DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Ucraina, la caccia alle streghe anticomuniste non è finita La drammatica storia di Anatoliy Slipyi, pronipote del celebre cardinale

di Luca Marcolivio

Nel 2010, a più di vent'anni dalla caduta del Muro di Berlino, in Ucraina tira ancora aria di caccia alle streghe anticomuniste. Ne è la riprova il caso del ventottenne Anatoliy Slipyi, attualmente rifugiato in Italia e colpevole, verosimilmente, solo di essere pronipote di quel cardinal Josef Slipyi (1892-1984, nella foto), prigioniero per diciotto anni nei gulag sovietici. L'intera famiglia Slipyi è rimasta coerente con le idee dell'illustre avo e si è sempre rifiutata di collaborare con la polizia intenta a gettare fango sulla figura del cardinal Slipyi, considerato il più emblematico martire della chiesa ucraina greco-cattolica durante la dittatura sovietica. Oggi il giovane Anatoliy sembra destinato a diventare il capro espiatorio dell'intera vicenda, pagando di persona l'amore per la verità e per la libertà che ha sempre contraddistinto lui ed i suoi familiari.
Avvicinato da un funzionario di polizia ad Anatoliy venne offerto di diventare un informatore del regime. Anatoliy rifiutò in maniera decisa, affermando che non aveva niente contro il regime, ma mai sarebbe potuto diventare un informatore. Il Poliziotto gli promise che l’avrebbe pagata.
Così nel 2002 Anatoliy, non ancora ventenne, venne tratto in arresto dalle forze speciali di polizia ucraine a Ternopil, sua città di residenza. Per due volte nel giro di quattro mesi, Slipyi venne rinchiuso in carcere, picchiato e spinto a confessare reati che non aveva commesso, infine rilasciato con l'imposizione di lasciare al più presto la propria città. Fuggito a Pidvoloshysk, il giovane più volte si è recato clandestinamente nella città natale a trovare i genitori, fino al 2 febbraio 2003, giorno in cui venne sorpreso ed arrestato per la terza volta. Per Anatoliy Slipyi fu l'inizio di un vero e proprio inferno: per sedici mesi venne trasferito in un carcere segreto e sottoposto a torture di una crudeltà inaudita: privato del cibo e del sonno, sottoposto a scosse elettriche, semistrangolato con una cintura, esposto per intere notti a temperature inferiori ai -20°C. Volevano costringerlo a diventare un agente delle forze di sicurezza.
In realtà non sussisteva alcun capo d'accusa nei confronti di Anatoliy che giustificasse il suo mantenimento in carcere. I suoi aguzzini allora costruirono con false testimonianze la fandonia del furto di un'auto commesso il 15 aprile 2002. Il giovane ha un alibi di ferro in quanto quel giorno si trovava già in carcere, e quando fede notare la cosa ai carcerieri venne nuovamente pestato a sangue e mantenuto in cella. In giugno Anatoliy venne condotto in tribunale con l'accusa aggiuntiva di essere stato complice di un ulteriore furto d'auto e successiva estorsione. Il reato imputatogli venne provato essere falso ma rimase in piedi l'accusa precedente. L'innocenza di Slipyi venne alla fine provata ma formalmente egli non venne nè assolto, né scarcerato.
Il giudice impose un ulteriore supplemento di indagini per arrivare ai veri colpevoli e alla sospirata sentenza – di assoluzione o condanna – nei confronti di Anatoliy Slipyi. Quest'ultimo riottenne la libertà soltanto il 2 giugno 2004, quando il processo a carico suo era ancora in corso. Gli venne imposto di non lasciare l'Ucraina fino a sentenza definitiva.
In agosto Slipyi venne convocato dal tribunale precedente, quello che ne aveva ordinato l'arresto nell'aprile 2002. Le autorità gli dissero chiaramente che per riconoscere la sua innocenza avrebbero dovuto aprire un procedimento contro coloro che avevano costruito le false prove e inquisire coloro che lo avevano incarcerato e torturato. Per questo motivo gli proposero di accettare la condanna, in cambio gli avrebbero scontato la pena. Anatoly capì che si trattava di una trappola. Lui non aveva commesso nessun reato, non voleva vendette, ma neanche condanne che lo avrebbero comunque costretto in una condizione di perenne ricatto. Per questo motivo decise di non presentarsi all'udienza dandosi praticamente latitante. Escogitò di fuggire in Italia (dove il prozio cardinale si era rifugiato negli anni '60) e riuscì a farlo nel novembre 2005. Nei mesi successivi, il giovane, pur conoscendo dei connazionali emigrati nel nostro paese, tra cui due sacerdoti, fu costretto a sbarcare il lunario come poteva, senza conoscere inizialmente quasi nessuna parola italiana. Nessuno gli suggerì di richiedere asilo politico.
Il 5 maggio 2006 Slipyi venne fermato dalla polizia italiana nei pressi di Santa Maria Maggiore: gli venne rilasciato il foglio di via con l'ordine di lasciare l'Italia nel giro di cinque giorni. Il ricorso dell'interessato contro tale espulsione venne respinto un mese più tardi.
Il 3 giugno 2008, i carabinieri della Stazione della Storta di Roma, arrestarono Slipyi in forza del decreto di espulsione di due anni prima.
Due giorni dopo, però, lo rimisero in libertà, nonostante la convalida dell'arresto da parte del Tribunale. Il 31 luglio il ricorso di Slipyi venne accettato dal giudice di Pace. Nei mesi successivi Anatoliy ricevette numerose offerte di lavoro e di alloggio, a condizione della revoca del decreto di espulsione e della concessione dell'asilo politico.
Il 13 novembre il Tribunale di Roma condannò Anatoliy Slipyi a otto mesi di reclusione per essersi illegalmente intrattenuto in Italia.
Contro la sentenza – sospesa con la condizionale – il giovane ucraino ricorse in appello. L'anno successivo la situazione si complicò: la compagna di Slipyi, Olga Tokarska, anche lei ucraina, attende un figlio e il 12 luglio 2009 i due sposarono. In ottobre Anatoliy si presentò alla Questura di Roma per richiedere asilo politico: per lui era l'unica speranza per ottenere un lavoro sicuro e mantenere la famiglia. Le cose si risolsero nel peggiore dei modi, con un nuovo arresto e la detenzione di Slipyi per un mese nel carcere di Regina Coeli. Contro di lui sussiste tuttora un mandato di cattura internazionale e la richiesta di estradizione da parte del governo ucraino. Il regime carcerario italiano venne commutato in detenzione con l'obbligo di firma, allorché il legale di Slipyi ha consegnato al Tribunale le memorie difensive del suo assistito, documentanti le torture e le ingiustizie subite in patria.
Del caso di Anatoliy Slipyi si è interessato anche il Senato della Repubblica, attraverso un'interrogazione presentata ai ministri degli Esteri e della Giustizia, Franco Frattini e Angelino Alfano, e firmata dai senatori Stefano De Lillo, Paolo Barelli, Raffaele Calabrò, Riccardo Conti, Ulisse Di Giacomo, Vincenzo Galioto, Piergiorgio Massidda, Paolo Tancredi e Achille Totaro. I parlamentari interroganti hanno chiesto di conoscere “quali iniziative urgenti di competenza i Ministri in indirizzo intendano assumere per impedire che sia dato corso all'estradizione del signor Anatoliy Slipyj” e se gli stessi titolari di dicastero “non prevedano, per l'immediato, di attivarsi presso le competenti autorità centrali ucraine, affinché recedano dalle azioni intraprese”. Tutto ciò prendendo atto che in Ucraina persistono “forti le spinte autoritarie”, nonostante la modernizzazione in corso nel paese e che, in caso di estradizione, Slipyi potrebbe essere “fatto oggetto di persecuzioni dovute a motivi politico/religiosi”.



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