L’ uguaglianza fra i sessi come chiave per lo sviluppo e per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. È il punto di partenza della 54esima Commissione sulla condizione delle donne, in corso al Palazzo di Vetro di New York fino al 12 marzo. La Conferenza si propone anche di misurare il raggiungimento degli obiettivi posti alla Conferenza di Pechino sulle donne 15 anni fa, soprattutto su un punto: la salute riproduttiva delle donne.
Ma se l’obiettivo di ridurre la mortalità materna e infantile e di promuovere l’istruzione e la dignità delle donne è condiviso universalmente, i mezzi promossi dalla Conferenza dell’Onu e il linguaggio usato nei documenti ufficiali hanno suscitato l’allarme di molte associazioni per la vita. Prima ancora di aprire le porte ai delegati governativi e alle ong di tutto il mondo, infatti, la Conferenza ha steso un «programma d’azione» che introduce una nuova strategia. Come si legge in un documento introduttivo della Conferenza, l’accento dei vari gruppi di lavoro deve essere posto su come «enfatizzare il collegamento fra popolazione e sviluppo, e concentrarsi sull’accesso ai servizi riproduttivi come mezzo di pianificazione familiare e di controllo demografico». In quest’ottica, scopo della Commissione è di «rendere la pianificazione familiare universalmente disponibile entro il 2015».
Il timore delle organizzazioni di difesa della vita è che questo linguaggio miri a spingere l’aborto come strumento di controllo delle nascite e di protezione della salute femminile, lasciando poca o nessuna scelta ai singoli governi. «Negli ultimi 15 anni abbiamo visto un progresso limitato nel cammino della salute riproduttiva – ha detto in apertura di lavori Asha-Rose Migiro, vice segretario generale delle Nazioni Unite –: la mortalità materna resta troppo alta.
Questo non è accettabile. Quasi tutte queste morti potrebbero essere prevenute. È ora di passare all’azione e di indurre tutti i governi a riconoscere il diritto di ogni individuo alla salute riproduttiva».
Thoraya Ahmed Obai, direttore esecutivo del Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite, è stata più specifica: «Più di mezzo milione di donne muore per cause connesse alla gravidanza e al parto ogni anno – ha detto – e il 13 per cento di questi decessi è dovuto ad aborti non sicuri. In zone dell’Africa sub sahariana questa percentuale sale al 30, persino 40 per cento. L’accesso universale alla salute riproduttiva, compresa la pianificazione familiare, accelererebbe il processo verso gli Obiettivi del Millennio». Inoltre, ha aggiunto, le scelte riproduttive potrebbero influenzare le dinamiche della crescita della popolazione. A dire della Obai, infatti, le «sfide poste dalla pressione demografica non hanno precedenti ed esigono risposte forti».
Fra queste, quella della pianificazione familiare a livelli governativo, che prevede di «rivitalizzare i programmi per la salute riproduttiva a aumentare il numero di donne e di coppie che scelgono il numero e la distanza di nascita fra i loro figli». Una novità introdotta dalla Conferenza è dunque una rinnovata enfasi sul collegamento fra l’obiettivo numero 5 stabilito alla svolta del Millennio: migliorare la salute materna, e i dati sulla crescita delle popolazione mondiale.
Fra i primi atti del comitato organizzativo della Conferenza sulla condizione femminile c’è inoltre stato un appello agli Stati membri affinché «migliorino l’accesso ai servizi di pianificazione familiare, compreso un rafforzamento degli sforzi per aumentare la conoscenza e l’accesso a metodi contraccettivi di basso costo». Un obiettivo abbracciato, nei giorni scorsi, dalla sottosegretaria argentina per l’Uguaglianza dell’Istruzione, Mara Brawer, che ha fatto dell’accesso alla «salute riproduttiva» uno degli obiettivi del suo mandato. Fra i risultati che ha portato alla Conferenza di New York ha citato la diffusione dell’uso di preservativi all’85 per cento della popolazione argentina sessualmente attiva. Il Comitato ha anche richiamato «con urgenza» i governi nazionali a promuovere l’uso dei «metodi di contraccezione d’emergenza», come la pillola del giorno dopo, e a promuovere un’educazione sessuale che ponga particolare attenzione «alla prevenzione delle gravidanze premature e del controllo delle malattie trasmesse sessualmente, compreso l’Hiv-Aids».
Ma se l’obiettivo di ridurre la mortalità materna e infantile e di promuovere l’istruzione e la dignità delle donne è condiviso universalmente, i mezzi promossi dalla Conferenza dell’Onu e il linguaggio usato nei documenti ufficiali hanno suscitato l’allarme di molte associazioni per la vita. Prima ancora di aprire le porte ai delegati governativi e alle ong di tutto il mondo, infatti, la Conferenza ha steso un «programma d’azione» che introduce una nuova strategia. Come si legge in un documento introduttivo della Conferenza, l’accento dei vari gruppi di lavoro deve essere posto su come «enfatizzare il collegamento fra popolazione e sviluppo, e concentrarsi sull’accesso ai servizi riproduttivi come mezzo di pianificazione familiare e di controllo demografico». In quest’ottica, scopo della Commissione è di «rendere la pianificazione familiare universalmente disponibile entro il 2015».
Il timore delle organizzazioni di difesa della vita è che questo linguaggio miri a spingere l’aborto come strumento di controllo delle nascite e di protezione della salute femminile, lasciando poca o nessuna scelta ai singoli governi. «Negli ultimi 15 anni abbiamo visto un progresso limitato nel cammino della salute riproduttiva – ha detto in apertura di lavori Asha-Rose Migiro, vice segretario generale delle Nazioni Unite –: la mortalità materna resta troppo alta.
Questo non è accettabile. Quasi tutte queste morti potrebbero essere prevenute. È ora di passare all’azione e di indurre tutti i governi a riconoscere il diritto di ogni individuo alla salute riproduttiva».
Thoraya Ahmed Obai, direttore esecutivo del Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite, è stata più specifica: «Più di mezzo milione di donne muore per cause connesse alla gravidanza e al parto ogni anno – ha detto – e il 13 per cento di questi decessi è dovuto ad aborti non sicuri. In zone dell’Africa sub sahariana questa percentuale sale al 30, persino 40 per cento. L’accesso universale alla salute riproduttiva, compresa la pianificazione familiare, accelererebbe il processo verso gli Obiettivi del Millennio». Inoltre, ha aggiunto, le scelte riproduttive potrebbero influenzare le dinamiche della crescita della popolazione. A dire della Obai, infatti, le «sfide poste dalla pressione demografica non hanno precedenti ed esigono risposte forti».
Fra queste, quella della pianificazione familiare a livelli governativo, che prevede di «rivitalizzare i programmi per la salute riproduttiva a aumentare il numero di donne e di coppie che scelgono il numero e la distanza di nascita fra i loro figli». Una novità introdotta dalla Conferenza è dunque una rinnovata enfasi sul collegamento fra l’obiettivo numero 5 stabilito alla svolta del Millennio: migliorare la salute materna, e i dati sulla crescita delle popolazione mondiale.
Fra i primi atti del comitato organizzativo della Conferenza sulla condizione femminile c’è inoltre stato un appello agli Stati membri affinché «migliorino l’accesso ai servizi di pianificazione familiare, compreso un rafforzamento degli sforzi per aumentare la conoscenza e l’accesso a metodi contraccettivi di basso costo». Un obiettivo abbracciato, nei giorni scorsi, dalla sottosegretaria argentina per l’Uguaglianza dell’Istruzione, Mara Brawer, che ha fatto dell’accesso alla «salute riproduttiva» uno degli obiettivi del suo mandato. Fra i risultati che ha portato alla Conferenza di New York ha citato la diffusione dell’uso di preservativi all’85 per cento della popolazione argentina sessualmente attiva. Il Comitato ha anche richiamato «con urgenza» i governi nazionali a promuovere l’uso dei «metodi di contraccezione d’emergenza», come la pillola del giorno dopo, e a promuovere un’educazione sessuale che ponga particolare attenzione «alla prevenzione delle gravidanze premature e del controllo delle malattie trasmesse sessualmente, compreso l’Hiv-Aids».
«Avvenire» del 4 marzo 2010