Autore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
lunedì 22 marzo 2010
Sulla pedofilia e sugli abusi sessuali dei preti sembra che ora tutti conoscano e abbiano le ricette giuste. Peccato che la loro unica ricetta sia la scomparsa della chiesa cattolica dalla faccia della terra.
Guardo con dolore quanto accaduto nei confronti di alcuni giovani a causa di uomini di chiesa, e non riesco a nascondere il mio disgusto. Ma non posso nascondere anche il mio profondo disprezzo per chi guarda e commenta questi fatti con l’occhio cinico di chi non ama la vita, ritiene il sesso un gioco di liberazione, e inneggia ad ogni comportamento trasgressivo, purché però non sia compiuto da uomini di chiesa. Per questi ultimi c’è solo condanna e riprovazione, la «gogna mediatica», preludio di quella giudiziaria.
Ho letto con dolore l’accorata lettera del Papa ai cristiani d’Irlanda, e ne condivido lo spirito e la sostanza. E mi colpisce il richiamo che fa a chi avrebbe dovuto vigilare e non l’ha fatto. So bene quanto certi uomini di chiesa amino più che la testimonianza della fede l’affermazione di un loro potere o progetto. So bene però anche quanto certi ecclesiastici amanti del “politically correct” abbiano sempre snobbato l’insegnamento e il magistero della Chiesa, in particolare ciò che sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno affermato a proposito della chiesa e della sua missione. Sono i teologi amati da questo mondo, sono i vari Küng (e – forse – anche Mancuso) che amano più se stessi che la presenza viva e vivificante del popolo di Dio. E per questo hanno spazio sui vari mezzi di comunicazione, che diventano spesso tribune per cancellare quello che non riescono ad accettare.
Penso che l’unica vera ricetta per questo scandalo (che purtroppo però sembra lasciare in ombra altri veri e drammatici comportamenti negativi, diffusi tra persone insospettabili, e tra le mura domestiche) sia una autentica testimonianza di fede e carità che si vive nella chiesa oggi. I movimenti sono la risposta a questa grave emergenza educativa e morale, testimonianze di fede vissuta, di cultura nuova, di amore al popolo cristiano, sempre più incidenti e reali.
Mi spiace dovere constatare che anche nel mondo dell’informazione sono sempre i soliti che parlano, e spesso sono i voltagabbana (quanti fascisti sono diventati fautori della resistenza, quanti servi della ideologia più disumana che c’è stata – il comunismo – ora si fanno paladini di libertà, quanti di coloro che odiano la vita – basta pensare all’aborto come diritto – ora affermano amore e pietà per l’uomo…).
Quanti parlano e scrivono senza amore alla vita, all’uomo, ai giovani, alla realtà. Quanta falsa compassione in tanti ragionamenti, quanta pseudo-libertà.
Bisognerebbe adottare questa regola, dire solo ciò che si può vivere, e vivere solo ciò che si può comunicare (senza vergogna). Non sono mai stato “illuminista”, ma quanta profondità e saggezza in ciò che affermava il buon vecchio Kant, nei suoi imperativi categorici: «Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni divenga universale; agisci in modo da trattare l'uomo così in te come negli altri sempre anche come fine, non mai solo come mezzo; agisci in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale».
Certo questo è il tempo di una nuova costruzione, e di uomini che sappiano realizzare luoghi di amore e di verità. Tempo di testimonianza di forza e di libertà da schemi e pregiudizi, da ideologie e schieramenti, da meschinità e sterili contrapposizioni. Tempo meraviglioso, in cui fare propria la parola di un autentico martire, Pavel Florenskij, fucilato dal potere comunista nel 1937, l’8 dicembre: «Il destino della grandezza è la sofferenza, quella causata dal mondo esterno e la sofferenza interiore. Così è stato, così è e così sarà. Perché sia così è assolutamente chiaro: c'è una sorta di ritardo, della società rispetto alla grandezza e dell’io rispetto alla sua propria grandezza... è chiaro che il mondo è fatto in modo che non gli si possa donare nulla se non pagandolo con sofferenza e persecuzioni. E tanto più disinteressato è il dono, tanto più crudeli saranno le persecuzioni e atroci le sofferenze. Tale è la legge della vita, il suo assioma fondamentale... per il proprio dono, la grandezza, bisogna pagare con il sangue».
C’è bisogno di uomini così, in ogni campo, in ogni ambiente, a contatto con i giovani. Peccato che in questi giorni si abbiano notizie che – anche nelle scuole – gli unici che parlano e sono applauditi siano i «testimonial» della morte, come Beppino Englaro, che fa della morte procurata alla figlia una bandiera per reclamizzare un falso modello di libertà. Che questo sia il tempo di sofferte libertà. Di verità!
Guardo con dolore quanto accaduto nei confronti di alcuni giovani a causa di uomini di chiesa, e non riesco a nascondere il mio disgusto. Ma non posso nascondere anche il mio profondo disprezzo per chi guarda e commenta questi fatti con l’occhio cinico di chi non ama la vita, ritiene il sesso un gioco di liberazione, e inneggia ad ogni comportamento trasgressivo, purché però non sia compiuto da uomini di chiesa. Per questi ultimi c’è solo condanna e riprovazione, la «gogna mediatica», preludio di quella giudiziaria.
Ho letto con dolore l’accorata lettera del Papa ai cristiani d’Irlanda, e ne condivido lo spirito e la sostanza. E mi colpisce il richiamo che fa a chi avrebbe dovuto vigilare e non l’ha fatto. So bene quanto certi uomini di chiesa amino più che la testimonianza della fede l’affermazione di un loro potere o progetto. So bene però anche quanto certi ecclesiastici amanti del “politically correct” abbiano sempre snobbato l’insegnamento e il magistero della Chiesa, in particolare ciò che sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno affermato a proposito della chiesa e della sua missione. Sono i teologi amati da questo mondo, sono i vari Küng (e – forse – anche Mancuso) che amano più se stessi che la presenza viva e vivificante del popolo di Dio. E per questo hanno spazio sui vari mezzi di comunicazione, che diventano spesso tribune per cancellare quello che non riescono ad accettare.
Penso che l’unica vera ricetta per questo scandalo (che purtroppo però sembra lasciare in ombra altri veri e drammatici comportamenti negativi, diffusi tra persone insospettabili, e tra le mura domestiche) sia una autentica testimonianza di fede e carità che si vive nella chiesa oggi. I movimenti sono la risposta a questa grave emergenza educativa e morale, testimonianze di fede vissuta, di cultura nuova, di amore al popolo cristiano, sempre più incidenti e reali.
Mi spiace dovere constatare che anche nel mondo dell’informazione sono sempre i soliti che parlano, e spesso sono i voltagabbana (quanti fascisti sono diventati fautori della resistenza, quanti servi della ideologia più disumana che c’è stata – il comunismo – ora si fanno paladini di libertà, quanti di coloro che odiano la vita – basta pensare all’aborto come diritto – ora affermano amore e pietà per l’uomo…).
Quanti parlano e scrivono senza amore alla vita, all’uomo, ai giovani, alla realtà. Quanta falsa compassione in tanti ragionamenti, quanta pseudo-libertà.
Bisognerebbe adottare questa regola, dire solo ciò che si può vivere, e vivere solo ciò che si può comunicare (senza vergogna). Non sono mai stato “illuminista”, ma quanta profondità e saggezza in ciò che affermava il buon vecchio Kant, nei suoi imperativi categorici: «Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni divenga universale; agisci in modo da trattare l'uomo così in te come negli altri sempre anche come fine, non mai solo come mezzo; agisci in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale».
Certo questo è il tempo di una nuova costruzione, e di uomini che sappiano realizzare luoghi di amore e di verità. Tempo di testimonianza di forza e di libertà da schemi e pregiudizi, da ideologie e schieramenti, da meschinità e sterili contrapposizioni. Tempo meraviglioso, in cui fare propria la parola di un autentico martire, Pavel Florenskij, fucilato dal potere comunista nel 1937, l’8 dicembre: «Il destino della grandezza è la sofferenza, quella causata dal mondo esterno e la sofferenza interiore. Così è stato, così è e così sarà. Perché sia così è assolutamente chiaro: c'è una sorta di ritardo, della società rispetto alla grandezza e dell’io rispetto alla sua propria grandezza... è chiaro che il mondo è fatto in modo che non gli si possa donare nulla se non pagandolo con sofferenza e persecuzioni. E tanto più disinteressato è il dono, tanto più crudeli saranno le persecuzioni e atroci le sofferenze. Tale è la legge della vita, il suo assioma fondamentale... per il proprio dono, la grandezza, bisogna pagare con il sangue».
C’è bisogno di uomini così, in ogni campo, in ogni ambiente, a contatto con i giovani. Peccato che in questi giorni si abbiano notizie che – anche nelle scuole – gli unici che parlano e sono applauditi siano i «testimonial» della morte, come Beppino Englaro, che fa della morte procurata alla figlia una bandiera per reclamizzare un falso modello di libertà. Che questo sia il tempo di sofferte libertà. Di verità!