DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L’Iran è “un paese di condannati a morte”.Altri sei dissidenti verso la gru. Record di suicidi femminili. Di Giulio Meotti

Roma. Come deterrenza contro le proteste
che ci saranno durante la festa del
fuoco, il capodanno zoroastriano che segna
la cultura persiana non islamica, il
pubblico ministero di Teheran, Abbas
Jaafari, ha annunciato che altri sei dissidenti
sono stati condannati a morte per
aver partecipato alle proteste del dicembre
scorso. E’ uscito uno straordinario documento
di Iran Human Rights sulla pena
di morte nella Repubblica islamica. Un’anatomia
criminale del regime iraniano.
Statistiche che pur non comprendono le
uccisioni di manifestanti e dissidenti dopo
le proteste elettorali. 150 vittime secondo
le stime più attendibili. Sono state 402
le esecuzioni in Iran soltanto nell’ultimo
anno. Più di una al giorno. Il massimo in
dieci anni. Il venti per cento in più rispetto
al 2008. Nel 2001 furono “appena” 75 le
esecuzioni. “Sono i casi di cui siamo certi,
ma è una stima prudente”, spiega Mahmood
Amiry-Moghaddam di Iran Human
Rights. Sono tredici le donne giustiziate e
cinque i minorenni, per citare soltanto
due dati raccapriccianti e in aperta violazione
della Convenzione sui diritti del
fanciullo che l’Iran pure ha ratificato. Secondo
i dati di Stop Child Executions
Campaign, altri 130 minorenni, spesso
bambini, sono in attesa di essere giustiziati.
Fra le donne assassinate c’è Delara Darabi,
la pittrice condannata per la complicità
in un omicidio commesso quando aveva
solo diciassette anni. Aveva il volto nascosto
da un passamontagna, mentre il
cappio la soffocava.
Il mese più alto delle esecuzioni, non a
caso, è stato luglio, dopo le elezioni che
hanno confermato Mahmoud Ahmadinejad
fra le proteste e le accuse di frode
elettorale. Le cause delle pene di morte
inflitte sono state droga (140), omicidio
(56), stupro (24) e “mohareb” (31). E’ quest’ultima
l’accusa più terribile, una sorta
di neoinquisizione. Accusa politica, ideologica,
religiosa, perché significa “nemico
di Dio”. Sono i dissidenti del regime,
ribelli a diverso titolo, spesso apostati,
che gli ayatollah fanno sparire senza avvertire
i familiari. Li si impicca di mattina
presto. Un mese fa il regime iraniano
ha condannato a morte un 21enne prigioniero
politico, Amir Reza Aarefi, con l’accusa
di essere “mohareb”. Nel passato,
Teheran ha eseguito condanne a morte a
molti dissidenti politici come ordinari
criminali e trafficanti di droga. Alcune
delle persone impiccate con l’accusa di
essere “criminali comuni” avevano semplicemente
protestato contro il razionamento
della benzina deciso dal regime.
Sono quasi tutte impiccagioni segrete
dentro le carceri, nove le impiccagioni in
pubblico e di massa, una persona lapidata,
avvolta da capo a piedi in un sudario
bianco e interrata. Sarebbero otto le donne
e due uomini che attendono di morire
a colpi di pietra secondo la sharia. Le pietre
non devono essere così grandi in modo
da poter provocare una morte lenta e
dolorosa. Altri sono stati spinti giù da una
rupe. A molti sono state tagliate la mano
destra e il piede sinistro. La sentenza deve
rendere impossibile la vita ai condannati.
Si calcola l’utilizzo di 174 tipi di tortura
contro i prigionieri politici.
I “guardiani della Rivoluzione” hanno
scoperto che l’utilizzo delle gru mobili,
impiegate nei cantieri edili, garantisce loro
una maggiore rapidità delle esecuzioni,
oltre a “costi bassi” e al massimo effetto
di deterrenza. La gente si arrampica sui
semafori per assistere a questa “festa”.
L’obiettivo è ottenere il massimo livello di
dolore pubblico. Si usa il filo d’acciaio
per stringere la laringe provocando un
forte dolore e prolungare così l’agonia.
Mangiare in pubblico durante il Ramadan,
partecipare a una festa, può costare
la vita, soprattutto agli adolescenti. Ci sono
anche tante morti “indirette”. L’Iran ha
infatti un altro triste record, oltre a quello
delle esecuzioni di minorenni. Vanta
una delle percentuale di suicidi femminili
più alte al mondo. Cifre che bastano per
confermare l’impressione che l’Iran sia
diventato, come dicono studenti e dissidenti,
“un paese di condannati a morte”.

© Copyright Il Foglio 19 marzo 2010