Loreto, la storia di Carmine: sacerdote a 48 anni dopo una vita passata con i duri della sinistra. La vocazione avvertita a Parigi alla Giornata della gioventù con Papa Giovanni Paolo II
di Lalla D'Ignazio
Cattedrale di San Cetteo a Pescara
LORETO. Primo dei 4 figli di un muratore, Angelo, e di Rita, casalinga, Carmine, geometra con la passione per la terra e i suoi frutti, cercando la giustizia nel mondo ha trovato Dio e si è fatto prete.Oggi Carmine Di Marco sarà ordinato sacerdote dall’arcivescovo Tommaso Valentinetti nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara. Alle 18 indosserà l’abito talare, tappa di un cammino di fede, racconta, cominciato una quindicina d’anni fa tra gli uliveti della sua Loreto, dove è nato 48 anni fa, e sollecitato da domande esistenziali che non trovavano risposta adeguata nella politica, da ragazzo frequentata nella sinistra «dura e pura delle lotte contadine e operaie», nè poi nelle «comuni soddisfazioni della vita, come il lavoro o i soldi».
La «chiamata» arriva nel 1997, d’estate, a Parigi, durante la Giornata mondiale della Gioventù con papa Giovanni Paolo. Ma alla scoperta della vocazione don Carmine arriva per un percorso tortuoso e tormentato. Ragazzo come tanti, famiglia dignitosa «piena di valori», si diploma geometra al Marconi di Penne e poi sceglie la facoltà di Agraria di Perugia, «perchè la terra mi piaceva». Esami a raffica, poi il brusco stop, i primi disagi, la decisione di andare a fare il militare e qui l’incontro con la depressione. «Ebbi una crisi profonda», ricorda, «e non mi salvarono i medici, ma Dio». Il primo più consapevole e adulto avvicinamento alla fede arriva dunque dopo questo periodo buio. «Da giovane ero stato critico con la Chiesa, ma ciò che mi ha tirato fuori dalle difficoltà è stato proprio il Suo insegnamento», è la riflessione che oggi fa.
Allora mantenne «il contatto con Dio» dedicandosi al lavoro. Lavora infatti in una cooperativa agricola, la Scal: «Ero responsabile di vendita di antiparassitari per l’agricoltura e giravo per le campagne, così conoscevo tutti i contadini della mia zona e oltre e amavo stare con loro, mi ritrovavo nei loro valori semplici, legati alla terra. Insomma stavo bene». Ma dopo un po’ qualcosa ricomincia a tormentarlo. «Mi sentivo solo, mi facevo tante domande sulla vita». Domande che si fanno pressanti con la morte di un cugino coetaneo per un tumore alla colonna vertebrale. «Cominciò a farmi sempre male la schiena, la testa correva dietro pensieri cupi: che senso avevano il mio lavoro, il successo, i soldi se poi si muore in un attimo, mi chiedevo». L’incontro con una ragazza cambia le cose. «Fui colpito dal suo sorriso, tanto che le chiesi come facesse a sorridere così. E lei mi portò a una celebrazione di neocatecumeni».
Un approccio che lo portò tempo dopo al pellegrinaggio a Parigi: «Arrivai con un dolore alla schiena fortissimo», ricorda, «ma lì mi “sciolsi” e mi passò. Ascoltai le parole di Kiko Arguello, iniziatore al cammino neocatecumenale, che smosse dentro di me qualcosa di importante».
Stava scoprendo la propria vocazione al sacerdozio. Che lo porta a mollare tutto e ad andare in seminario. Prima a Macerata poi a Managua, in Nicaragua: 5 anni di studi teologici e folosofici, la missione di evangelizzazione nel carcere e sulla strada. Don Paolo, Amilcare e Mayela sono i suoi compagni di viaggio lungo la costa del Pacifico per «annunciare il Vangelo».
«Lì ho visto la violenza dilagare, il degrado nei quartieri e nelle case, tra incesti, adulteri, aborti, brutalità, svezzamento nei rifiuti. Capii che la giustizia sociale, che garantire un piatto di riso e fagioli a tutti non era la risposta: ho visto cambiare le situazioni solo con l’annuncio di Cristo. E c’è bisogno di Dio ovunque: ne ha bisogno la madre di 10 figli di padri diversi del Sud del mondo e la madre divorziata e sola in un Paese ricco». Da qualche mese don Carmine è diacono delle parrocchie di San Pietro e Sant’Antonio di Loreto e Passo Cordone, ma da oggi sarà a disposizione come prete diocesiano per ogni missione.
© Copyright Il Centro 24 marzo 2010