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Durata: 00:30:06
Andato in onda il: 28/03/2010
di Lucia Bellaspiga
La ragazza, un’indiana, ansima e piange ma sono gli ultimi sforzi, poi il bimbo viene al mondo e l’équipe in camice verde taglia il cordone ombelicale. Per un breve istante il neonato viene mostrato alla donna, che gli sfiora la guancia con una carezza e subito distoglie lo sguardo per non rischiare di amarlo. «Adesso lo portiamo da sua madre », sorride soddisfatta la dottoressa, anche lei indiana. Non c’è logica – pensi – ho capito male...
Invece la logica (spaventosa, spietata) c’è, e a mostrarla è stato Report, in onda domenica sera su Rai3: è il business mondiale delle cosiddette gravidanze 'surrogate', degli ovuli e degli spermatozoi 'donati'. Il racconto si dipana attraverso immagini agghiaccianti, che danno un volto televisivo a quanto ha documentato anche Avvenire. «Molte aziende delocalizzano all’estero per abbattere i costi – ride Doron, un gay israeliano che della sua esperienza personale ha fatto un sistema redditizio –, così mi son detto: perché non delocalizzare le gravidanze in India? Per una gravidanza surrogata bastano donne giovani e sane, che abbiano bisogno di comprar casa». Lui stesso ci era passato, da cliente: su un catalogo aveva scelto la foto di una bella bionda («il modello caucasico è quello che va per la maggiore») 'donatrice' degli ovuli da fecondare, poi una 'madre in affitto' ci aveva messo l’utero, e il 'prodotto' finito – il bambino – era arrivato nove mesi dopo in Israele dai due 'genitori' gay. Il tutto per 140mila dollari. Troppi? Ecco allora che Doron fila in India e tratta con la dottoressa: l’incontro in vitro tra ovuli e spermatozoi avverrà negli Usa, ma l’embrione verrà impiantato in India dove crescerà nel ventre di una donna povera e disposta a tutto, e alla fine il neonato ripartirà per New York o Tel Aviv o Dubai, dove incontrerà 'padre' e 'madre'. Per tutto il reportage Doron viaggia con il suo bidone termico pieno di spermatozoi, che in laboratorio diventeranno embrioni: «Guardi questi che carini – l’occhio è attaccato alla lente –, stanno nuotando, ora ne catturo tre e faccio un essere umano». Come li sceglie?, chiede una voce fuori campo. «Quelli che mi piacciono di più, vede questo come si muove bene? Ora prendo la pipetta e zac, nell’ovulo: ho fatto un essere umano». Una donna di 57 anni, facoltosa, lo chiama al cellulare: ha bisogno di ovuli, vista l’età, ma anche di spermatozoi («non ho un compagno») e di una madre in affitto per la gravidanza. Per non fallire, Doron è disposto a raddoppiare: «Impiantiamo due surrogate – propone – se poi restano entrambe incinte si fa l’aborto selettivo». Sala operatoria, bisogna tagliare, la madre è sveglia, trema. Il bimbo nasce, bianchissimo, dal suo ventre nero.
La conduttrice di Report, Milena Gabanelli, nella prima parte aveva invece criticato aspramente la «troppo restrittiva » legge 40 sulla fecondazione assistita in Italia («un deplorevole attacco mediatico a una legge approvata con larga maggioranza trasversale», lamentava ieri Scienza & Vita). Aveva mostrato le migrazioni verso Spagna o Belgio di coppie che in Italia non possono accedere all’eterologa né alla diagnosi pre-impianto in caso di malattie genetiche. «Il diritto al figlio sano significa dire che una persona non perfetta ha un diritto affievolito a nascere. Io vorrei costruire una sanità che curi, non che risolva le terapie in termini di selezione», commentava il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella. «Non vogliamo il figlio perfetto, l’handicap lo accetteremmo – rispondeva la coppia – chiediamo solo di scegliere l’embrione sano per evitare che anche questo figlio muoia a pochi mesi dal parto, come il primo». Analisi pre-impianto per i casi mortali, dunque... Ma a quanti mesi o anni dal parto il caso è 'mortale'? Chi sposta il paletto? Se la prima parte della serata faceva meditare, la seconda mostrava cosa accade senza punti fermi. Lo comprende la Gabanelli, che risposte in tasca non ne ha e di una cosa sola è certa: «Questo business non ci può lasciare indifferenti».
Invece la logica (spaventosa, spietata) c’è, e a mostrarla è stato Report, in onda domenica sera su Rai3: è il business mondiale delle cosiddette gravidanze 'surrogate', degli ovuli e degli spermatozoi 'donati'. Il racconto si dipana attraverso immagini agghiaccianti, che danno un volto televisivo a quanto ha documentato anche Avvenire. «Molte aziende delocalizzano all’estero per abbattere i costi – ride Doron, un gay israeliano che della sua esperienza personale ha fatto un sistema redditizio –, così mi son detto: perché non delocalizzare le gravidanze in India? Per una gravidanza surrogata bastano donne giovani e sane, che abbiano bisogno di comprar casa». Lui stesso ci era passato, da cliente: su un catalogo aveva scelto la foto di una bella bionda («il modello caucasico è quello che va per la maggiore») 'donatrice' degli ovuli da fecondare, poi una 'madre in affitto' ci aveva messo l’utero, e il 'prodotto' finito – il bambino – era arrivato nove mesi dopo in Israele dai due 'genitori' gay. Il tutto per 140mila dollari. Troppi? Ecco allora che Doron fila in India e tratta con la dottoressa: l’incontro in vitro tra ovuli e spermatozoi avverrà negli Usa, ma l’embrione verrà impiantato in India dove crescerà nel ventre di una donna povera e disposta a tutto, e alla fine il neonato ripartirà per New York o Tel Aviv o Dubai, dove incontrerà 'padre' e 'madre'. Per tutto il reportage Doron viaggia con il suo bidone termico pieno di spermatozoi, che in laboratorio diventeranno embrioni: «Guardi questi che carini – l’occhio è attaccato alla lente –, stanno nuotando, ora ne catturo tre e faccio un essere umano». Come li sceglie?, chiede una voce fuori campo. «Quelli che mi piacciono di più, vede questo come si muove bene? Ora prendo la pipetta e zac, nell’ovulo: ho fatto un essere umano». Una donna di 57 anni, facoltosa, lo chiama al cellulare: ha bisogno di ovuli, vista l’età, ma anche di spermatozoi («non ho un compagno») e di una madre in affitto per la gravidanza. Per non fallire, Doron è disposto a raddoppiare: «Impiantiamo due surrogate – propone – se poi restano entrambe incinte si fa l’aborto selettivo». Sala operatoria, bisogna tagliare, la madre è sveglia, trema. Il bimbo nasce, bianchissimo, dal suo ventre nero.
La conduttrice di Report, Milena Gabanelli, nella prima parte aveva invece criticato aspramente la «troppo restrittiva » legge 40 sulla fecondazione assistita in Italia («un deplorevole attacco mediatico a una legge approvata con larga maggioranza trasversale», lamentava ieri Scienza & Vita). Aveva mostrato le migrazioni verso Spagna o Belgio di coppie che in Italia non possono accedere all’eterologa né alla diagnosi pre-impianto in caso di malattie genetiche. «Il diritto al figlio sano significa dire che una persona non perfetta ha un diritto affievolito a nascere. Io vorrei costruire una sanità che curi, non che risolva le terapie in termini di selezione», commentava il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella. «Non vogliamo il figlio perfetto, l’handicap lo accetteremmo – rispondeva la coppia – chiediamo solo di scegliere l’embrione sano per evitare che anche questo figlio muoia a pochi mesi dal parto, come il primo». Analisi pre-impianto per i casi mortali, dunque... Ma a quanti mesi o anni dal parto il caso è 'mortale'? Chi sposta il paletto? Se la prima parte della serata faceva meditare, la seconda mostrava cosa accade senza punti fermi. Lo comprende la Gabanelli, che risposte in tasca non ne ha e di una cosa sola è certa: «Questo business non ci può lasciare indifferenti».
«Avvenire» del 30 marzo 2010