« U na cosa va detta: che le condizioni di vita dei meridionali al momento dell’Unità erano decisamente migliori di quelle di venti- venticinque anni dopo – infatti la grande emigrazione iniziò allora, alla fine dell’Ottocento. Ed è anche vero che le risorse del Sud aiutarono il decollo industriale del Nord » . Nicola Ostuni, docente di Storia economica all’Università della Magna Grecia di Catanzaro e autore di vari studi sullo sviluppo economico del regno borbonico, qualche punto ai contestatori dell’Unità lo concede. Ma non troppi: « Questo non significa che nel Regno delle Due Sicilie si vivesse bene, anzi. E di certo non meglio che al Nord » .
Così, il tesoro dei Borboni finanziò l’industrializzazione del Nord?
« No, non il tesoro statale – peraltro sopravvalutato, visto che nello stilare i bilanci i Borboni davano già prova di ' finanza creativa' –, ma le rimesse degli emigranti. A livello microeconomico, con i soldi guadagnati all’estero l’emigrante manteneva i parenti in Italia e si comprava la casa e un po’ di terra, facendo pessimi affari perché la strapagava. A livello macroeconomico, invece, gran parte del denaro delle rimesse veniva depositato alla posta, entrando così nella disponibilità dello Stato. Che lo utilizzava per riequilibrare il suo deficit, e quindi finanziare le opere infrastrutturali e le commesse industriali. Fu questo il meccanismo che consentì il decollo, a partire dagli anni Ottanta, delle grandi fabbriche del Nord » .
In che modo l’Unità aggravò le condizioni di vita al Sud?
« Fu un processo complesso, che interessò prima l’industria, poi l’agricoltura » .
Partiamo dall’industria?
« A dire il vero al 1860 non ce n’era molta: qualcosa nei dintorni di Napoli, una manifattura di tappeti abbastanza avanzata a Palena, in Abruzzo, e naturalmente l’industria cotoniera nel Salernitano, impiantata dagli svizzeri durante il dominio napoleonico. I costi erano elevati perché bisognava importare tutto, dal ferro al carbone; i cotonifici, poi, erano in diretta concorrenza proprio con il prodotto tipico della Rivoluzione industriale inglese... Così, tutte si reggevano solo gra- zie al protezionismo doganale, tanto che quanto l’Italia unita adottò le basse tariffe liberiste, queste industrie andarono in crisi » .
Un Sud a vocazione agricola, quindi?
« Fino a un certo punto: l’idea di un Mezzogiorno agricolo e di un Settentrione più portato all’industrializzazione derivava dalla visione dei liberisti e dei positivisti. Ma era errata la premessa. Al Sud c’erano sì alcune aree estremamente produttive – la Terra di Lavoro, una parte della Terra di Bari, il Marchesato in Calabria, la Piana di Catania, la Conca d’Oro a Palermo –, ma si confondevano queste eccezioni con il tutto. Nel gran parte del Mezzogiorno la situazione dell’agricoltura era disperata, erano sassi che non si prestavano a essere lavorati » .
Come incise su questa economia il liberismo post- unitario?
« Bene: attraverso l’esportazione, fondamentalmente del mosto e dell’olio, l’agricoltura era rifiorita. Il liberismo in questo caso avvantaggiava il Sud e svantaggiava il Nord. Quando però anche l’industria del Nord, negli anni Ottanta, cominciò a patire il liberismo, si passò alle misure protezionistiche, che a questo punto determinarono l’affossamento definitivo dell’economia del Mezzogiorno. Prima il liberismo aveva spazzato via quel poco d’industria che c’era, adesso il protezionismo rovinava l’agricoltura. Ed è allora che iniziò la grande emigrazione meridionale » .
Un fenomeno nuovo?
« In questi termini, sì. L’emigrazione, dal Sud come dal Nord, era un fenomeno antico, di gran lunga precedente l’Unità. Ma fu negli anni Novanta che assunse caratteri di massa, interessando soprattutto i contadini del Mezzogiorno » .
Allora si stava meglio con i Borboni?
« È quello che tende a dire un certo filone di indagine storiografica, ma avrei i miei dubbi. È vero che in quei primi decenni post- unitari le condizioni di vita erano peggiorate, ma questo non vuol dire che prima dell’Unità fossero rosee, né migliori rispetto al Nord. Sono stati proposti studi che mostrerebbero, per il Regno delle Due Sicilie, un prodotto interno lordo superiore a quello del resto d’Italia. Ora, a parte qualche dubbio sul dato in sé – è sempre difficile ricavare simili dati per epoche passate; per esempio, ho analizzato bilanci borbonici settecenteschi pieni di errori, e che in realtà riportavano appena un quarto di quelli reali –, anche fosse confermato non ci direbbe molto. Il numero va sempre interpretato, per dire qualcosa di storicamente concreto; e certo non si può trascurare il fatto che la percezione degli stessi meridionali era molto diversa. Della loro terra, gli scrittori dell’epoca tracciavano un quadro fosco: qualcosa vorra pur dire, no? » .
Edoardo Castagna
«Le condizioni di vita dei meridionali a metà Ottocento erano decisamente migliori di quelle di venti-venticinque anni dopo, quando iniziò la grande emigrazione»
© Copyright Avvenire 26 marzo 2010