. In un documento bierre del settembre 1977 si legge che 'la rivoluzione si­gnifica continuità, solidarietà, amo­re'. Il brigatista Patrizio Peci è con­vinto che la violenza politica 'è an­che un problema di altruismo e ge­nerosità: si tratta di rischiare tutto per una causa che si crede giusta, dimenticando la convenienza per­sonale'… Non a caso nel mio libro
parlo di 'rivoluzio­nari di vocazione'; non erano affatto pazzi: erano invece persone animate da un grandissimo a­more verso il prossi­mo, filantropi asse­tati di 'assoluto', purificatori del mondo, angeli sterminatori. Il ter­rorista prova un dolore lancinante di fronte all’ingiustizia nel mondo; solo che pensa che si può cambiare soltanto con la violenza».
Un monaco «giustiziere».

«Un monaco, come no? C’è una cer­ta
analogia tra religiosi e brigatisti, nella setta rivoluzionaria del resto si viveva come in alcuni movimenti fondamentalisti. Ma era una vita mostruosa, non eroica: si doveva o­perare uno stacco totale con l’espe­rienza precedente, interrompendo tutte le relazioni, senza poter più vedere nemmeno i figli. Le donne non potevano avere relazioni fuori dalla setta e, se incinte, dovevano a­bortire. Insomma, un percorso che faceva regredire a livello primitivo; non per niente gli omicidi erano de­legati a chi era arrivato più a fondo in questo cammino. Mario Moretti ammoniva gli aspiranti brigatisti che entro 6 mesi sarebbero stati uc­cisi o arrestati, andando incontro al martirio. Ripeto: i terroristi sono persone altruistiche, iper-generose.
Le lettere di Mara Cagol (di origini cattolicissime) alla madre in questo senso sono impressionanti. Uccide­re per la rivoluzione è il più nobile dei gesti; una manifestazione d’a­more verso l’umanità in attesa di redenzione. L’approccio alle Br non può dunque essere solo ideologico o razionale, come calcolo di costi e benefici».

Ci sono radici «cattoliche» nel ter­rorismo?

«In effetti nella storia del cristiane­simo s’è verificata una profonda in­tolleranza verso gli eretici, l’unica categoria che non meritava com­passione e che era giusto persino uccidere. I brigatisti – pur ispirati da rigoroso ateismo – esprimono l’ani­ma anti-moderna della Chiesa. Di­fatti i Br hanno in orrore alcuni a­spetti della cultura occidentale: li­bero pensiero, individualismo, li­bertà di religione…».

Ma, se il suo ragionamento è vero,
perché tale terrorismo «religioso» esplode proprio dopo il Vaticano II, ovvero nella fase più «dialogica» e «moderna» del cattolicesimo?
«Beh, non bastano le radici religiose a spiegare il terrorismo... C’è stato anche uno sconvolgimento sociolo­gico, economico, industriale, da cui è nato un terremoto di reazioni. E comunque, se la Chiesa nel Conci­lio ha preso le distanze dai fenome­ni di intolleranza verso le altre reli­gioni o il mondo, cambiare le men­talità è ben più complesso».

Il terrorismo è un fenomeno solo occidentale?

«No. C’è stata anche l’Armata rossa giapponese, per esempio. Io stesso ero convinto che le Br fossero un fe­nomeno tipicamente italiano, di contrapposizione tra capitalismo e comunismo, ma non è così. Il modo migliore per comprenderlo resta lo studio delle sette cristiane durante le persecuzioni dell’impero roma­no. Il brigatista si crede tanto più ri­voluzionario quanto più si sente immerso nelle catacombe. Inoltre una delle caratteristiche della reli­gione radicale come del terrorismo armato è l’indignazione permanen­te, attraverso cui si trova conferma della propria purezza interiore; un’altra è il desiderio di essere per­seguitati, in quanto la violenza dello Stato testimonia la diversità irridu­cibile dei brigatisti. Poi ci sono la purificazione dei mezzi attraverso il fine, il principio della segretezza, il terrorismo preventivo interno, l’au­to- distruzione sacrificale, e così via».

E la coloritura marxista-leninista?

«Indispensabile. Ogni setta costitui­sce la contestazione di una chiesa, che rappresenta invece la disposi­zione a scendere a compromessi con la storia. E le Brigate rosse na­scono come setta che si distacca da u­na chiesa: il Pci. I brigatisti avevano ragione nel sostene­re di essere i veri ri­voluzionari, i soli
continuatori di Marx, perché le Bri­gate non sono una deviazione, bensì u­na pagina importante del marxi­smo- leninismo. La storia delle Br e­terodirette è una bugia clamorosa».
E oggi?

«Finora la lettura delle Br è stata monopolizzata da studiosi comuni­­sti, il che ha impedito di coglierne la dimensione 'religiosa'. Invece non dovremmo occuparci solo di teorie o ideologie, ma anche di un senti­mento che si sviluppa fuori dall’ac­cademia o dai partiti. In molti setto­ri della vita civile italiana, per esem­pio, esiste tuttora una sorta di am­mirazione dei brigatisti: 'Sbagliano – si dice – ma perché il momento non è ancora maturo'. Non si è preso davvero coscienza che, o­vunque i 'bonificatori del mondo' (dai puritani a Lenin, dai giacobini a Pol Pot) arrivano al potere, il ri­sultato sono fosse comuni, violen­za, gulag… La rivoluzione gnostica ha sempre portato a una diffusione del terrore. Anzi, la cultura rivolu­zionaria è essa stessa educazione alla violenza, perché ragiona con una mentalità a codice binario, manichea».

«In tutti i volantini si trova una concezione manichea: gli autori pensavano di essere un manipolo di giusti, possessori della verità ultima sul significato della storia E dovevano salvare l’umanità»
«Non erano pazzi, al contrario si trattava di persone iper-altruiste convinte di agire per amore, pur se usavano la violenza. Anche un certo settarismo cattolico ha portato forze a chi usava la P38»




© Copyright Avvenire 16 marzo 2010