DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il prezzo di non potere autodeterminarsi

Autore: Spinelli, Stefano Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
venerdì 26 febbraio 2010

Come è sotto gli occhi di tutti, oggi il principio di autodeterminazione pare il nuovo faro, cui ispirare l’azione delle moderne società democratiche o radical liberiste, finalmente emancipate dall’oscurantismo cattolico.
Effettivamente la possibilità di agire secondo la propria volontà e senza condizionamenti altrui è importante. Si parla di autodeterminazione, per esempio, in diritto internazionale, con riguardo al diritto dei popoli. Spetta a ciascun popolo scegliere la propria forma di organizzazione politica e sociale, senza colonialismi altrui, di vecchio o nuovo tipo (soprattutto economico). Ma evidentemente, in questa accezione, il principio rappresenta una giusta esigenza di tutela da ingerenze ed aggressioni esterne lesive della sovranità di ciascun soggetto internazionale.
A livello individuale, il medesimo principio si traduce nella pretesa dell’uomo moderno di scegliere il proprio destino, senza porsi alcun problema di verità sulla scelta e di sua corrispondenza alla natura umana, né di bontà della stessa, sicché diventa insindacabile ogni più disparata preferenza soggettiva, basta che sia frutto di una libera scelta. L’azione non è più guidata dal perseguimento di un bene personale o comune, l’importante è che sia l’esito di una scelta individuale e non condizionata. Si assolutizza un metodo. Non importa cosa si sceglie, ma come lo si sceglie.
Questo tipo di autodeterminazione prescinde anche dalla rete di relazioni e di reciprocità che ciascuna persona, per sua natura, stabilisce con le altre, ed arriva sino al punto di richiedere che la libertà di ciascuno condizioni quella altrui. Si pensi alle proposte di introduzione di forme di eutanasia più o meno mascherate; si pensi all’eugenetica ed ai tentativi di introduzione, anche con interpretazioni arbitrarie della legge 40, del diritto di scelta di quale figlio avere, e comunque del diritto di avere un figlio sano; ma si pensi anche a quelle forme di violenza giustificate, anche da certa giurisprudenza, sulla base di un diverso e comunque insindacabile modus vivendi, espressione di una tradizione o appartenenza etnica; si pensi infine ad uno stravolto concetto di libertà religiosa, come diritto a non essere condizionati da alcuna scelta religiosa, che si impone a tutti sino ad impedire qualunque simbologia che rimandi ad una fede espressa (e sino ad impedire, storia recente dell’asilo di Goito, che una scuola convenzionata col Comune possa ispirarsi a principi cristiani). Gli esempi sono innumerevoli.
Adesso, al puro diritto di autodeterminarsi, non importa in quale direzione o per che cosa, è stato anche attribuito un valore economico, una quantificazione in euro.
E’ di pochi giorni fa la sentenza della Cassazione n. 13 del 2010. Il mero fatto di non aver potuto scegliere di abortire nei tempi prescritti, da parte di due coniugi, per una tardiva diagnosi di malformazione fetale della figlia, nata poi con problemi agli arti inferiori, ha comportato un risarcimento del danno. A favore di entrambi i genitori è stato riconosciuto un indennizzo mensile per le spese occorrenti per il mantenimento della bambina, fino al momento del raggiungimento della sua prevista autonomia economica (fissata a 30 anni).
Si rifletta sul fatto che non è stato risarcito il danno per l’handicap fisico della bimba (che per errore dell’azienda sanitaria non è nata sana), bensì il danno per non aver potuto esercitare il diritto all’aborto (nelle modalità di cui alla legge 194), che ha causato la nascita della bimba con handicap. Così è stato liquidato non solo il differenziale tra la spesa necessaria per il mantenimento di un figlio sano e la spesa per il mantenimento di un figlio affetto da deficit, ma una somma pari al fatto di dover “sopportare per intero un costo economico che altrimenti la coppia non avrebbe avuto”.
E’ stato riconosciuto anche il danno non patrimoniale per la “nascita indesiderata”, che “determina una radicale trasformazione delle prospettive di vita dei genitori”, i quali “si troveranno esposti a dover misurare la propria vita quotidiana, l’esistenza concreta, con le prevalenti esigenze della figlia, con tutti gli ovvi sacrifici che ne competono…”.
Non so come si potrà guardare negli occhi quella figlia, con la consapevolezza di aver chiesto ed ottenuto un risarcimento del danno, per il solo fatto della sua presenza. Non so come potremo guardare negli occhi i nostri figli pensando al mondo che stiamo loro lasciando. Un mondo senza carità: “ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero” (Caritas in veritate, 1).
Non si ritiene che la legge 194, che pur al primo comma sancisce il diritto alla vita, e che pur pone limiti all’esercizio del diritto all’aborto, stia avendo una attuazione esondante e non conforme ai presupposti della legge stessa (così come peraltro avviene con la commercializzazione della pillola abortiva RU486 al di fuori delle strutture ospedaliere)?
Se non parlano i cristiani di queste cose, chi lo farà?

Avv. Stefano Spinelli
Presidente Unione Giuristi Cattolici di Forlì Cesena