di Maurizio Stefanini
Anche i terremoti sono colpa del riscaldamento globale? La peregrina idea sembra suggerita da un titolo su Repubblica: “Terremoti catastrofici e tsunami. Perché la natura pare impazzita”. In effetti dopo aver segnalato con allarme “la sequenza in crescendo dei terremoti da Haiti (12 gennaio) al Cile (27 febbraio) passando per il Giappone (26 febbraio)”, dopo aver citato statistiche secondo cui “i terremoti oggi sono più letali che in passato”, l’articolo non arriva a affermare una cosa del genere. Dice però “la colpa dell'aumento delle vittime dei sismi non è necessariamente della Terra, che continua a tremare quanto e come ha sempre fatto nella sua storia. Sono l'aumento degli uomini sul pianeta e la loro concentrazione in megalopoli che hanno alzato la posta in gioco. A uccidere infatti non sono mai i terremoti, neanche i più violenti. Sono gli edifici”.
Torniamo allora a tre secoli fa, e a un mondo in cui la gran parte della popolazione viveva ancora in campagna. Il primo novembre 1755 ci fu infatti con epicentro a Lisbona quel famoso grande terremoto che fece tremare tutta l’Europa e il Nord Africa, toccando perfino le Antille e Barbados, e facendo 100.000 morti. Theodor Adorno, ha paragonato l’impatto culturale di quella catastrofe sull’uomo del '700 all’impatto cultuale della Shoà sull’uomo del '900: “E' bastato il terremoto di Lisbona per guarire Voltaire dalla teodicea di Leibniz”. Ancora nel 1747 il grande illuminista aveva scritto quel romanzo “Zadig”, in cui aveva cercato di dimostrare il come ogni apparente male faccia in realtà parte del grande piano provvidenziale di Dio. Ma sotto l’impressione della tragedia copose un “Poema sul Terremoto di Lisbona” grondante pessimismo. “Direte, vedendo questi mucchi di vittime:/ fu questo il prezzo che Dio fece pagar pei lor peccati?/ Quali peccati ? Qual colpa han commesso questi infanti/ schiacciati e insanguinati sul materno seno?/ La Lisbona che fu conobbe maggior vizi/ di Parigi e di Londra, immerse nei piaceri?/ Lisbona è distrutta e a Parigi si balla”. E no!, rispose il proto-ecologista e proto-comunista Jean-Jacques Rousseau nella “Lettera a Voltaire sul disastro di Lisbona”, “restando al tema del disastro di Lisbona, converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto. Ciascuno sarebbe scappato alle prime scosse e si sarebbe ritrovato l’indomani a venti leghe di distanza, felice come se nulla fosse accaduto”.
Ecco qua, esattamente la stessa cosa che dice ora Repubblica. Infatti il marxista-leninista-maoista-rousseauiano Pol Pot quando si trovò di fronte la megalopoli Phnom Penh la smantellò subito con la forza, rimandando gli abitanti nelle campagne a bastonate. Genocida, o anti-sismico in stile Rousseau-Repubblica estremamente conseguente?
Torniamo allora a tre secoli fa, e a un mondo in cui la gran parte della popolazione viveva ancora in campagna. Il primo novembre 1755 ci fu infatti con epicentro a Lisbona quel famoso grande terremoto che fece tremare tutta l’Europa e il Nord Africa, toccando perfino le Antille e Barbados, e facendo 100.000 morti. Theodor Adorno, ha paragonato l’impatto culturale di quella catastrofe sull’uomo del '700 all’impatto cultuale della Shoà sull’uomo del '900: “E' bastato il terremoto di Lisbona per guarire Voltaire dalla teodicea di Leibniz”. Ancora nel 1747 il grande illuminista aveva scritto quel romanzo “Zadig”, in cui aveva cercato di dimostrare il come ogni apparente male faccia in realtà parte del grande piano provvidenziale di Dio. Ma sotto l’impressione della tragedia copose un “Poema sul Terremoto di Lisbona” grondante pessimismo. “Direte, vedendo questi mucchi di vittime:/ fu questo il prezzo che Dio fece pagar pei lor peccati?/ Quali peccati ? Qual colpa han commesso questi infanti/ schiacciati e insanguinati sul materno seno?/ La Lisbona che fu conobbe maggior vizi/ di Parigi e di Londra, immerse nei piaceri?/ Lisbona è distrutta e a Parigi si balla”. E no!, rispose il proto-ecologista e proto-comunista Jean-Jacques Rousseau nella “Lettera a Voltaire sul disastro di Lisbona”, “restando al tema del disastro di Lisbona, converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto. Ciascuno sarebbe scappato alle prime scosse e si sarebbe ritrovato l’indomani a venti leghe di distanza, felice come se nulla fosse accaduto”.
Ecco qua, esattamente la stessa cosa che dice ora Repubblica. Infatti il marxista-leninista-maoista-rousseauiano Pol Pot quando si trovò di fronte la megalopoli Phnom Penh la smantellò subito con la forza, rimandando gli abitanti nelle campagne a bastonate. Genocida, o anti-sismico in stile Rousseau-Repubblica estremamente conseguente?
«Il Foglio» del 7 marzo 2010