Una delle conseguenze  all’apparenza più immateriali (ma in realtà sostanziali) dell’affermarsi  delle tecniche di procreazione artificiale, è lo slittamento dall’idea  di “generazione” a quello di “produzione”, di “fabbricazione”  dell’essere umano. Su questo slittamento, e sull’“arretramento dei  viventi verso lo status di prodotti fabbricati”, si concentra il  bellissimo saggio che la filosofa francese (laica doc) Sylviane  Agacinski pubblica sull’ultimo numero della rivista Vita e Pensiero.  Scrive Agacinski che da quando il biopotere ha schiuso “la possibilità  di fabbricare il vivente, e non solo di controllarlo”, è stata minata la  consapevolezza che “l’essere umano generato è il discendente di altri  esseri viventi”. Nello schema tecnoscientifico, l’essere fabbricato  diventa “un artefatto, un prodotto tecnico realizzato da ingegneri  secondo un progetto preliminare con l’ausilio di materiali”. Un altro  laico doc, il filosofo tedesco Günther Anders, ebreo in fuga  persecuzione nazista, lo aveva a sua volta capito: “Il suddito del  regime totalitario non deve essere ‘nato’: sfuggirebbe, così, alla  propria completa totalizzazione. E’ necessario che egli sia prodotto”.  La perdita dei legami carnali, l’inconsapevolezza della discendenza, il  mancato ancoraggio a una madre e a un padre, sono tra i peggiori nemici  della libertà. 
Nicoletta Tiliacos
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