DI A NTONIO A IRÒ
« A
voi, uomini di governo, noi giovani chiediamo solo due cose, il lavoro e la casa. Dateci lavoro, vi scongiuriamo; siate coraggiosi! Non deludeteci! Siate gli iniziatori di una politica sociale coraggiosa e i giovani vi guarderanno con ammirazione e vi seguiranno». È un esplicito programma politico quello che Carlo Carretto, presidente nazionale della Giac (Gioventù italiana di Azione cattolica) quasi urla la sera dell’11 settembre 1948, ai 300 mila «baschi verdi» convenuti in piazza san Pietro. A pochi mesi dalla grande vittoria della Democrazia Cristiana nelle elezioni – in presenza di De Gasperi, di numerosi ministri, deputati – il raduno esprime la voglia di contare dei cattolici che «forti del loro numero, della loro volontà, della loro iniziativa – aveva affermato Carretto dopo la fine della guerra – dovranno dovunque tempestivamente far sentire il loro peso». E ciò senza cedere alle proposte di collaborazione del segretario dei giovani comunisti, Enrico Berlinguer: «Noi che abbiamo l’animo aperto ad apprezzare il bene da qualsiasi parte esso venga, volentieri stenderemmo la mano a quelli che sono tormentati dagli stessi nostri problemi, se la soluzione di essi non venisse influenzata da pregiudiziali politiche e se l’eventuale collaborazione non venisse sfruttata per documentare adesioni che non abbiamo mai date né mai potremmo dare», aveva dichiarato nel 1946.
Grande comunicatore, infaticabile organizzatore, leader carismatico – lo dicono i documenti inediti e le testimonianze di quanti lo hanno conosciuto – Carretto, del quale il 2 aprile ricorre il centenario della nascita, ha segnato il percorso di più di una generazione di laici cattolici nella Chiesa.
Maestro e direttore didattico, Carretto approda nell’Azione cattolica nel 1932. «Fu la più grande avventura della mia vita. Mi prese per mano, camminò con me, mi nutrì della Parola, mi diede l’amicizia, mi insegnò a lottare, mi fece conoscere il Cristo». Incontra Luigi Gedda: «Stare con lui era per me un Paradiso ed io mi innamorai dell’apostolato. Non passai più un solo giorno festivo a casa: bisognava andare, andare, andare». Assume crescenti incarichi dirigenziali a Torino, nella diocesi, in Piemonte. Il suo impegno formativo lo fa entrare oggettivamente in rotta di collisione con il regime. «Carretto, se vuol far carriera si tolga dalla testa l’Azione cattolica. I giovani debbono essere dello Stato non di altri», si sente dire da un gerarca. Anche a Bono, in Sardegna, dove approda come direttore didattico, non incontra il gradimento del dirigenti fascisti. Lo definiscono «soggetto pericoloso».
Di qui il trasferimento a Condove, in Val di Susa, con una dichiarazione con la quale si impegna a non mettere più piede nell’isola, pena l’arresto.
La guerra va male. Molti giovani cattolici cominciano a riflettere sul dopo fascismo. Nel gennaio 1943 incontra a Firenze Giorgio La Pira.
Carretto gli confida: «Non ci si deve lasciare svuotare, solo parlando.
Bisogna meditare. Non importa cosa diciamo, ma come lo diciamo». L’8 settembre è sotto le armi a Susa.
Rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale e viene radiato dal suo incarico. La Giac continua però ad operare regolarmente come può nell’Italia del Nord sotto la sua guida. Il Venerdì santo del 1944 per la carità del Papa vengono raccolte 279.246,70 lire. Dopo la Liberazione si trasferisce a Roma , presidente dei maestri cattolici. Nell’ottobre 1946 Pio XII lo nomina al vertice della Giac. La sintonia con Gedda è totale. Ma una riunione dei dirigenti Ac del gennaio 1947 fa emergere qualche distinguo tra i due. Dopo il grande successo dei «baschi verdi», iniziano per Carretto anni di riflessione. Il progetto della riconquista cristiana dell’Italia deve fare i conti con la secolarizzazione e con il degrado della politica .«Io vedevo la Chiesa come separata dal mondo, come un esercito perennemente lanciato in crociata, come un partito che doveva diventare più forte e schiacciare il nemico» scriverà nel 1986 a Giovanni Paolo II in una «lettera a Pietro» a sostegno della scelta «religiosa» dell’Ac.
L’«operazione Sturzo» nel 1952 segna il distacco da Gedda.
Nonostante la sua riconferma a presidente della Giac, presenta le dimissioni, subito accettate. «Il connubio con la politica fu l’elemento di rottura; mi aiutò ma non fu determinante. Intuivo che stava per venire il tempo in cui la battaglia più dura sarebbe stata quella nella fede». Alla fine del 1954 «la chiamata più seria, quella alla vita contemplativa. Dio mi ha chiamato facendo il vuoto. Non sapevo dove andavo, ho dovuto fare il passo nella fede, non nel ragionamento» dirà. Per dieci anni vivrà nel Sahara, tra i religiosi di Charles de Foucauld. «Dal deserto le cose si vedono meglio o con proporzioni più eterne». Nel 1964 esce il suo Lettere dal deserto, un testo che conosce decine di edizioni e che, come ha ricordato Enzo Bianchi, è stato ed è tuttora un punto di riferimento per migliaia di persone, cristiane e laiche. Dal 1965 Carretto si stabilisce a Spello. Il suo silenzio è rotto da qualche sua intervista (come quella del 1974 in occasione del referendum sul divorzio), dagli incontri con i tanti giovani che salivano al suo eremo.
Resta intatto il suo amore per la Chiesa. «Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto ti amo». Il 4 ottobre 1986, festa di san Francesco, Carretto muore. «Ho pagato, ma ne vale la pena. È tutto meraviglioso».
Venne avversato dal regime fascista, che lo radiò dalla scuola. Per dieci anni prese dimora nel Sahara sulle tracce di Charles de Foucauld. Molto lette le sue «Lettere dal deserto»