DI  A NDREA G ALLI 
 D  el lato esoterico degli avvenimenti  dell’800 italiano,  Massimo  Introvigne, direttore  del Cesnur, si è occupato a lungo nei suoi studi  da sociologo delle religioni.  E, in quanto torinese, con un occhio  speciale sul lato occulto di una  città che ha avuto un ruolo di primo   piano nella lotta contro il papato. 
 Siamo figli di un Risorgimento esoterico? 
 «Bisogna distinguere tra Unità d’Italia  e Risorgimento: il  progetto dell’Unità  non è stato esclusivamente esoterico  o massonico  o laicista, perché c’erano ovviamente anche grandi cattolici – pensiamo  al beato Francesco  Faà di Bruno o a Rosmini – che sposavano questa  causa e la giudicavano  cruciale per lo sviluppo dell’Italia,  in un  mondo in cui andavano affermandosi i grandi Stati nazionali. Il  Risorgimento è stato invece una modalità di realizzare l’Unità segnata   da forze che, approfittando del fatto che si sarebbe costruito uno  Stato nuovo, volevano plasmarlo secondo  i propri ideali massonici o  pre-massonici. Uno Stato simile alla città che avevano già sognato i  Rosacroce  del ’600: totalmente svincolata da una tradizione religiosa  specifica e in particolare, giacché si trattava dell’Italia, dalla  tradizione cattolica.
  Uno Stato frutto di ingegneria sociale,   caratterizzato dal relativismo delle  idee e delle religioni». 
 Garibaldi e Mazzini sono i nomi che vengono subito in mente. 
 «Infatti, quest’ideologia viene perseguita  in modo  particolarmente consequenziale  da chi aveva frequentato la massoneria  internazionale. In un personaggio come Garibaldi è facile trovare  riferimenti a tal proposito, con una buona dose di violenza nei  confronti della tradizione cattolica e con elementi estremi, per esempio  l’idea di sostituire il cattolicesimo con lo spiritismo, che Garibaldi  coltivò  molto seriamente, diventando primo presidente della Società  spiritica  italiana, oltre che gran maestro della massoneria. Lo stesso  vale per Mazzini, che aveva frequentato altri ambienti, magari non  direttamente massonici, ma con forti interessi esoterici.  In lui  troviamo un’utopia più ispirata alla sostituzione del cristianesimo   con spiritualità orientali, con l’idea di reincarnazione, ecc.». 
 Come giudicare l’atteggiamento dei 'cattolici' Savoia? 
 «Il progetto risorgimentale  non è pensato inizialmente  dai  Savoia, ma da altri che poi trovano in casa Savoia uno strumento.  Casa  Savoia è interessante  perché da  quando decide di diventare  una dinastia di respiro  europeo, nel  ’500, si presenta come un impasto  singolare di cattolicesimo  e di esoterismo. I Savoia rinascimentali,  in cui sono presenti  figure  che hanno aspirazioni di santità e favoriscono la Chiesa, sono  gli stessi  che costruiscono un mito per accreditarsi  fra le case  reali europee: quella della loro discendenza dai faraoni  egizi, che  nel clima rinascimentale  di riscoperta di spiritualità pagane e  precristiane funzionava molto bene. Il museo egizio verrà molto dopo,  con Napoleone, però che Bonaparte scelga Torino per creare questa  istituzione non è ca-  suale. Nella corrispondenza di fine ’600 tra il beato Sebastiano Valfré  e Vittorio Amedeo II di Savoia, di cui il Valfré era confessore, si  nota tutta l’ambivalenza del nobile sabaudo.
  Che da una parte  manifesta un anelito  cattolico, dall’altra riempie la corte di maghi e  astrologhi. Un’ambivalenza  che ha quindi radici molto antiche e che  si manifesta clamorosamente  nell’800». 
 Carlo Alberto 're tentenna' anche per quanto riguarda il  rapporto con la Chiesa? 
 «In Carlo Alberto resta viva, direi, una  cattolicità di fondo.  All’inizio sembra assecondare i progetti – pensiamo  all’espulsione dei  gesuiti – di forze che si possono definire protomassoniche,  perché in  realtà la massoneria  nel Regno di Sardegna, vietata  da Vittorio  Emanuele I nel 1814, si ricostituisce con la sua regolarità formale   solo nel 1859, anche se era già esistita nel ’700 e diversi nobili  mantenevano  rapporti con logge francesi e di altre parti d’Europa.  Poi, quando vede che ne vogliono fare uno strumento  di una politica anti-cattolica a senso unico, Carlo Alberto saluta e se  ne va. Ci sono lettere in cui scrive: 'Il mestiere di Re mette in  pericolo la  salvezza della mia anima'». 
 Vittorio Emanuele II appare molto meno ambiguo… 
 «In lui la vocazione esoterica di casa Savoia, di cercare la  propria grandezza  in un disegno alternativo al cristianesimo, in  un’ingegneria sociale  che ha una forte matrice massonica,  prevale.  Ciò non impedisce che nella famiglia il filone cattolico  continui, pensiamo a figure come Maria Cristina o Maria Clotilde. Del  resto, i casi di famiglie reali che annoverano  gran massoni e grandi  cattolici  non sono isolati. Prendiamo per esempio il libro di Jean Van  Win su Leopoldo I del Belgio come 're massone'. Poi si arriva a  Baldovino, di cui sembra si voglia aprire una causa di beatificazione.  Lo stesso discorso  si può fare per la famiglia reale  brasiliana.  Diciamo che Casa Savoia  ha sempre tenuto un piede nella  santità e  uno nella scomunica».
   Il ruolo dominante dei 'piemontesi'  nell’Unità – che tanto è stato  discusso  sotto il profilo economico e politico – che ricadute ha  avuto negli  equilibri massonici del nuovo Stato? 
 «Occorre sempre distinguere fra la massoneria come istituzione  formale  con le sue logge e la mentalità massonica, che è relativista,  laicista, antidogmatica e portatrice in Italia di un’idea di nazione  astratta che cerca fondamenta alternative rispetto  alle radici  cristiane e al rapporto  strettissimo con la Chiesa  cattolica che  invece  ha sempre caratterizzato  il nostro Paese. Se parliamo  di  logge massoniche  in senso stretto, il Piemonte  è alle origini della   ricostituzione della massoneria  che, dopo la caduta  di Napoleone e  la  restaurazione, era stata  vietata in quasi tutti gli  Stati  pre-unitari. Il processo  va dalla creazione della Loggia Ausonia a  Torino nel 1859 alla fondazione  subito dopo, sempre a Torino, del  Grande oriente italiano che ha come primo gran maestro il piemontese   Costantino Nigra, strettissimo  collaboratore di Cavour. Se ampliamo   il discorso alla mentalità massonica, questa è al cuore del  Risorgimento  – distinto, appunto, dall’unità – così come lo interpreta  e lo promuove la cultura piemontese dominante, con effetti che si fanno  sentire ancora oggi».
 
© Copyright Avvenire 23 marzo 2010