DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Manga



Nel giugno 2014 finalmente il Giappone si è dotato di una legge contro il possesso di materiale pedopornografico. Infatti, dal 2000, i casi di pedopornografia scoperti nel Sol Levante sono aumentati di dieci volte. Ma le associazioni per la tutela dei minori puntano il dito anche contro i «manga», fumetti di contenuto a volte particolarmente esplicito e i cui personaggi hanno facce di bambini. Niente, l’editoria del settore ha imposto la «libertà d’espressione» e il governo ha dovuto fare un’eccezione. Strano Paese, nel quale esistono locali per soli uomini in cui le cameriere devono vestire la divisa delle scolarette. Aridatece le geishe.

ONU: il bacio di Giuda


Autore: Mangiarotti, Don Gabriele  Curatore: Saro, Luisella
Fonte: CulturaCattolica.it
giovedì 6 febbraio 2014

Ho letto allibito la denuncia dell’ONU alla Chiesa, in materia di pedofilia. E ho letto molte reazioni: alcune condivisibili, altre decisamente scontate e stupide.
Mi è tornata in mente la lettura (mia personale) della vicenda di Giuda, il traditore. Ho sempre pensato che la sua azione, la sua consegna di Gesù al Sinedrio, avesse lo scopo di costringere il suo maestro a rivelarsi per quello che era, cioè a mostrare il suo volto di Messia. Sappiamo che Gesù non ha abboccato al tranello, che avrebbe snaturato la sua missione, e che di fronte al suo silenzio e alla condanna del tribunale, Giuda per disperazione si è tolto la vita.
Perché questo paragone?
Da tempo il mondo laicista e massonico vorrebbe fare fuori l’«anomalia cattolica», usando tutti i mezzi immaginabili e possibili. Certo sembra che di «quinte colonne» nella Chiesa ce ne siano in gran numero: basta forse ricordare l’affermazione di un eminentissimo che, riguardo alla famiglia, si chiedeva se non fosse giunto il momento di cambiare la posizione della Chiesa, visto il mutare dei tempi, come se la Chiesa dovesse essere fedele allo spirito del mondo piuttosto che a Cristo stesso. E sappiamo che i vari mass-media danno a questi personaggi ampio spazio e risonanza.
Forse anche con questo pronunciamento dell’ONU (che, sia chiaro, non solo riguarda la questione dei preti pedofili, ma chiede che la Chiesa muti il suo Codice di Diritto Canonico sulle questioni di aborto, omosessualità ed eutanasia) questi oscuri e diabolici «esperti» internazionali vorrebbero suggerire a Papa Francesco la via per una sopravvivenza della Chiesa nel contesto del mondo di oggi. Così offrono, novelli Giuda, il suggerimento di adeguarsi al mondo indicando la via più breve e già percorsa dalla Chiesa di Papa Benedetto (ma con diversi intendimenti e risultati) riguardo alla pedofilia sacerdotale. «Suvvia, una condanna (ché del resto avete già formulato) e – di soppiatto – anche le altre modifiche. Entrerete così a fare parte del consesso delle nazioni civili, e otterrete il diritto di cittadinanza».

No, amici, papa Francesco non è un burattino nelle vostre mani: ama Cristo e la sua Chiesa. E ci ha detto una infinità di volte il suo desiderio di essere fedele alla tradizione. Del resto alcuni dei compari di questa combriccola radical-massonico-laicista se ne sono già accorti, se possono dire nei loro testi influenti: «Oggi sono tutti inginocchiati e adoranti a celebrare le meraviglie della “rivoluzione francescana”. Peccato che, guardando i fatti, di questa rivoluzione non si intravveda nemmeno l’ombra. Al netto dei larghi sorrisi e degli efficacissimi slogan ad uso dei media, il nuovo papa non sembra discostarsi molto dal magistero tradizionale».

Il bacio di Giuda dei vari funzionari dell’ONU servirà soltanto a indicare a Papa Francesco la via della missione e del martirio, che, tra l’altro, è già esperienza quotidiana per i cristiani fedeli.

Una riflessione interessante de «Il Foglio»

CIRCOLARE SUI CASI DI ABUSO SESSUALE SU MINORI DA PARTE DI CHIERICI Inviata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede agli episcopati


LETTERA CIRCOLARE

per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare Linee guida

per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici

Tra le importanti responsabilità del Vescovo diocesano al fine di assicurare il bene comune dei fedeli e, specialmente, la protezione dei bambini e dei giovani, c’è il dovere di dare una risposta adeguata ai casi eventuali di abuso sessuale su minori commesso da chierici nella sua diocesi. Tale risposta comporta l’istituzione di procedure adatte ad assistere le vittime di tali abusi, nonché la formazione della comunità ecclesiale in vista della protezione dei minori. Detta risposta dovrà provvedere all’applicazione del diritto canonico in materia, e, allo stesso tempo, tener conto delle disposizioni delle leggi civili.

I. Aspetti generali:

a) Le vittime dell’abuso sessuale:

La Chiesa, nella persona del Vescovo o di un suo delegato, deve mostrarsi pronta ad ascoltare le vittime ed i loro familiari e ad impegnarsi per la loro assistenza spirituale e psicologica. Nel corso dei suoi viaggi apostolici, il Santo Padre Benedetto XVI ha dato un esempio particolarmente importante con la sua disponibilità ad incontrare ed ascoltare le vittime di abuso sessuale. In occasione di questi incontri, il Santo Padre ha voluto rivolgersi alle vittime con parole di compassione e di sostegno, come quelle contenute nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d’Irlanda (n.6): "Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata."

b) La protezione dei minori:

In alcune nazioni sono stati iniziati in ambito ecclesiale programmi educativi di prevenzione, per assicurare "ambienti sicuri" per i minori. Tali programmi cercano di aiutare i genitori, nonché gli operatori pastorali o scolastici, a riconoscere i segni dell’abuso sessuale e ad adottare le misure adeguate. I suddetti programmi spesso hanno meritato un riconoscimento come modelli nell’impegno per eliminare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori nelle società odierne.

c) La formazione di futuri sacerdoti e religiosi:

Nel 2002, Papa Giovanni Paolo II disse: "Non c’è posto nel sacerdozio e nella vita religiosa per chi potrebbe far male ai giovani" (n. 3, Discorso ai Cardinali Americani, 23 aprile 2002). Queste parole richiamano alla specifica responsabilità dei Vescovi, dei Superiori Maggiori e di coloro che sono responsabili della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi. Le indicazioni fornite nell’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, nonché le istruzioni dei Dicasteri competenti della Santa Sede, acquistano una crescente importanza in vista di un corretto discernimento vocazionale e di una sana formazione umana e spirituale dei candidati. In particolare si farà in modo che essi apprezzino la castità e il celibato e le responsabilità della paternità spirituale da parte del chierico e possano approfondire la conoscenza della disciplina della Chiesa sull’argomento. Indicazioni più specifiche possono essere integrate nei programmi formativi dei seminari e delle case di formazione previste nella rispettiva Ratio institutionis sacerdotalis di ciascun nazione e Istituto di vita consacrata e Società di vita apostolica.

Inoltre, una diligenza particolare dev’essere riservata al doveroso scambio d’informazioni in merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all’altro, tra diocesi diverse o tra Istituti religiosi e diocesi.

d) L’accompagnamento dei sacerdoti:

1. Il vescovo ha il dovere di trattare tutti i suoi sacerdoti come padre e fratello. Il vescovo curi, inoltre, con speciale attenzione la formazione permanente del clero, soprattutto nei primi anni dopo la sacra Ordinazione, valorizzando l’importanza della preghiera e del mutuo sostegno nella fraternità sacerdotale. Siano edotti i sacerdoti sul danno recato da un chierico alla vittima di abuso sessuale e sulla propria responsabilità di fronte alla normativa canonica e civile, come anche a riconoscere quelli che potrebbero essere i segni di eventuali abusi da chiunque compiuti nei confronti dei minori;

2. I vescovi assicurino ogni impegno nel trattare gli eventuali casi di abuso che fossero loro denunciati secondo la disciplina canonica e civile, nel rispetto dei diritti di tutte le parti;

3. Il chierico accusato gode della presunzione di innocenza, fino a prova contraria, anche se il vescovo può cautelativamente limitarne l’esercizio del ministero, in attesa che le accuse siano chiarite. Se del caso, si faccia di tutto per riabilitare la buona fama del chierico che sia stato accusato ingiustamente.

e) La cooperazione con le autorità civili:

L’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile. Sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche.

II. Breve resoconto della legislazione canonica in vigore concernente il delitto di abuso sessuale di minori compiuto da un chierico:

Il 30 aprile 2001, Papa Giovanni Paolo II promulgò il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela [SST], con il quale l’abuso sessuale di un minore di 18 anni commesso da un chierico venne inserito nell'elenco dei delicta graviora riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede [CDF]. La prescrizione per questo delitto venne fissata in 10 anni a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La normativa del motu proprio vale sia per i chierici Latini che per i chierici Orientali, sia per il clero diocesano che per il clero religioso.

Nel 2003, l’allora Prefetto della CDF, il Card. Ratzinger, ottenne da Giovanni Paolo II la concessione di alcune facoltà speciali per offrire maggiore flessibilità nelle procedure penali per idelicta graviora, fra cui l’uso del processo penale amministrativo e la richiesta della dimissioneex officio nei casi più gravi. Queste facoltà vennero integrate nella revisione del motu proprioapprovata dal Santo Padre Benedetto XVI il 21 maggio 2010. Nelle nuove norme, la prescrizione è di 20 anni, che nel caso di abuso su minore, si calcolano a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La CDF può eventualmente derogare alla prescrizione in casi particolari. Venne anche specificato il delitto canonico dell’acquisto, detenzione o divulgazione di materiale pedopornografico.

La responsabilità nel trattare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori spetta in un primo momento ai Vescovi o ai Superiori Maggiori. Se l’accusa appare verosimile, il Vescovo, il Superiore Maggiore o il loro delegato devono condurre un’indagine preliminare secondo il can. 1717 CIC, il can. 1468 CCEO e l’art. 16 SST.

Se l’accusa è ritenuta credibile, si richiede che il caso venga deferito alla CDF. Una volta studiato il caso, la CDF indicherà al Vescovo o al Superiore Maggiore i passi ulteriori da compiere. Al contempo, la CDF offrirà una guida per assicurare le misure appropriate, sia garantendo una procedura giusta nei confronti dei chierici accusati, nel rispetto del loro diritto fondamentale per la difesa, sia tutelando il bene della Chiesa, incluso il bene delle vittime. E’ utile ricordare che normalmente l’imposizione di una pena perpetua, come la dimissio dallo stato clericale, richiede un processo penale giudiziale. Secondo il diritto canonico (cf. can. 1342 CIC) gli Ordinari non possono decretare pene perpetue per mezzo di decreti extragiudiziali; a questo scopo devono rivolgersi alla CDF, alla quale spetterà il giudizio definitivo circa la colpevolezza e l’eventuale inidoneità del chierico per il ministero, nonché la conseguente imposizione della pena perpetua (SST Art. 21, §2).

Le misure canoniche applicate nei confronti di un chierico riconosciuto colpevole dell’abuso sessuale di un minorenne sono generalmente di due tipi: 1) misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori. Tali misure possono essere accompagnate da un precetto penale; 2) le pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è ladimissio dallo stato clericale.

In taluni casi, dietro richiesta dello stesso chierico, può essere concessa pro bono Ecclesiae la dispensa dagli obblighi inerenti allo stato clericale, incluso il celibato.

L’indagine preliminare e l’intero processo debbono essere svolti con il dovuto rispetto nel proteggere la riservatezza delle persone coinvolte e con la debita attenzione alla loro reputazione.

A meno che ci siano gravi ragioni in contrario, il chierico accusato deve essere informato dell’accusa presentata, per dargli la possibilità di rispondere ad essa, prima di deferire un caso alla CDF. La prudenza del Vescovo o del Superiore Maggiore deciderà quale informazione debba essere comunicata all’accusato durante l’indagine preliminare.

Compete al Vescovo o al Superiore Maggiore il dovere di provvedere al bene comune determinando quali misure precauzionali previste dal can. 1722 CIC e dal can. 1473 CCEOdebbano essere imposte. Secondo l’art. 19 SST, ciò deve essere fatto una volta iniziata l’indagine preliminare.

Va infine ricordato che, qualora una Conferenza Episcopale, salva l’approvazione della Santa Sede, intenda darsi norme specifiche, tale normativa particolare deve essere intesa come complemento alla legislazione universale e non come sostituzione di quest’ultima. La normativa particolare deve perciò essere in armonia con il CIC / CCEO nonché con il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (30 aprile 2001) così come aggiornato il 21 maggio 2010. Nel caso in cui la Conferenza decidesse di stabilire norme vincolanti sarà necessario richiedere larecognitio ai competenti Dicasteri della Curia Romana.

III. Indicazioni agli Ordinari sul modo di procedere:

Le Linee guida preparate dalla Conferenza Episcopale dovrebbero fornire orientamenti ai Vescovi diocesani e ai Superiori Maggiori nel caso fossero informati di presunti abusi sessuali nei confronti di minori, compiuti da chierici presenti sul territorio di loro giurisdizione. Tali Linee guida tengano comunque conto delle seguenti osservazioni:

a.) il concetto di "abuso sessuale su minori" deve coincidere con la definizione del motu proprio SST art. 6 ("il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore di diciotto anni") , nonché con la prassi interpretativa e la giurisprudenza della Congregazione per la Dottrina della Fede, tenendo conto delle leggi civili del Paese;

b.) la persona che denuncia il delitto deve essere trattata con rispetto. Nei casi in cui l’abuso sessuale sia collegato con un altro delitto contro la dignità del sacramento della Penitenza (SST, art. 4), il denunciante ha diritto di esigere che il suo nome non sia comunicato al sacerdote denunciato (SST, art 24);

c.) le autorità ecclesiastiche si impegnino ad offrire assistenza spirituale e psicologica alle vittime;

d.) l’indagine sulle accuse sia fatta con il dovuto rispetto al principio della privacy e della buona fama delle persone;

e,) a meno che ci siano gravi ragioni in contrario, già in fase di indagine previa, il chierico accusato sia informato delle accuse con l’opportunità di rispondere alle medesime;

f.) gli organi consultivi di sorveglianza e di discernimento dei singoli casi, previsti in qualche luogo, non devono sostituire il discernimento e la potestas regiminis dei singoli vescovi;

g.) le Linee guida devono tener conto della legislazione del Paese della Conferenza, in particolare per quanto attiene all’eventuale obbligo di avvisare le autorità civili;

h.) in ogni momento delle procedure disciplinari o penali sia assicurato al chierico accusato un sostentamento giusto e degno;

i.) si escluda il ritorno del chierico al ministero pubblico se detto ministero è di pericolo per i minori o di scandalo per la comunità.

Conclusione:

Le Linee guida preparate dalle Conferenze Episcopali mirano a proteggere i minori e ad aiutare le vittime nel trovare assistenza e riconciliazione. Esse dovranno indicare che la responsabilità nel trattare i delitti di abuso sessuale di minori da parte dei chierici appartiene in primo luogo al Vescovo diocesano. Infine, le Linee guida dovranno portare ad un orientamento comune all’interno di una Conferenza Episcopale aiutando ad armonizzare al meglio gli sforzi dei singoli Vescovi nel salvaguardare i minori .

Dal Palazzo del Sant’Uffizio, 3 maggio 2011

William Cardinale Levada
Prefetto

+ Luis F. Ladaria, S.I.
Arcivescovo tit. di Thibica
Segretario




IL CARD. LEVADA PRESENTA LA CIRCOLARE PER GLI ABUSI SESSUALI SUI MINORI





CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI

3 maggio 2011

Eminenza, Eccellenza,

Come è noto, il 21 maggio 2010, il Santo Padre Benedetto XVI promulgò una nuova versione delmotu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela che riporta le norme circa i delicta graviora,incluso il delitto di abuso sessuale di minori da parte di chierici.

Al fine di facilitare la retta applicazione di dette norme e di altri aspetti relativi all’abuso di minori, sarebbe opportuno che ciascuna Conferenza Episcopale prepari delle Linee guida con l’intento di assistere i Vescovi membri della medesima Conferenza nel seguire procedure chiare e coordinate quando si devono trattare i casi di abuso sessuale di minori. Tali Linee guida dovrebbero prendere in considerazione le situazioni concrete delle giurisdizioni appartenenti alla Conferenza Episcopale.

Come aiuto per le Conferenze Episcopali nella preparazione di dette Linee guida, o come appoggio nella revisione di quelle già esistenti, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha preparato una Lettera Circolare, trasmessa in allegato, che presenta alcuni temi generali per la considerazione di codesta Conferenza Episcopale. Detta Lettera Circolare rimarrà sotto embargo fino a mezzogiorno del 16 maggio 2011, quando sarà resa nota dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Sarebbe inoltre molto utile coinvolgere, nel processo di redazione o revisione di dette Linee guida, anche i Superiori Maggiori degli Istituti religiosi clericali, presenti nel territorio della Conferenza.

Le sarei grato, in fine, se potesse inviare a questa Congregazione copia delle suddette Linee guida, entro la fine del mese di maggio 2012. Questo Dicastero rimane a disposizione di codesta Conferenza Episcopale qualora emergesse la necessità di offrire chiarimenti o aiuto nella preparazione delle suddette Linee guida. Nel caso in cui la Conferenza decidesse di stabilire norme vincolanti sarebbe necessario richiedere la recognitio dai Dicasteri competenti della Curia Romana.

Assicurando il mio cordiale ricordo nella preghiera, mi professo

sinceramente Suo in Cristo

William Card Levada
Prefetto



NOTA DI PADRE LOMBARDI SULLA CIRCOLARE CONTRO GLI ABUSI SESSUALI SU MINORI



La Congregazione per la Dottrina della Fede chiede a tutte le Conferenze Episcopali del mondo di preparare entro il maggio 2012 "Linee guida" per trattare i casi di abuso sessuale di minori da parte di membri del clero, in modo adatto alle concrete situazioni nelle diverse regioni del mondo.

Con una "Lettera circolare" la Congregazione offre un’ampia serie di principi e indicazioni, che non solo faciliteranno la formulazione delle Linee guida e quindi l’uniformità dei comportamenti delle autorità ecclesiastiche nelle varie nazioni, ma ne garantiranno anche la coerenza a livello di Chiesa universale, pur rispettando le competenze dei Vescovi e dei Superiori religiosi.

L’attenzione prioritaria alle vittime, i programmi di prevenzione, la formazione dei seminaristi e la formazione permanente del clero, la cooperazione con le autorità civili, l’attuazione attenta e rigorosa della normativa canonica più aggiornata in materia sono gli orientamenti principali che devono strutturare le Linee guida in ogni parte del mondo.


* * *


Nei giorni scorsi la Congregazione per la Dottrina della Fede ha inviato a tutte le Conferenze Episcopali una "Lettera circolare per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici".

La preparazione del documento era stata annunciata nel luglio scorso, in occasione della pubblicazione delle nuove norme di attuazione del Motu proprio "Sacramentorum sanctitatis tutela" (cfr Nota P. F. Lombardi, in OR, 16.7.2010, 1, e www.vatican.va, Abuso sui minori, la risposta della Chiesa).

S.Em.za il Card. William Levada, Prefetto del Dicastero, aveva poi informato sulla preparazione in occasione della riunione dei cardinali durante il Concistoro del novembre scorso (cfr Comunicato Sala Stampa sulla Sessione pomeridiana, 19.11.2010).

Il documento è accompagnato da una Lettera di presentazione, a firma del Card. Levada, che ne illustra la natura e le finalità.

In seguito all’aggiornamento delle norme sulla questione degli abusi sessuali da parte di membri del clero, approvato dal Papa lo scorso anno, si ritiene "opportuno che ciascuna Conferenza Episcopale prepari delle Linee guida", allo scopo di "assistere i Vescovi nel seguire procedure chiare e coordinate quando si devono trattare i casi di abuso sessuale di minori", tenendo conto delle situazioni concrete delle diverse regioni su cui si esercitano le giurisdizioni dei diversi episcopati.

A questo fine, la Lettera Circolare "presenta alcuni temi generali", che andranno necessariamente adattati alle diverse realtà, ma che contribuiranno a garantire – appunto grazie alle Linee guida - un orientamento comune all’interno di una Conferenza episcopale e in certa misura anche da parte dei diversi episcopati.

Sul lavoro da compiere per la stesura delle nuove Linee guida o per la revisione di quelle già esistenti, la lettera di presentazione del Card. Levada dà anche due indicazioni operative: anzitutto di coinvolgere i Superiori Maggiori degli istituti religiosi clericali (in modo che si tenga conto non solo del clero diocesano, ma anche di quello religioso), e poi di inviare copia delle Linee guida alla Congregazione "entro la fine del mese di maggio del 2012".

In conclusione, appaiono chiare due preoccupazioni:

1. Incoraggiare ad affrontare tempestivamente ed efficacemente il problema con indicazioni chiare, organiche, adatte alle situazioni locali, compresi i rapporti con le norme e le autorità civili. La indicazione di una data precisa e di un termine relativamente breve entro cui elaborare le Linee guida da parte di tutte le Conferenze Episcopali è evidentemente una indicazione molto forte ed eloquente.

2. Rispettare la competenza fondamentale dei Vescovi diocesani (e dei Superiori maggiori religiosi) nella materia (la formulazione della Circolare è molto attenta a ribadire questo aspetto: le Linee guida servono ad "aiutare i Vescovi diocesani e i Superiori maggiori").

La Lettera Circolare in sé è breve, ma molto densa, e si articola in tre parti.

La Prima sviluppa una serie di indicazioni generali, fra cui in particolare:

L’attenzione prioritaria alle vittime dell’abuso sessuale: l’ascolto e l’assistenza spirituale psicologica alle vittime e ai familiari.

Lo sviluppo di programmi di prevenzione per creare ambienti veramente sicuri per i minori.

La formazione dei futuri sacerdoti e religiosi e lo scambio di informazioni sui candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono.

L’accompagnamento dei sacerdoti, la loro formazione permanente e la formazione alle loro responsabilità nel campo degli abusi, il modo di seguirli quando siano accusati, di trattare secondo il diritto gli eventuali casi di abuso, la riabilitazione della buona fama di chi sia stato accusato ingiustamente.

La cooperazione con le autorità civili nell’ambito delle rispettive competenze e l’osservanza "delle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale". La cooperazione va attuata non solo per abusi da parte del clero, ma anche di personale che operi in strutture ecclesiastiche.

La Seconda richiama le prescrizioni oggi vigenti della legislazione canonica, dopo l’aggiornamento del 2010.

Si richiama la competenza dei Vescovi e Superiori maggiori per l’indagine preliminare e, in caso di accusa credibile, l’obbligo di deferimento del caso alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che offre le indicazioni per la trattazione del caso.

Si parla delle misure precauzionali da imporre e delle informazioni da dare all’accusato nel corso delle indagini preliminari.

Si richiamano le misure canoniche e le pene ecclesiastiche che possono essere applicate ai colpevoli, compresa la dimissione dallo stato clericale.

Si precisa infine il rapporto fra la legislazione canonica valida per tutta la Chiesa e le eventuali norme specifiche particolari aggiuntive che le Conferenze Episcopali ritenessero opportune o necessarie, e la procedura da seguire in tali casi.

La Terza ed ultima parte enumera una serie di osservazioni utili per formulare i concreti orientamenti operativi per i Vescovi e Superiori maggiori.

Tra l’altro, si ribadisce la necessità di offrire assistenza alle vittime; di trattare con rispetto il denunciante e garantire la privacy e la buona fama delle persone; di tener nel dovuto conto le leggi civili del Paese, compreso l’eventuale obbligo di avvisare le autorità civili; di garantire all’accusato informazione sulle accuse e possibilità di rispondervi, e in ogni caso un sostentamento giusto e degno; di escludere il ritorno del chierico al ministero pubblico, in caso di pericolo per i minori o scandalo della comunità. Ancora una volta, si ribadisce la responsabilità primaria di Vescovi e Superiori maggiori, che non può essere sostituita da organi di sorveglianza o discernimento, per quanto utili o anche necessari in appoggio a tale responsabilità.

La Circolare rappresenta dunque un nuovo passo molto importante per promuovere in tutta la Chiesa la consapevolezza della necessità e dell’urgenza di rispondere nel modo più efficace e lungimirante alla piaga degli abusi sessuali da parte di membri del clero, rinnovando così la piena credibilità della testimonianza e della missione educativa della Chiesa, e contribuendo a creare nella società in generale quegli ambienti educativi sicuri di cui vi è urgente bisogno.



Il Papa: la Chiesa non lavora per aumentare i propri numeri ma serve per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo

LE RISPOSTE DEL PAPA AI GIORNALISTI SUL VOLO PER IL REGNO UNITO


ROMA, giovedì, 16 settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la trascrizione della conferenza stampa tenuta questo giovedì da Benedetto XVI durante il volo diretto verso il Regno Unito.



* * *

Padre Federico Lombardi: Santità, benvenuto fra noi, e grazie della sua disponibilità. Abbiamo un gruppo di 70 giornalisti qui presenti delle diverse parti del mondo, naturalmente alcuni vengono apposta dal Regno Unito per unirsi fin dal volo a questo nostro gruppo. Come al solito i colleghi nei giorni scorsi hanno dato diverse domande che Le proponiamo per questa prima conversazione all'inizio di un viaggio molto atteso e impegnativo, che speriamo che sia bellissimo. Io ho scelto una serie di domande tra quelle che sono state proposte. Gliele propongo in italiano per non affaticarLa troppo, i colleghi si aiuteranno a capire se non conoscono bene l'italiano.

La prima domanda, durante la preparazione di questo viaggio, vi sono state discussioni e posizioni contrarie. Nella tradizione passata del Paese ci sono state forti posizioni anticattoliche. Durante la preparazione del viaggio, la Gran Bretagna è stata presentata come un Paese anticattolico. Lei è preoccupato per come sarà accolto?

Benedetto XVI: Innanzitutto buona giornata e buon volo per noi tutti. Devo dire che non sono preoccupato, perché quando sono andato in Francia è stato detto: “questo è il Paese più anticlericale, con forti correnti anticlericali e con pochissimi fedeli”. Quando sono andato nella Repubblica Ceca è stato detto: “questo è il Paese più areligioso dell’Europa e il più anticlericale anche”. Così i Paesi occidentali, tutti hanno, ognuno nel loro modo specifico, secondo la loro propria storia, forti correnti anticlericali o anticattoliche, ma anche sempre una presenza forte di fede. Così in Francia e nella Repubblica Ceca ho visto e vissuto una calorosa accoglienza da parte della comunità cattolica, una forte attenzione da parte di agnostici che tuttavia sono in ricerca, vogliono conoscere e trovare i valori che portano avanti l’umanità, e sono stati molto attenti se potrebbero sentire da me qualcosa anche in questo senso e la tolleranza e il rispetto di quanti sono anticattolici. Attualmente la Gran Bretagna ha una sua propria storia di anticattolicesimo, questo è ovvio, ma è anche un paese di una grande storia di tolleranza. Io sono sicuro che da una parte ci sarà un’accoglienza positiva dai cattolici e dai credenti, generalmente, attenzione da quanti cercano come andare avanti in questo nostro tempo e rispetto e tolleranza reciproca dove c’è un anticattolicesimo. Vado avanti con grande coraggio e con gioia.

Padre Federico Lombardi: il Regno Unito, come molti altri Paesi occidentali, è un tema che ha già toccato nella prima risposta, è considerato un Paese secolare, con un forte movimento di atesimo anche con motivazioni culturali, tuttavia vi sono anche segni che la fede religiosa, in particolare in Gesù Cristo, è tuttora viva a livello personale. Che cosa può significare questo per cattolici ed anglicani. Si può fare qualcosa per rendere la Chiesa come istituzione anche più credibile ed attrattiva per tutti?

Benedetto XVI: Direi che una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri, e così il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro, serve non per sé, per essere un corpo forte, ma serve per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità, e le grandi forze di amore, di riconciliazione che è apparsa in questa figura e che viene sempre dalla presenza di Gesù Cristo. In questo senso la Chiesa non cerca la propria attrattività ma deve essere trasparente per Gesù Cristo. E nella misura nella quale non sta per se stessa, come corpo forte e potente nel mondo, ma si fa semplicemente voce di un Altro, diventa realmente trasparenza per la grande figura di Cristo e le grandi verità che ha portato nell’umanità, la forza dell’amore, in questo momento si ascolta, si accetta. La Chiesa non dovrebbe considerare se stessa ma aiutare a considerare l’Altro, ed essa stessa vedere e parlare dell'Altro e per l'Altro. In questo senso mi sembra anche che anglicani e cattolici hanno lo stesso compito, la stessa direzione da prendere. Se anglicani e cattolici vedono ambedue che non servono per se stessi ma sono strumenti per Cristo, “Amico dello sposo”, come dice san Giovanni, se ambedue seguono la priorità di Cristo e non di se stessi, vengono anche insieme. Perché in quel tempo la priorità di Cristo li accomuna e non sono più concorrenti, ognuno cerca il maggiore numero, ma sono congiunti nell’impegno per la verità di Cristo che entra in questo mondo, e così si trovano anche reciprocamente in un vero e fecondo ecumenismo.

Grazie Santità, una terza domanda: com’è noto e come è stato messo in luce anche da recenti sondaggi, lo scandalo degli abusi sessuali ha scosso la fiducia dei fedeli nella Chiesa. Come pensa di poter contribuire a ristabilire questa fiducia?

Benedetto XVI: Innanzitutto devo dire che queste rivelazioni sono state per me uno shock. Sono una grande tristezza. E' difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale era possibile. Il sacerdote nel momento dell’ordinazione, preparato per anni a questo momento dice sì a Cristo di farsi la sua voce, la sua bocca, la sua mano e servire con tutta l’esistenza perché il Buon Pastore che ama, che aiuta e guida alla verità sia presente nel mondo. Come un uomo che ha fatto e detto questo può poi cadere in questa perversione è difficile capire, è una grande tristezza, tristezza anche che l'autorità della Chiesa non è stata sufficientemente vigile e non sufficientemente veloce, e decisa nel prendere le misure necessarie. Per tutto questo siamo in un momento di penitenza, di umiltà, e di rinnovata sincerità, come ho scritto ai vescovi irlandesi. Mi sembra che dobbiamo adesso realizzare proprio un tempo di penitenza, un tempo di umiltà e rinnovare e reimparare l’assoluta sincerità.

Quanto alle vittime direi che tre cose sono importanti. Il primo interesse sono le vittime. Come possiamo riparare? Che cosa possiamo fare per aiutare queste persone a superare questo trauma, a ritrovare la vita, a ritrovare anche la fiducia nel messaggio di Cristo? Cura, impegno per le vittime è la prima priorità, con aiuti materiali, psicologici, spirituali.

Secondo è il problema delle persone colpevoli: la giusta pena, escluderli da ogni possibilità di accesso ai giovani, perché sappiamo che questa è una malattia e la libera volontà non funziona ove c’è questa malattia. Quindi, dobbiamo proteggere queste persone anche contro se stesse e trovare il modo di aiutarle, di proteggerle contro se stesse, escludendole da ogni accesso ai giovani.

E il terzo punto è la prevenzione e l’educazione nella scelta dei candidati al sacerdozio. Essere così attenti che, secondo le possibilità umane, si escludano futuri casi. E vorrei in questo momento anche ringraziare l’episcopato britannico per la sua attenzione e collaborazione sia con la Sede di San Pietro, sia con le istanze pubbliche e l’attenzione per le vittime e per il diritto. Mi sembra che l’episcopato britannico abbia fatto e fa un grande lavoro, quindi sono molto grato.

Padre Federico Lombardi: Santità, la figura del cardinale Newman evidentemente è molto significativa per lei. Per il cardinale Newman lei fa l’eccezione di presiederne la beatificazione. Pensa che il suo ricordo possa aiutare a superare le divisioni tra anglicani e cattolici? E quali sono gli aspetti della sua personalità su cui desidera mettere l’accento più forte?

Benedetto XVI: Newman è soprattutto da una parte un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche il problema dell’agnosticismo, il problema dell’impossibilità di conoscere Dio, e di credere. Un uomo che è stato per tutta la sua vita in cammino, in cammino per lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità, di conoscere meglio e di trovare e di accettare la strada che dà la vera vita. Questa modernità interiore della sua vita implica la modernità della sua fede. Non è una fede in formule del tempo passato, ma una fede personalissima, vissuta, sofferta, trovata in un lungo cammino di rinnovamento e di conversioni. E’ un uomo di grande cultura che da una parte partecipa alla nostra cultura scettica di oggi. Possiamo capire qualcosa di certo sulla verità dell’uomo, di essere o no, e come possiamo arrivare alla convergenza delle verosimilità. Un uomo, che d'altra parte, con una grande cultura della conoscenza dei Padri della Chiesa, ha studiato e rinnovato la genesi e il dono della fede riconosciuta così la figura essenzialmente interiore. E’ un uomo di una grande spiritualità di un grande umanesimo, un uomo di preghiera, di una relazione profonda con Dio e di una relazione propria perciò anche di una relazione profonda con gli altri uomini del suo tempo. Direi quindi tre elementi: modernità della sua esistenza con tutti i dubbi e i problemi del nostro essere di oggi, cultura grande, conoscenza dei grandi tesori della cultura dell’umanità, disponibilità di ricerca permanente, di rinnovamento permanente e spiritualità, vita spirituale con Dio, danno a questo uomo un'eccezionale grandezza per il nostro tempo. E' una figura di dottore della Chiesa per noi tutti e anche un ponte tra anglicani e cattolici.

Padre Federico Lombardi: ultima domanda. Questa visita è considerata con il rango di visita di Stato. Così è stata qualificata. Che cosa significa ciò per i rapporti tra la Santa Sede e il Regno Unito. Vi sono punti importanti di sintonia in particolare guardando alle grandi sfide del mondo attuale?

Benedetto XVI: Sono molto grato a sua Maestà, la Regina Elisabetta II, che voleva dare a questa visita il rango di una visita di Stato, che sa esprimere il carattere pubblico di questa visita e anche la responsabilità comune tra politica e religione per il futuro del continente e per il futuro anche dell’umanità. La grande comune responsabilità perché i valori che creano giustizia e politica e che vengono dalla religione siano insieme, in cammino nel nostro tempo. Attualmente di questo fatto che giuridicamente è una visita di Stato non rende la mia visita un fatto politico, perché, se il Papa è capo di Stato, questo è solo uno strumento per garantire l’indipendenza del suo annuncio e il carattere pubblico del suo lavoro di pastore. In questo senso anche la visita di Stato rimane sostanzialmente ed essenzialmente una visita pastorale, cioè una visita nella responsabilità della fede nella quale il Sommo Pontefice, il Papa, esiste. E naturalmente mette al centro dell’attenzione di questa visita di Stato proprio le coincidenze tra l’interesse della politica e della religione. La politica sostanzialmente è creata per garantire giustizia, la giustizia e la libertà. La giustizia è un valore morale, religioso e così la fede, l’annuncio del Vangelo, si collega nel punto giustizia con la politica e qui nascono anche gli interessi comuni. La Gran Bretagna ha una grande esperienza e una grande attività nella lotta contro il male di questo tempo, contro la miseria, la povertà, le malattie, la droga, e tutte queste lotte contro la miserie, le povertà, la schiavitù dell’uomo, l'abuso dell'uomo, sono anche scopi della fede perché sono scopi dell’umanizzazione dell’uomo perché sia restituita l’immagine di Dio contro le distruzioni e le devastazioni. Il secondo compito comune è l’impegno per la pace nel mondo e la capacità di vivere la pace, l’educazione alla pace. Creare le virtù che vedono l’uomo capace di pace. E finalmente un elemento essenziale della pace è il dialogo delle religioni, tolleranza, apertura dell’uomo e all’altro e questo è anche un profondo scopo sia della Gran Bretagna, come società, sia della fede cattolica di aprire il cuore, di aprire al dialogo, di aprire così alla verità, al cammino comune dell’umanità e alla riscoperta dei valori che sono fondamento del nostro umanesimo.

[Trascrizione non ufficiale a cura di ZENIT]

Abusi sessuali e celibato. Di Silvano Fausti S.I.

Biblista e scrittore, http://www.popoli.info/ maggio 2010
Caro padre Silvano, vorrei chiederle cosa ne pensa degli abusi sessuali commessi da uomini di Chiesa. Soprattutto, poiché molti tirano in ballo la questione del celibato dei sacerdoti, vorrei leggere la sua opinione in merito a questo tema così delicato. Il celibato dei sacerdoti, se non sbaglio, non è una cosa voluta espressamente da Gesù, né un dogma della Chiesa. Quale può essere, nel 2010, il suo valore e quali possibilità ci sono che la Chiesa cambi posizione su questo?

È bene che siano denunciati e perseguiti gli abusi sessuali. È un errore nasconderli per non scandalizzare. Lo scandalo non è che vengano alla luce, ma che ci siano e vengano occultati. Il diavolo, si sa, fa pentole, ma non coperchi.

La presa di posizione del Papa, molto forte, era necessaria. Se ci fosse stata prima, si sarebbe diffusa meno la peste, con relativa strage di innocenti. Per non soccombere al male, innanzi tutto bisogna riconoscerlo e denunciarlo come tale. Inoltre vanno risarcite le vittime e il malfattore va messo in situazione di non nuocere, aiutandolo a recuperarsi. Chi fa il male, l'ha anche in qualche modo subito: chi sta bene, fa male a nessuno.

Nella mia esperienza non ho incontrato direttamente casi di abusi sessuali da parte di religiosi. Ne ho invece incontrati molti consumati dentro le mura di casa. Di questi si parla poco; non sono pubblici e restano sommersi. E non sono meno gravi, perché toccano le relazioni più sacre.

La selezione dei candidati al sacerdozio deve essere più severa, scartando persone scompensate. Pure la loro formazione nei seminari è da ripensare, se si vogliono persone serene e responsabili, con maturità affettiva e umanità meno repressa e più ricca.

Il celibato, per sé, non ha a che fare con gli abusi sessuali. Certo non è un dogma né può essere imposto senza danni collaterali. Introdotto in Spagna nel IV secolo, si diffuse, pur tra contrasti, nel mondo latino e fu sancito solo nel 1123. Un clero sposato ha sempre convissuto - e tuttora convive nelle Chiese orientali anche cattoliche - con la scelta celibataria propria dei monaci. Il celibato può solo essere una libera scelta come testimonianza del Regno, secondo il comandamento, valido per tutti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore» (Mc 12,30s). Ogni uomo è partner di Dio, chiamato a rispondere al suo amore con amore: solo così ama veramente se stesso e l'altro come se stesso. L'amore, di sua natura assoluto, è per Dio, unico assoluto. Qualcuno, se può e vuole, è chiamato a testimoniarlo con cuore indiviso (1Cor 7,32s); tutti però siamo chiamati a viverlo con il prossimo, in particolare nella relazione di coppia, che è immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,27). Per questo il matrimonio è un grande mistero (Ef 5,32), riflesso della fedeltà del Dio-amore. All'obiezione di Pietro che, se è così, non vale la pena di sposarsi, Gesù risponde: «Vi sono eunuchi nati così dal seno materno, altri che sono stati resi tali dagli uomini e altri che si sono fatti tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Mt 19,10-12). I primi non possono sposarsi; i secondi, per problemi sopraggiunti, non sono in grado di reggere un rapporto di coppia. I terzi, pur in grado di sposarsi, vi rinunciano per una scelta particolare. A questi è possibile un celibato sano e positivo.

In questa luce è da rivedere la disciplina del celibato imposto ai sacerdoti. I vari ministeri nella Chiesa vanno sempre riformati, perché siano adeguati al loro fine, che è servire il sacerdozio, la libertà e la profezia comune del popolo di Dio. I ministri sposati - in particolare la presenza della donna - sono certamente un arricchimento. E non solo per uscire da ambiguità pericolose e ovviare alla scarsità di preti, ma anche per avere una comunità cristiana più adulta e meno clericale.

Con dolente forza per indicare la porta sul futuro

Se il Papa usa un aggettivo come «terrificante», di sicuro non lo fa a cuor leggero. Soprattutto se, con quello, intende far echeggiare nelle coscienze di credenti e non credenti la dolente consapevolezza che alle persecuzioni dei «nemici di fuori» si è aggiunta quella «più grande» che «nasce dal peccato nella Chiesa». Era martedì scorso, e Benedetto XVI stava volando verso il Portogallo; gli era stato chiesto se, nel messaggio di Fatima sulle sofferenze dei Papi, fosse possibile anche inquadrare quelle provocate dagli abusi che alcuni sacerdoti hanno compiuto nell’ultimo mezzo secolo sui più piccoli, sui bambini, e dalle ondate violente contro la Chiesa e al successore di Pietro che da questi «tradimenti» hanno preso forza. E il Papa ha detto una parola forte di dolore. Un dolore che in cinquecentomila, sul grande sagrato di Fatima, sono poi accorsi a lenire.

Tutto il viaggio apostolico che si è concluso ieri è stato, a ben vedere, una risposta alle domande che Fatima si porta dietro da sempre. Nella chiave di un futuro che la Chiesa può affrontare solo con la testimonianza di fede limpida resa dai suoi figli, senza cadere nella tentazione – quasi si trattasse di un capitolo esaurito – di affidare alla «fine della storia» il messaggio consegnato dalla Vergine a Lucia, Francesco e Giacinta.

Non per niente, in modi diversi ma con identico senso, Papa Ratzinger ha sottolineato a più riprese che «si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa» e ci ha ricordato che in essa «rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi». La tentazione, l’insidia vera, è quella che nascerebbe all’interno di una Chiesa "rilassata", preoccupata di molto e attenta a poco, magari presa dalle forme organizzative e singolarmente restìa a servire con fedeltà la forza del Vangelo, dimentica dell’essenziale, del centro della sua missione: l’annuncio della Parola.
Non è un’idea di oggi, nel magistero di Benedetto XVI. Dove «terrificante», certamente, è la colpa umana e il peccato cristiano della pedofilia che persone consacrate hanno compiuto, facendo violenza a minori e dando scandalo alla comunità dei credenti e armi ai nemici della Chiesa. Ma terrificante sarebbe soprattutto la perdita di prospettiva riguardo alla missione.

È diventato via via più chiaro, sulla strada di Fatima, perché Papa Ratzinger abbia voluto così strettamente ed esplicitamente legare questa sua visita all’Anno Sacerdotale. Perché la Chiesa «ha profondo bisogno di rimparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare perdono ma anche la necessità della giustizia». Questo già accade, ma deve continuare ad accadere attraverso preti autenticamente convinti della grandezza del ministero a cui sono stati chiamati. E per questo che Benedetto ha voluto affidare alla Vergine di Fatima i 400mila sacerdoti del mondo, perché essi «rinnovino la Chiesa... trasfigurati dalla grazia di Colui che fa nuove tutte le cose».
Questo pellegrinaggio in terra portoghese, in un momento delicato e difficile, s’è così fatto "porta": una porta spalancata sul futuro della Chiesa. Che, ogni giorno, avrà bisogno del sostegno della Madre del Signore per far «rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità... tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù».

Salvatore Mazza


© Copyright Avvenire 15 maggio 2010

La finta vittima dei preti pedofili: coi soldi del Vaticano si paga il golf. Di Andrea Tornielli

Nel 2007 denunciò una molestia avvenuta da bambino. La Chiesa gli crede e paga 100mila euro per le sedute di psicoterapia che però non ha mai fatto
di Andrea Tornielli
Tratto da Il Giornale del 13 maggio 2010

Era stato ammesso al programma di aiuto e di sostegno per le vittime della pedofilia istituito dalla diocesi di Philadelphia, ma gli oltre 100mila dollari che ha ricevuto tra il 2007 e il 2010 per pagarsi le sedute di psicoterapia sono stati in realtà usati per l’abbonamento al campo di golf, per pagare l’affitto e anche per aumentare le dimensioni del seno della sua ragazza con un intervento di chirurgia plastica.

La storia di Michael W. McDonnel, raccontata dal «Philadelphia Inquirer», rappresenta l’altra faccia della medaglia degli abusi sessuali sui minori perpetrati da sacerdoti e religiosi. Negli anni scorsi, numerose diocesi americane sono state travolte dalle richieste di risarcimento e sono andate in bancarotta. Si sono moltiplicati gli studi legali specializzati in questo tipo di processi e di fronte alla pressione dell’opinione pubblica la Chiesa ha pagato talvolta senza troppe verifiche.

Il caso emerso nei giorni scorsi è emblematico in questo senso. McDonnel, 41 anni, è stato fermato venerdì scorso a Doylestown con l’accusa di furto e truffa. Nel 2007 aveva affermato di essere stato molestato da due sacerdoti quando era chierichetto a Philadelphia e aveva 11 anni. Non ricordava il nome dei due preti pedofili, ma la diocesi ha ritenuto lo stesso di inserirlo nel programma di sostegno alle vittime. Così, l’uomo, ha cominciato a presentare alla Chiesa le ricevute per le sedute di psicoterapia che dovevano curarlo, aiutarlo a superare il trauma subito. In tre anni, fino al febbraio scorso, McDonnel ha presentato la bellezza di richieste di rimborso per 662 sedute, pagate 130 dollari l’ora, per un totale di 87. 135 dollari. In più ha chiesto e ottenuto il rimborso delle spese sostenute per gli spostamenti che ha affrontato, circa 13mila dollari. Un detective della contea, che stava indagando su delle irregolarità riguardanti un’attività di McDonnel, si è imbattuto casualmente nella verità. «McDonnel - ha spiegato il procuratore distrettuale della contea di Bucks, David W. Heckler - preparava da solo le false ricevute usando il suo computer di lavoro. In realtà quelle sedute di psicoterapia così necessarie per superare il trauma subito da bambino, non sono mai avvenute».

Ed è più che lecito ora dubitare anche sul racconto che l’uomo ha fatto accusando i due sconosciuti sacerdoti. La vicenda degli abusi, però, non è entrata in alcun modo nella vicenda e l’avvocato di McDonnel, Christopher Serpico ha dichiarato: «Da quello che mi è stato detto, il mio cliente è stato davvero abusato all’età di 11 o 12 anni».

L’arcidiocesi di Philadelphia ha dunque accettato di pagare, senza però verificare come il denaro veniva speso. La portavoce della Chiesa locale, Donna Farrel, non ha voluto commentare la notizia e ha detto di non sapere quali verifiche siano state fatte sul caso, ma ha confermato che la diocesi ha cercato in tutti i modi di semplificare negli ultimi anni le procedure di finanziamento alle vittime. E forse ha semplificato troppo. Dalle indagini è emerso che una buona parte dei soldi ottenuti con le false ricevute non si sa dove siano andati a finire. Ma una parte è stata usata per pagare l’affitto, la pulizia della casa, l’abbonamento al campo da golf, ma anche la consulenza del chirurgo plastico che doveva intervenire per aumentare il seno della fidanzata di McDonnel.

L’uomo non ha però truffato soltanto la Chiesa cattolica. La polizia ha infatti accertato che si è anche intascato più di ottomila dollari di donazioni destinate alle vittime dell’alcolismo e della droga, nel periodo in cui McDonnel lavorava per un programma sociale pubblico dedicandosi alla raccolta di fondi. Intanto però lo scandalo degli abusi sui minori non sembra conoscere tregua. In Olanda i vescovi hanno accettato l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente sulle 1500 denunce già raccolte, relative agli ultimi 55 anni. Mentre in Belgio dal 23 aprile 2010 ad oggi sono stati aperti 270 nuovi dossier presso la commissione istituita dalla conferenza episcopale.

Preti e pedofilia: ecco la controstoria

di Andrea Galli
Oggi «vediamo in modo realmente terrificante» che «la più grande persecuzione non viene dai nemi­ci di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa». A dare il quadro interpretativo più profondo dello scandalo sugli abusi sessuali commessi da sacerdoti e religio­si è stato come al solito Benedetto XVI. Un quadro di cui si comprende tutta la por­tata se si pensa – oltre alla gravità dei de­litti in sé – quale sia l’empietà di mani or­dinate per trasformare il pane e il vino e nel corpo e sangue del Signore, o di uomini i cui voti dovrebbero parlare di realtà e­scatologiche, e che parlano invece di lus­suria e violenza. Detto questo, sono proprio la «verità» e la «trasparenza» così invocate in questi me­si che richiedono una disamina più pos­sibile precisa del problema «preti pedofi­li », soprattutto per come questo è presen­tato e spesso strumentalizzato dai media. A questo proposito sono appena usciti in libreria due utili instant book. Il primo è Preti pedofili: la vergogna, il dolore e la ve­rità sull’attacco a Benedetto XVI (San Pao­lo, pp. 92, euro 8) di Massimo Introvigne, in cui il sociologo delle religioni ricorda tanti aspetti negati o poco noti di questa vicenda. Dai numeri forniti dallo studio del Jay College of Criminal Justice della City University of New York, la più auto­revole istituzione accademica del Paese in materia di criminologia, e che sono lungi dall’indicare un problema di vaste pro­porzioni (fermo restando che anche un singolo caso è orrendo e inaccettabile). Dalle deformazioni mediatiche di docu­menti vaticani di cui molto si è parlato nel recente passato, come il Crimen sollicitationis del 1962, alle mistificazioni conte­nute nel documentario della Bbc Sex Cri­mes and the Vatican, che ha contribuito a spostare il piano delle polemiche sullo stesso Ratzinger. Alla presenza del pro­blema – e in misura non minore, anzi – in altre confessioni cristiane o altre religio­ni, come quella ebraica. Il che non deve servire per rifugiarsi in un «mal comune mezzo gaudio», ma per valutare il tratta­mento peculiare riservato alla Chiesa cat­tolica a e comprendere che gli abusi nul­la hanno a che fare con norme canoniche come il celibato ecclesiastico. Alle tattiche messe in campo da assicurazioni e studi legali per lucrare sui risarcimenti alle vit­time, soffiando sul fuoco, dove possibile. Fino ai recentissimi articoli del New York Times , che cercando di coinvolgere in mo­do maldestro Benedetto XVI, hanno fini­to per rendere più chiara l’esistenza di un doppio fondo in non poche denunce a mezzo stampa. Eccetera.
Temi che sono in buona parte ripresi an­che da Indagine sulla pedofilia nella Chie­sa (Fede e cultura, pagine 80, euro 6) di A­gnoli, Bertocchi, Guzzo, Introvigne, Vo­lonté e in cui, tra le altre cose, ci si soffer­ma sul problema dei «falsi abusi», ovvero delle calunnie che hanno sconvolto la vi­ta di molti, troppi sacerdoti e religiosi in­nocenti. E sull’ipocrisia che fa capolino dietro a certe campagne laiche per la tu­tela dell’infanzia, e contro la Chiesa, che tuttavia nulla hanno da dire sul libertari­smo dionisiaco, su una cultura che ha nel­la licenziosità irresponsabile e nella lotta contro il pudore e la castità «sessuo­suofobiche » un postulato. Salvo poi alza­re alti lai quando la «liberazione» dell’i­stinto, tanto caldeggiata, tocca il fondo a­troce del suo piano inclinato.

«Avvenire» del 14 maggio 2010

Psicopatologia shakespeariana del perverso barnum antipedofilo

Al direttore - Credo che fra i moventi della variopinta
tribù che per fomentare la psicosi antipedofila non esita
a incoraggiare, montare e pompare infamie come quelle
che Francesco Agnoli non cessa di denunciare, occorra
considerare anche e forse soprattutto il fattore “proiezione”.
Mi riferisco, ovviamente, a quel meccanismo psichico
di difesa che, secondo il pensiero freudiano, consiste
nello spostare sentimenti, paure, desideri o altre parti di
sé su altri oggetti o persone, e che in tal modo permette al
soggetto di conseguire il paradossale, duplice risultato di
immaginare di odiare quel che egli in effetti desidera e
di realizzare il proprio desiderio immaginando appunto
di odiarlo. Che proprio questo sia il dispositivo psichico
che permette a tutti o quasi gli esponenti della suddetta
tribù di prodursi sulla scena del grande barnum antipedofilo
sembra confermato, del resto, dalla loro nota appartenenza
alle seguenti categorie di mortali: calunniatori,
ricattatori, genitori deliranti, testimoni visionari, magistrati
paranoici, psico-sessuo-pedagoghi maniacali, giornalisti
irresponsabili e ovviamente armate di pettegoli e
voyeur mentali felici di godersela e spassarsela fantasticando
non soltanto sugli altrui piaceri proibiti, ma anche
su quel piacere ulteriore che il loro sadismo si aspetta
dallo spettacolo delle altrui pene e vergogne.
Per denunciare gli stupefacenti effetti del fattore
proiezione comunque non occorrono le saggiamente dettagliate
prose descrittive e argomentative dei tantissimi
testi dedicati all’argomento dalla letteratura psicoanalitica.
A farlo può infatti bastare anche un conciso e fulminante
apoftegma. Come – per ricordare quello che sull’argomento
resta forse, nonostante la sua stringatezza, il
trattato più esauriente – la folgorante battuta con cui
Shakespeare, tre secoli prima di Freud, nella sesta scena
del quarto atto di “Re Lear”, trafisse l’orribile arcano
del furore punitivo, virtualmente omicida, racchiuso in
ogni rabbiosa moraloneria giudiziaria in rebus sexualibus.
A uno sbirro che sta frustando una puttana, il vecchio
re impazzito beffardamente grida: “Invece di lei frusta
piuttosto te stesso”. E ancor più beffardamente aggiunge:
“Tu bruci dalla voglia di fare con lei ciò per cui
la punisci”. Ed ecco disvelato in pochi versi geniali tutto
il potere del fattore “proiezione”… Quanto poi al motivo
per cui questo compito Shakespeare volle assegnarlo a
un pazzo, esso è forse racchiuso nello splendido chiasmo
con cui Freud, concludendo il saggio in cui analizzò le
teorie teologiche di un magistrato un po’ matto (il famoso
Paul Daniel Schreber, presidente della corte d’appello
di Dresda, nonché leggendaria figura di giudice paranoico),
confessò di non sapere se ci fosse “più verità nella
sua follia di o più follia nella mia verità”.

Ruggero Guarini

© Copyright Il Foglio 14 maggio 2010

IL PECCATO CARNALE IRLANDESE. Inchiesta dove tutto è ri-cominciato. Non sembra una patologia cattolica

di Francesco Agnoli
Alzi la mano chi non ha letto che violenza
e pedofilia erano “endemici”
nelle istituzioni religiose d’Irlanda tra gli
anni Trenta e Novanta del Novecento. Chi
non ha visto il film “Magdalene”, subito
premiato, naturalmente, al Festival di Venezia,
e non si è sentito civilissimo, bravissimo,
illuminatissimo, nello stigmatizzare
le malvagità di preti e suore. Chi non ha
sentito spiegare che per forza, quelli là
fanno professione di castità, vivono “contro
natura”, e poi fanno sesso coi ragazzini,
o li picchiano per sfogare le loro frustrazioni.
Santa indignazione, unita alla
consapevolezza di una superiorità morale!
Unita a una certa goduria in moltissimi
Catoni odierni che fiondano giudizi definitivi,
categorici, assoluti. Non tanto sui
peccati, come sarebbe anche giusto, ma
sui peccatori. Non sui peccatori, come singoli,
come esempi della fallibilità umana
e della nostra miseria, bisognosa sempre
di perdono e di salvezza, ma come emblemi
e simboli di una categoria, quella sì,
tutta intera, condannabile e colpevole:
quella dei sacerdoti, dei religiosi, dei seguaci
di Cristo, in generale. Eppure, ancora
una volta, la realtà sfugge alle semplificazioni
ideologiche, alle strumentalizzazioni,
alle generalizzazioni ed alle indignazioni
a senso unico, in cui l’obiettivo è
deciso a priori, per odio ideologico.
Anzitutto, per giudicare con un po’ di
conoscenza, non sull’onda dell’emotività
scatenata da denunce, amplificazioni giornalistiche
o da film come “Magdalene”,
ma con un minimo di volontà di inquadrare
i fatti nella storia, occorre ricordare,
con Vittorio Messori, che le Industrial
School, i riformatori e i Magdalen’s Institutes
irlandesi, “prima ancora che case religiose,
erano riformatori giudiziari, case
di correzione minorile, in diretto collegamento
con il ministero della Giustizia e la
magistratura della Repubblica d’Irlanda.
La gestione, affidata a congregazioni religiose
(avviene tuttora anche in Italia, dove
le suore sono ancora presenti nelle carceri
femminili e in molti altri, civilissimi
paesi del mondo), era sottoposta al controllo
degli ispettori dello stato, che esigeva
dalle suore rigorosa sorveglianza e disciplina
sulle ospiti e riteneva le monache
responsabili in caso di fuga o rivolta”
(Corriere della Sera, 14/9/2002).
Case di correzione, soprattutto minorile:
nei riformatori finivano i giovani condannati
per reati penali; nelle Industrial
School, le workhouse irlandesi, i figli rifiutati,
abbandonati, orfani, non criminali
ma potenzialmente tali; nelle Magdalene
ragazze povere, respinte dalle stesse famiglie,
magari con problemi di alcol, prostitute
o a rischio di cadere nella prostituzione…
persone assai problematiche. Come
alternativa alla strada, alla delinquenza,
alla disperazione, alla galera.
Come erano nate queste case con un fine
simile tra loro, sebbene diverse? Le case
di correzione, divenute presto case di
lavoro (workhouse), nascono nell’Europa
del XVI secolo, dopo la Riforma, nel mondo
protestante e calvinista. Il medioevo
aveva guardato alla povertà con profondo
rispetto, insistendo sulla povertà di Cristo
stesso. Tale elogio della povertà era anche
degenerato, talora, in pauperismo. In seguito
alla Riforma, alla diffusione della
mentalità calvinista, che lega predestinazione
e ricchezza, salvezza eterna e successo
materiale, la povertà diviene invece
sempre di più una maledizione, una colpa,
un reato contro l’ordine pubblico. Che
le città, gli stati puniscono duramente. Anche
Lutero, ideologo dei principi tedeschi
nella lotta contro i contadini, nella prefazione
al “Liber vagatorum”, rappresenta i
vagabondi come alleati del diavolo. Poveri,
delinquenti, vagabondi, orfani divengono
oggetto di repressione anche per l’affermarsi
della mentalità borghese e capitalista.
Da questo momento in poi, hanno
scritto Ermanno Gallo e Vincenzo Ruggiero,
in “Il carcere in Europa” (Bertani,
1983), “gli stracci del diseredato non simboleggiano
più le piaghe di Cristo, ma il
marchio dell’accidia”.
E’ l’Inghilterra anglicana e secolarizzata
ad aprire le danze: i beni della chiesa
vengono sequestrati, migliaia di poveri
che vivevano grazie ad essi rimangono
senza sussidi e aiuti, perché la Corona in-
camera tutto ciò che può e rivende a ricchi
e mercanti. Così Enrico VIII emette
l’editto contro il vagabondaggio, col quale
vengono impiccati 75 mila vagabondi. Dopo
Enrico VIII le cose, se possibile, peggiorano:
per i mendicanti sono previsti la
gogna, la fustigazione, il marchio di ferro
rovente, il taglio degli orecchi; con Edoardo
VI la riduzione in schiavitù, con Elisabetta
la morte. E’ proprio Elisabetta I, la
feroce nemica dei cattolici, a istituire nel
1576 le “Houses of correction”, imitata a
breve da altri paesi protestanti, in Germania,
in Svizzera, in Olanda. Nelle case, che
hanno una funzione di rieducazione attraverso
il lavoro, sono previste sanzioni rigide,
corporali, fustigazioni, bastonate sulla
schiena. Del resto si tratta di luoghi che
assomigliano un po’ a case di recupero, un
po’ a prigioni: una sorta di via di mezzo,
insomma, in cui è prevista la durezza della
prigione, ma anche il tentativo di redimere
in qualche modo gli internati.
Sono gli anni in cui in Inghilterra i reati
contro la proprietà crescono ogni giorno,
insieme alle pene. La classe dirigente borghese
e nobiliare, lanciata sempre più verso
la privatizzazione delle terre, con relativo
sfratto dei piccoli contadini, e l’industrializzazione,
piega il mondo alla sua visione.
I bambini orfani, poveri, finiscono
spesso sfruttati sin dai quattro anni di età:
lavorano duramente, ore e ore al giorno.
Solo nel 1834 il Parlamento inglese vieta il
lavoro ai bambini sotto i nove anni, ma
senza grossi risultati. Questa è l’atmosfera
del tempo nel paese della rivoluzione industriale.
Nelle workhouses la commistione
tra poveri, delinquenti, vagabondi e
bambini, espone quest’ultimi al rischio di
abusi di ogni tipo, anche sessuali.
Si annuncia l’Ottocento, il secolo nero
delle donne e dei bambini, triturati nelle
miniere, nelle fabbriche, nella workhouse.
“Persino i vecchi e gli ammalati”, scrive
George M. Trevelyan nella sua “Storia
d’Inghilterra”, quando non avevano tetto,
finivano nelle workhouses, “trattati con
la stessa durezza che se vi fossero entrati
per loro colpa”. Di queste istituzioni parla
con toni durissimi Karl Marx; vi fa riferimento
Charles Dickens, nel suo “Oliver
Twist”, storia di un bambino orfano maltrattato
e sfruttato in una di queste strutture;
anche John Ruskin nel suo “La lampada
della memoria”, ci dà notizie non
lusinghiere su questi luoghi. Non pochi
storici parlano di una vera e propria
mentalità schiavista, a danno delle classi
meno abbienti, e dei diseredati, difesa e
sostenuta dal potere e da molti intellettuali.
Del resto tutto va calato nei tempi,
e se l’Ottocento ha visto di tutto, in nome
del progresso e dell’arricchimento, il Novecento
vedrà altri luoghi di correzione
“attraverso il lavoro”, ben peggiori: i lager,
i gulag, i laogai.
Dall’Inghilterra anglicana e secolarizzata,
si diceva, le workhouse si diffondono
anche altrove. Soprattutto nei paesi protestanti
e nordici: Germania, Svizzera, Scandinavia.
In Olanda nel 1596 viene inaugurata
ad Amsterdam la Rasphuis, casa di
lavoro per la dilagante corruzione giovanile.
Qui mendicanti, giovani malfattori,
ladri e vagabondi vengono sottomessi al
lavoro forzato: in condizioni dure, certamente,
ma con la possibilità di sopravvivere,
e come pena intermedia tra la semplice
multa o la pena di morte. La rigidità
del calvinismo, e della mentalità borghese
olandese, non permette certo uno
sguardo molto attento e positivo, sui poveri
e gli emarginati.
Diversa è la condizione in Italia, dove
la mentalità cattolica fa sì che i luoghi di
rieducazione siano meno improntati al lavoro
forzato, alla produttività, e di più alla
rieducazione vera e propria. Sorgono
dovunque ordini religiosi dediti alla creazione
di scuole e ospedali. Non sono neppure
paragonabili le workhouses anglosassoni
o olandesi, alle istituzioni italiane,
di solito proprio perché dietro queste
ultime vi è, prima del profitto o della necessità
di tutelare l’ordine sociale, la carità
cristiana, almeno tentativamente. Le
vicende di don Pavoni, di don Bosco, di
santa Maddalena di Canossa, della Contessa
di Barolo, di santa Tersa Verzeri, tutti
fondatori di scuole e di luoghi per l’assistenza
di poveri, orfani, ragazze “pericolanti”,
ci dicono proprio che di fronte alla
emergenza povertà e delinquenza, propria
dell’Ottocento, il cattolicesimo rende
più miti le pene e non vede nel lavoro
coatto il principale strumento di redenzione
per i corrigendi, né, nella loro produttività,
il rimedio alla loro inutilità. Il
desiderio di cercare il loro ravvedimento
è superiore alla volontà di renderli produttivi.
Lo si sa, e spesso gli accusatori del
cattolicesimo elogiano il rigido calvinismo
nordico, deprecando l’improduttivo
“assistenzialismo cattolico”. Del resto non
sarà l’inglese, ateo, darwiniano, vittoriano,
Francis Galton, il cugino di Darwin, a
proporre la sterilizzazione dei poveri, perché
non vi siano più poveri, e quella dei
delinquenti, degli alcolizzati, dei miseri,
perché non vi siano più delinquenti?
Avesse diretto una workhouse non sarebbe
stato molto tenero.
Ebbene, se torniamo all’ Irlanda cattolica,
le case di correzione ottocentesche vi
nascono sul modello inglese e scozzese.
Non dimentichiamo che l’Irlanda giace
sotto la Corona inglese; che vive un periodo
drammatico, di povertà spaventosa, di
carestia e quindi, anche, di forte delinquenza
e devianza, che durerà a lungo. “I
quartieri poveri di Dublino – scrive Engels
– sono dal canto loro quanto di più orrendo
e ripugnante possa vedersi al mondo”.
Povertà, prostituzione, sfruttamento
minorile, sono normali, qui come in Inghilterra,
o ancora di più. E’ la povertà totale,
in Irlanda, a essere endemica.
E’ in questo contesto che occorre collocare
i riformatori, le Industrial School e
le Case di Maddalena irlandesi: in una società
pericolosa, difficile, dura. In queste
case, di solito dello stato, lavora personale
religioso, cattolico o protestante: quello
giudicato più adatto, anzitutto dal popolo
e dallo stato stesso, a fare il possibile
per rendere le case non vere e proprie
prigioni, ma qualcosa di diverso. Ma proprio
la natura di questi luoghi e quella degli
ospiti, ci può far capire quanto possa
essere stato difficile viverci, non solo per
i reclusi, ma anche per le suore e i religiosi,
chiamati a fare i secondini. Ve ne furono
di indegni? Di impreparati? Ve ne furono
di quelli/e che abusarono, che vennero
meno alla carità cristiana, che si
macchiarono di colpe orrende? Senza
dubbio, purtroppo. Come in tutte le prigioni,
come in tutti gli educandati laici,
statali, come in tutti i riformatori del mondo
e di ogni tempo. Anzi, credo di meno.
Il rapporto Ryan del 2009, che condensa
il lavoro della Child Abuse Commission
istituita nel 2000 dall’allora premier
irlandese Bertie Ahern, molto duro nei
confronti della chiesa, non dimentica di
accennare, sebbene brevemente, anche
alla “filantropia religiosa”, alle opere nate
da “volontary contributions and, often,
volontary labour”. Lo stesso rapporto denuncia,
su 25 mila allievi di collegi, riformatori
e orfanatrofi nel periodo che esamina,
“253 accuse di abusi sessuali da
parte di ragazzi e 128 da parte di ragazze,
non tutte attribuite a sacerdoti, religiosi o
religiose, di diversa natura e gravità, raramente
riferite a bambini prepuberi”
(Massimo Introvigne).
Gli abusi sessuali, denuncia il rapporto,
erano endemici “nelle istituzioni per ragazzi”,
sebbene sia impossibile determinare
l’estensione del fenomeno e distinguere
tra “toccamenti” e violenze: si trattò
cioè di rapporti omosessuali, tra impiegati,
inservienti, talora laici talora sacerdoti,
e ragazzi. Violenze orribili, dunque, su
persone indifese.
Nelle scuole per donne, invece, gli abusi
erano rari e per lo più a opera di “impiegati
o visitatori o quando le ragazze
erano in posti esterni” agli istituti. Aggiunge
il rapporto che l’abuso sessuale
sulle ragazze da parte di laici fu generalmente
preso sul serio dalle suore e il personale
laico fu dimissionato, quando venne
scoperto colpevole. Non altrettanta severità
fu usata verso i religiosi colpevoli.
Inoltre “le ragazze che subirono abuso riportarono
che ciò accadeva soprattutto
quando venivano mandate da famiglie
ospiti per il weekend, per lavoro o per ferie”
(rapporto Ryan, “Conclusions”, 6.18,
6.19, 6.28). E sebbene aggiunga che spesso
le suore non credevano alle storie raccontate
dalle ragazze, si deduce quello che
doveva essere intuibile: che nell’Irlanda
ridotta alla fame e abbrutita dalla miseria
di allora, le violenze fisiche sulle donne
erano più facili fuori, che dentro le strutture
protette gestite dalle suore.
Quello su cui si sofferma di più il rapporto
Ryan, in verità, è il ricorso a punizioni
corporali, a volte dure e violente. Valutiamo
l’accusa, non per sminuirla, ma
per comprenderla: che ex internati in case-
carceri denuncino di non essersi trovati
bene, lo possiamo immaginare. Una
donna italiana, allevata in un educandato
statale italiano, recentemente affermava
di aver vissuto “come in prigione”, e di
aver visto brutture e drammi terribili, come
il suicidio di un’amica, che “aveva
molti problemi in famiglia e non riusciva
a parlarne” (La voce della Campania, ottobre
2002).
Forse, di fronte a tali denunce dovremmo
anzitutto chiederci: quanto esse sono
“inevitabili”? Inoltre: sono tutte “vere”?
Quanto considerano che la durezza del
luogo in cui si trovavano non doveva essere
poi tanto peggiore, anzi!, da quello che
avrebbero vissuto fuori, sulla strada, tra
prostituzione, miseria e criminalità?
Quanto le accuse tengono conto della difficoltà
del compito affidato agli educatori
stessi, costretti a fare in qualche modo i
secondini per tutta la vita? Tanto più se,
come è successo in Irlanda, dietro la denuncia
di abusi e violenze subite, vi era la
possibilità offerta dal governo nel 2002 di
ottenere dei risarcimenti in denaro. Tanto
più se chiedere questi risarcimenti poteva
giovare a chi non viveva certamente
condizioni agiate.
Ricordava alcuni anni fa Andrea Galli:
“Lo stato (irlandese), che deve ancora finire
di pagare tutti, si calcola che alla fine
avrà di gran lunga superato il miliardo di
euro negli esborsi. Immancabili gli ‘inciuci’
del sistema. Pochi giorni fa è nata una
polemica quando si è saputo che il Redress
Board ha versato 83,5 milioni di euro
agli studi legali che avevano assistito i
denuncianti, alcuni dei quali messisi dal
2002 in cerca di ex alunni delle Industrial
Schools finiti anche in Nuova Zelanda, Canada
o Stati Uniti, per far conoscere loro
l’interessante proposta statale” (Avvenire,
12/8/2007). In secondo luogo, pur riconoscendo
e stigmatizzando l’esistenza di abusi
e violenze, odiosi e deprecabili, si può
fingere che la cosa riguardi solo i luoghi
gestiti da religiosi cattolici, come si sta facendo?
E gli stessi istituti retti da protestanti?
E la sorveglianza dello stato? Cosa
avrebbe garantito, lo stato irlandese di allora,
per orfani, diseredati, prostitute, minori
condannati, senza l’aiuto di volontari
religiosi? Si può, ancora, fingere che tutte
le suore e tutti i religiosi siano stati approfittatori,
sadici e delinquenti, come avviene
per esempio nel film “Magdalene”?
Quanto alle punizioni corporali, anche
qui sarebbe opportuno distinguere, cercare
di capire. Immaginare ad esempio quale
logorio rappresenti fare ogni giorno il
guardiano, il secondino, magari con tutto
l’amore possibile, ma anche con tutta la
miseria che ci portiamo addosso. Non sarebbe
difficile capirlo, se solo si volesse.
Se non vi fosse nella nostra cultura quell’odioso
pregiudizio illuminista che ci porta
a guardare sempre tutto con aria di sopracciò,
e di superiorità.
Ricordo quando insegnavo in una scuola
professionale e avevamo di questi ragazzi,
figli della prostituzione, talora senza
genitori o con altri drammi alle spalle:
vivevano in case laiche, gestite da laici,
con soldi e impiegati statali. Un giorno
una di queste ragazze estrasse una lametta
e tagliò tutto il braccio di una professoressa.
Non era una ragazza facile: chi la
accudiva tutti i giorni, talora avrà perso la
pazienza, ne sono certo. Talora avrà urlato,
o alzato le mani. Senza essere un mostro.
Non era un mostro neppure Vincenzo
Muccioli, che ha dato la sua vita per
salvare migliaia di drogati dal degrado
più nero. Eppure quanti hanno voluto dipingere
San Patrignano, per motivi ideologici,
come un lager, come una prigione,
perché, in una simile realtà, successero
violenze e soprusi.
Ma, soprattutto, inquadriamo questi
fatti, l’uso cioè di pene dure, corporali, di
punizioni severe, nel loro contesto storico.
Lo stesso Peter Mullan, regista del
film “Magdalene”, ha esplicitamente affermato
che i metodi utilizzati in Irlanda
erano gli stessi della Gran Bretagna. Non
solo nelle workhouses, ma anche nei col-
ANNO XV NUMERO 113 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 14 MAGGIO 2010
legi “bene” delle élite inglesi. Non era
così anche da noi, sino a 40-50 anni fa? Le
pene corporali, le punizioni severe, le
bacchettate sulle mani, erano considerate
normali non dico nei riformatori, ma
nelle scuole di ogni ordine. E se allarghiamo
lo sguardo possiamo pensare a
quello che succedeva nei nostri manicomi
statali, non al Cottolengo gestito dalle
suore, prima che la legge Basaglia privatizzasse
i drammi: violenze, botte, abusi,
reclusioni. Anche qui, però: non di tutti,
anzi, forse di una minoranza. Perché dimenticare,
come si fa di solito, quanti servirono
con amore i malati di mente, e lo
fecero nonostante la durezza del loro impegno
quotidiano?
Possiamo, ancora, pensare ai lager per
bambini orfani dell’est europeo, gestiti
dallo stato laico e anche ateo: imparagonabili,
per brutalità, con qualsiasi altra
struttura per bambini della storia. Oppure,
per fare un altro esempio, ai “figli dello
stato”, come li chiama Michael D’Antonio
nel suo “La rivolta dei figli dello stato”
(Fandango), in cui si racconta come in
un centinaio di istituti americani nel Novecento
(sino al 1974) migliaia e migliaia
di bambini (150 mila circa), spesso normali,
abbiano subito violenze, abusi sessuali,
“lavori forzati”, elettrochoc, sterilizzazioni
chirurgiche, sperimentazione di farmaci,
promosse dall’ateissimo movimento
eugenetico e dallo scientismo galtoniano
che consideravano i piccoli alla stregua di
oggetti di ricerca.
Possiamo rammentare, ancora, un caso
attuale, di cui chissà perché non si parla:
le laicissime e “liberissime” scuole
Odenwald, il liceo delle élite tedesche
sessantottine, in cui, come ha dichiarato
l’attuale preside, si sono consumati, in anni
recentissimi, “violenze dei professori
sugli allievi e degli allievi più grandi sui
più piccoli. Stupri di gruppo consumati
con la complicità dei supervisori. Maestri
che provvedono a distribuire alcol e droga.
Studenti costretti a prostituirsi nel fine
settimana per soddisfare qualche visitatore
amico degli insegnanti…” (Tempi, 5
maggio 2010).
Quando si insiste sull’Irlanda cattolica,
sulle sue suore e i suoi sacerdoti, per
screditarne in toto la storia, dunque, non
è la sacrosanta condanna dei colpevoli,
che disturba. Si dicesse che preti e suore
che hanno abusato meritano pene terribili,
non ci sarebbe certo da obiettare. Lo
ha detto chiaramente Benedetto XVI, collegando
queste miserie e atrocità ad una
innegabile crisi della chiesa. Quello che
disturba è l’ipocrisia, il tentativo di generalizzare,
il voler fingere che esista un’umanità
senza peccato che può additare
come reproba un’altra parte dell’umanità,
colpevole, per colpa originaria ed
indelebile, di seguire Cristo, talora con
grandezza, talora tradendone e smarrendone
l’insegnamento.
Pensiamo al film di Mullan. Perché lo
scozzese e marxista Mullan ha fatto un
film sulle Magdalene irlandesi e cattoliche
e non, per esempio, su una workhouse
scozzese e protestante? O su un orfanotrofio
dell’est di oggi? Perché lo ha fatto
così parziale, manicheo, di parte? Basta
leggere alcune sue dichiarazioni per capirlo,
per comprendere che all’origine di
quello che vuole essere un documentario
storico oggettivo, vi è invece un fortissimo
pregiudizio di fondo: la “chiesa… non differisce
troppo dai talebani, istiga alla crudeltà
anziché alla compassione, trascinando
la società in una spirale di follia
collettiva” (Corriere della Sera 31/8/2002)!
Mullan, il suo film, i suoi numerosi e ardenti
discepoli, in verità servono a nutrire
odi e pregiudizi, più duri da spezzare
delle pietre. Ad alimentare la falsificazione
e l’inganno.
Penso al libro di Kathy O’Brien che narra
di terribili violenze che lei avrebbe subito
nelle Magdalen Laundries: un best
seller da 350 mila mila copie, spacciato come
vero ma smentito prima dalle suore
(“La O’Brien non è mai stata da noi”), poi,
con sdegno, dalla stessa famiglia dell’autrice,
ed infine anche da un giornalista,
Hermann Kelly del Mail on Sunday, che
ha dedicato un intero libro, “La vera storia
di Kathy”, per smontare l’operazione
mediatica ed economica della scrittrice.
Penso a sacerdoti innocenti, come padre
Kinsella o padre Brendan Lawless, vittima
di una donna che era pronta ad accusarlo
pubblicamente di violenza, se egli non le
avesse dato del denaro (vedi: Indipendent.
ie, 22/7/2007); penso ai numerosi casi
di religiosi ingiustamente accusati al fine
di estorcere denaro, cui Joe Duffy, conduttore
di Rte Radio 1, ha dedicato una trasmissione
di oltre un’ora alcuni anni fa;
penso a Paul Anderson, “condannato a
quattro anni di carcere per avere accusato
Padre X, un sacerdote dell’arcidiocesi
di Dublino rimasto anonimo, di aver abusato
sessualmente di lui 25 anni fa, durante
la preparazione alla prima comunione.
Il giudice Patricia Ryan ha spiegato nella
lettura della sentenza come Anderson, segnato
da tossicodipendenza, tendenze suicide
e debiti personali, avesse costruito
racconti infamanti contro Padre X per un
fine molto semplice: estorcere quattrini alla
chiesa” (Avvenire, 2/8/2007).
Penso ancora, al clamoroso caso di suor
Nora Wall. Quest’ultima è un’anziana ex
suora della congregazione delle Sisters of
Mercy, condannata all’ergastolo per lo stupro
di una minorenne, nel 1997: la sua colpevolezza
era stata affermata in seguito a
ricordi emersi confusamente nel corso di
una psicoterapia della presunta vittima!
Nora è stata poi assolta due anni dopo,
una volta constatata la sua assoluta innocenza.
Per due anni ella fu per gli irlandesi
la suora pedofila, la religiosa che procurava
bambini ai sacerdoti pedofili, il
mostro dell’Irlanda, il “diavolo Wall”,
sbattuta in tv e sui giornali con assidua
frequenza (vedi: Irish Independent, 23 novembre
1999 e l’articolo “Final conversion
from monster to martyr”, di Ann Marie
Hourihan, comparso sul Sunday Tribune,
1° febbraio 2004).
Alla sua assoluzione i giornali parlarono
di “the state’s most extraordinary miscarriages
of justice”. Penso, infine, agli
otto vescovi irlandesi, su ventisei, accusati
ingiustamente di pedofilia, come dimostra
Rory Connor (www.irishsalem.com) e
alla battaglia di Florence Horsman Hogan,
una infermiera protestante, cresciuta
in una specie di Magdalene Laundry
delle Sisters of Mercy, che ha creato una
associazione, “Let our voice emerge”, con
cui vuole ricordare anche il bene fatto da
tante suore a ragazze molto problematiche,
come era lei: anche perché, ha dichiarato,
le vere vittime, le cui terribili ferite
non possono che generare profonda
compassione, non siano confuse con gli
approfittatori, i furbi, con coloro che cercano
solo fama o risarcimenti economici,
o che sono pronti a cavalcare gli scandali
per motivi di pura avversione ideologica.

© Copyright Il Foglio 14 maggio 2010