DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Petra e le altre meraviglie seguendo le tracce di Mosè




Stretta da Israele, Siria, Iraq e Arabia Saudita. Circondata da tensioni e guerre. Tanto arida da rientrare nella classifica delle cinque più assetate dal mondo. Costretta in una lingua di terra con un solo sfogo al mare. Totalmente priva di ricchezze. Se non di quella che non ha mercato: la sua storia.

Verso la Terra Promessa

E di storia la Giordania è ricchissima: centinaia di migliaia di anni, decine di milioni di persone, miliardi di vicende hanno plasmato una terra dai contrasti assoluti donandole una bellezza incomparabile. Quella stessa che ogni anno attira milioni di turisti e di pellegrini che vogliono ripercorrere le orme di Mosé e risalire il monte Nebo per affacciarsi sulla Terra Promessa, visitare il sito del Battesimo di Gesù e bagnarsi nelle acque del Giordano, addentrarsi nel canyon che protegge Petra e le magie forgiate nella sua pietra rossa dai Nabatei, affondare nel deserto del Wadi Rum di Lawrence d’Arabia oppure stare a galla nelle acque dense del mare più depresso della Terra: il Mar Morto. Storia, fede, ma anche arte e natura: un condensato da decifrare e vivere con la Bibbia in mano, «la miglior guida della Giordania» assicurano gli accompagnatori.

È la strada dei Re a segnare le tappe di questa porzione di Terrasanta. Quella che da Amman, una capitale caotica e moderna che può comunque fungere da ottimo punto di partenza, porta fino a poco oltre Petra. Lastricata e conclusa nel 114 per volere dell’imperatore Traiano questa antica direttrice di mercanti e guerriglieri permette di toccare i siti più importanti. A partire da Betania oltre il Giordano. È qui, tra Tell al Kharrar e la chiesa di Govanni Battista che fu battezzato Gesù, ed è sempre qui, nelle vicinanze di un fiumiciattolo che scorre placido e limaccioso separando Giordania e Israele che Elia è salito al cielo sul suo carro di fuoco. È qui che gli studiosi ritengono fosse il Giardino dell’Eden ed è proprio qui che, dopo la visita di Papa Giovanni Paolo II nel 2000 è in costruzione una chiesa cattolica.

La mappa che Mosè non aveva

Fede, storia e religioni offrono al turista e al pellegrino infinite suggestioni a poca distanza da Betania oltre il Giordano. Basta dirigersi verso Madaba e il Monte Nebo. La «capitale del Mosaico» offre uno dei più alti esempi dell’arte cristiana: la mappa-mosaico di Gerusalemme e della Terrasanta che risale al VI secolo ed è conservata in splendide condizioni nella chiesa ortodossa di San Giorgio. Dal sagrato di questo tempio semplice parte l’ascesa al monte Nebo. Il pullman arranca, fatica molto meno di Mosè che qui in cima vide la Terra Promessa. In giornate limpide assicurano che lo sguardo arrivi fino a Gerusalemme, al Mar Morto a Gerico, addirittura al Mediterraneo. Luoghi che Mosè non vide perché sul monte Nebo Morì e fu sepolto.

Seguendo verso sud la vallata del Giordano il viaggio tocca il punto più basso della Terra: il Mar Morto. Diviso tra Giordania e Israele questo lago d’acqua salata attira per le sue virtù curative ed offre scorci lunari. Mentre persone leggono un libro a pelo d’acqua, sorrette da una salinità che rende impossibile l’immersione, sullo sfondo le rocce di Israele completano la cartolina e ricordano che quella che pare poco più di un’oasi nel deserto è in realtà un confine sul quale si è scritta, non solo la vicenda di Lot, trasformata per disobbedienza divina in una statua di sale, ma anche la storia dell’uomo e delle sue fedi.

Nella terra dei Nabatei

Una volta riconquistata l’autostrada del Deserto, essere stati riportati alla realtà da qualche allevamento di dromedari allo stato brado, e scelta di nuovo la rotta verso sud la meta è chiara: Petra, la settima meraviglia. Immagini e parole sono caduche rispetto all’eterna magia scolpita dall’uomo e dalla natura nel cuore di questo deserto che sembra essersi divertito a confondere tutte le sfumature del rosso. Qui Mosè colpì la terra per far sgorgare l’acqua, riferisce l’Antico Testamento. Qui i Nabatei con l’acqua convissero dal III secolo a.C. al II d.C. riuscendo a piegare la furia degli agenti atmosferici alle loro necessità. Il percorso nell’antica città inizia sotto il sole cocente e tra la polvere fatta turbinare dagli zoccoli di cavalli e dromedario. Non si ha nemmeno il tempo di accorgersi del fastidio che l’opera degli antichi padroni di casa porta la mente altrove. Ci si infila nel canyon as Siq e si cammina. Si ammirano le anse e le striature delle pareti.

Le spaccature della roccia si sovrappongono e giocano a nascondersi l’un l’altra. Le pareti arrivano ad «impallare» il cielo e ad avvicinarsi quasi a non voler lasciar spazio alla curiosità. Che diventa stupore, però, quando l’ultimo anfratto lascia spazio al «Tesoro del Faraone»: il simbolo di Petra. Si tratta di un tempio in stile ellenistico caratterizzato da differenti elementi di quell’era: dai capitelli Corinzi, al bassorilievo della dea Iside, per arrivare alle Vittorie alate delle intercolumni. Alla sommità del tholos inoltre un’urna. Per la credenza qui era custodito il tesoro del faraone. Una ricchezza che non è mai esistita e che anche lo fosse sarebbe nulla in confronto al resto di Petra. A quell’infinita sequenza di tombe, templi e catacombe scavate direttamente nella roccia e colorate dalla natura che accompagnano il visitatore fino all’uscita e lo invogliano a ricominciare tutto il viaggio daccapo.



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