Il tono dell’introduzione del presidente della Cei era quello della riflessione, della preoccupazione per la banalizzazione del trauma abortivo, della sua nuova “privatizzazione”. Il richiamo ai principi non negoziabili come base del giudizio politico non è certo nuovo, il che non significa che non sia sempre attuale. Caso mai il problema consiste nella scarsa linearità dell’intervento episcopale, che mentre nella prolusione di ieri metteva il valore della vita come fondamento di tutti gli altri, in comunicati del giorno dopo lo mette alla pari di altri dando l’impressione di negare che sussista tra questi valori il rapporto gerarchico che era stato enunciato. (Nel pomeriggio poi il portavoce della Cei Domenico Pompili ha chiarito tutto, spiegando che è “impossibile ipotizzare toni divaricanti” tra quanto detto nella prolusione di lunedì e quanto scritto ieri in un comunicato dei Vescovi liguri).
Il magistero non deve essere mai contundente, come insinuava Rep. con il suo forzato richiamo all’anatema, ma deve essere univoco e chiaro, proprio per evitare di essere interpretato come un sismografo di un dibattito, si direbbe di un negoziato interno di carattere politico. Ribadire che alla base delle scelte politiche individuali, per i cattolici, deve stare la dignità e l’indisponibilità della vita umana, non è un’ingerenza politica, è l’esercizio del compito pastorale. Se a questo si aggiungono postille, precisazioni e limitazioni, si dà l’impressione di perseguire anche altri obiettivi, che inevitabilmente confondono il messaggio e indeboliscono l’autorità della cattedra che lo enuncia.
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