DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Voto dei cattolici e principi “non negoziabili”

ROMA, lunedì, 3 aprile 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

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L’azione dei governi francesi riconosce ormai un’indiscutibile centralità alle politiche familiari. Da almeno dieci anni questo paese sta lottando tenacemente – sia pure in un’ottica ancora molto più statalista e nazionalista che “pro-life and family” – per invertire il pernicioso calo demografico che rischia di abbattere in pochi decenni il futuro dell’Europa. I dati di Eurostat relativi al 2004 sono incoraggianti: con un tasso di fertilità per donna di 1,90 la Francia è oggi il paese più prolifico d’Europa dopo l’Irlanda (1,99). L’Italia, insieme alla Grecia, alla Spagna e alla Polonia, è in fondo alla lista con 1,33 (BBC News, Map: Parenthood policies in Europe, 24 marzo 2006).

Ma nessun paese europeo, nemmeno il più dinamico, riesce a raggiungere il tasso del 2,1 ritenuto necessario al rimpiazzo generazionale. Il che significa che tutta l’Europa, in misura diversa, sta riducendo sensibilmente la sua popolazione, con notevoli rischi per la sua stabilità sociale, economica e psicologica.

Le ragioni generalmente addotte sono note: alta scolarizzazione femminile con innalzamento dell’età del primo figlio, inserimento femminile ancora problematico nel mondo del lavoro, difficoltà finanziarie e servizi insufficienti. Meno frequentemente si fa riferimento allo sfondo su cui si inseriscono tutti questi problemi, cioè alla cultura individualistica – quando non apertamente anti-familiare – e alla scarsa sensibilità pubblica per la tutela della vita umana dal concepimento alla morte naturale.

Un interessante studio recentemente condotto negli Stati Uniti ha rilevato la relazione – che appare costante e infallibile – fra laicismo relativista e bassa natalità, che risulta dal confronto fra gli indici di fertilità di parti del paese aventi prospettive etiche, culturali e religiose alquanto differenti. Lo spiega al giornale “USA today” Phillip Longman, membro del “New America Foundation”, presentando il suo ultimo libro: The Empty Cradle: How Falling Birthrates Threaten World Prosperity and What to Do About It (P. Longman, The liberal baby bust, “USA Today”, 14 marzo 2006).

Longman osserva come la fertilità negli stati definiti più conservatori è nettamente più alta rispetto a quelli più “progressisti”, che ad esempio hanno introdotto varie forme di unioni omosessuali, propugnano l’eutanasia e chiedono la liberalizzazione dell’aborto farmacologico o delle sperimentazioni con gli embrioni umani. “Allo stesso modo, in Europa – afferma – le persone meno inclini ad avere bambini sono quelle che più facilmente abbracciano visioni del mondo progressiste. Per esempio, non hai fiducia nelle forze armate e in altre istituzioni, e sei favorevole a manifestare contro di loro? Allora, secondo i dati raccolti dai demografi Ron Lesthaeghe e Johan Surkyn, diminuiscono le tue probabilità di essere sposato (o di sposarti in futuro) e di avere bambini.

“Trovi accettabili le droghe leggere, l’omosessualità e l’eutanasia? Frequenti le chiese di rado, o mai? È assai più probabile che vivano soli, o all’interno di convivenze o di unioni senza figli, gli europei che rispondono a queste domande affermativamente rispetto a coloro che rispondono negativamente. Questa correlazione fra secolarismo, individualismo e bassa fertilità è in grado di produrre profondi cambiamenti nella società moderna”.

Quasi tutti si sono accorti, negli ultimi anni, che – lungi dal costituire una forma di liberazione dal giogo della maternità – la bassa natalità è un problema sociale, con pesanti ripercussioni anche sulla vita personale degli individui che, giunti all’età matura, spesso mancano di slancio progettuale, di speranza, di autentico ottimismo. Un mondo con pochi giovani, come una famiglia volutamente senza figli, diventano sterili anche nell’animo.

In Italia, in clima di elezioni politiche imminenti, è naturale che questi temi vengano alla ribalta, costituendo il terreno di valutazioni e giudizi sui programmi elettorali. Una prima elementare valutazione è quella relativa appunto al “progresso”. Se intendiamo per progresso un processo migliorativo del corpo sociale, che lo renda più forte, più stabile, più giusto, allora dobbiamo ammettere che i temi “classici” dei “progressisti” (libertà di aborto, norme permissive in tema di fecondazione artificiale e di eutanasia, programmi di educazione sessuale concentrati sulla contraccezione piuttosto che sulla castità prematrimoniale, spazio alle coppie di fatto e alle unioni fra omosessuali …) non realizzano questo scopo, e scoraggiano piuttosto una cultura della famiglia basata sul matrimonio eterossessuale e monogamico, caratterizzato da stabilità di amore, fedeltà e apertura alla vita.

In controtendenza rispetto alle rivendicazione dei progressisti “classici”, le nuove generazioni e le nuove sfide sociali portano ad una riscoperta dei valori naturali e tradizionali, proprio quelli che tanta parte del mondo politico e culturale, soprattutto sotto la spinta dei totalitarismi del ventesimo secolo, ha cercato di eludere. Il popolo italiano continua a manifestare, pur nella confusione di un mondo sempre più afflitto dal relativismo e dal nichilismo, un sostanziale desiderio di questi valori. Tale desiderio verrebbe aiutato a trasformarsi maggiormente in una cultura diffusa da politiche fiscali e culturali che rendano possibile la formazione di famiglie stabili e numerose, senza richiedere in partenza un eroismo delle virtù o una disponibilità economica fuori dal comune.

Si pensi, ad esempio, al principio del “quoziente familiare” che aiuterebbe ad abbattere il reddito imponibile in funzione del numero dei componenti della famiglia. Non sembrino questioni che esulano da prospettive etiche e culturali: le condizioni materiali sono decisive per l’aumento delle famiglie stabili, serene e aperte alla vita. Significativamente, l’ex ministro Vincenzo Visco (DS) si oppone a tale principio definendolo “un disincentivo al lavoro femminile”. Evidentemente, l’illustre esponente politico ritiene che le donne operaie abbiano “scelto” la catena di montaggio piuttosto che i figli, e comunque ritiene che lo stato debba condizionare le scelte di vita delle persone. Quale considerazione dell’istituto familiare e della maternità soggiaccia a tali dichiarazioni è fin troppo chiaro.

Ecco perché i recenti interventi da parte di esponenti della Chiesa Cattolica e dello stesso Pontefice non costituiscono “forme di intolleranza o di interferenza”, ma “cercano unicamente di illuminare le coscienze, affinché le persone possano agire liberamente e con responsabilità, in base alle autentiche esigenze della giustizia, anche se questo può entrare in conflitto con situazioni di potere e di interesse personale” (Benedetto XVI, Discorso ai parlamentari del Partito Popolare Europeo, Città del Vaticano, 30 marzo 2006).

In altre parole, nell’esporre i “contenuti irrinunciabili” di ogni scelta politica, la Chiesa non presenta verità di fede, ma principi “insiti nella natura umana, e pertanto […] comuni a tutta l’umanità” (ibidem). Resta inteso che tali principi, se valgono per tutti gli uomini illuminati dalla retta ragione, a maggior ragione dovranno valere per tutti quei cattolici impegnati in politica che hanno il compito di promuovere nelle istituzioni un mondo veramente umano, e per tutti i cittadini cattolici che con il loro voto possono favorire o ostacolare una sana realizzazione di tale obiettivo.

Nell’intervista (http://www.db.avvenire.it/pls/avvenire/ne_cn_avvenire.c_leggi_articolo?id=633652&id_pubblicazione=12) apparsa il 30 marzo su “Avvenire”, l’Arcivescovo Angelo Amato, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha detto chiaramente che “tutti ovviamente hanno diritto di proporre le loro opinioni […], ma anche la Chiesa ha diritto di esprimere il suo giudizio su ciò che è conforme o meno alla legge morale naturale e ai valori fondamentali che devono guidare una società fedele alla verità della persona umana e al bene comune”.

Mons. Amato ha richiamato il documento che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha scritto all’inizio del 2003, dal titolo “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, documento ampiamente richiamato dal Cardinal Camillo Ruini nel discorso di apertura del Consiglio permanente della CEI il 20 marzo scorso. Uno degli aspetti fondamentali del testo era il significato del ruolo di mediazione insito in vari aspetti dell’attività politica: “la mediazione come espressione della prudenza, dell’equilibrio e della saggezza – precisa Mons. Amato – non può trasformarsi in negoziazione o compromesso, quando siano in gioco le esigenze fondamentali e irrinunciabili dell’ordine morale naturale”.

E ancora : “Quando la Chiesa afferma che non opta a favore di nessun partito e di nessuno schieramento politico non vuol dire che rinuncia a dare un giudizio etico sui principi e sui programmi dei diversi schieramenti o partiti, in riferimento ai valori e alle istanze etiche fondamentali richiamate: vita, famiglia, libertà di educazione, libertà religiosa, giustizia sociale... Come ha precisato lo stesso cardinale Ruini, non è possibile non vedere con preoccupazione che singole Regioni in Italia hanno dato via libera a normative che tendono a equiparare le unioni di fatto, eterosessuali e omossessuali, alle unioni familiari fondate sul matrimonio, e che vi sono forze politiche di un determinato schieramento che intendono portare nel Parlamento nazionale tali proposte. Spesso il cattolico deve scegliere nel voto il male minore, purché questo ‘male minore’ non favorisca forze politiche che non riconoscono o si oppongono ai principi e alle norme della legge morale naturale”.

Il problema che si pone al cattolico che voglia votare con retta coscienza non è dunque soltanto quello di individuare i candidati “più cattolici” – considerando anche il sistema elettorale di volta in volta utilizzato e la possibilità che questo offre in tal senso – ma anche e soprattutto di capire quale schieramento veda prevalere – e spesso dichiari esplicitamente – posizioni in diretto contrasto con il bene comune e quindi con quei principi sui quali un cattolico semplicemente non può transigere.

Il Santo Padre, nel discorso citato, ha succintamente indicato tre principi esplicitamente definiti come “non negoziabili”: “protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale; […] riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, e la sua difesa di fronte ai tentativi di far sì che sia giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione […]; la protezione del diritto dei genitori ad educare i loro figli”.

Al fine di difendere tali principi, non basta sostenere candidati o partiti che promettano di impegnarsi per essi, ma si dovrà tenere conto delle realistiche possibilità che all’interno di determinati schieramenti una tale difesa possa realizzarsi. A maggior ragione se intenti inaccettabili siano contenuti nei programmi proposti agli elettori da una determinata coalizione. Non tenere conto di ciò significherebbe di fatto concorrere all’affermazione di forze nemiche della legge naturale, e quindi del bene comune, così come della verità del Vangelo. Non a caso, la citata Nota dottrinale osserva: “ In questo contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti”.

E ancora.”È avvenuto in recenti circostanze che anche all’interno di alcune associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della Chiesa. Tali scelte e condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari della coscienza cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza ad associazioni o organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente, è da rilevare che alcune Riviste e Periodici cattolici in certi Paesi hanno orientato i lettori in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente, equivocando sul senso dell’autonomia dei cattolici in politica e senza tenere in considerazione i principi a cui si è fatto riferimento”.

Non si può fare a meno di pensare a quei cattolici “adulti” che con il loro voto al referendum sulla legge 40 hanno rischiato di far trionfare il coacervo di forze ostili alla vita umana nascente.

È evidente che se i leader di una coalizione sottoscrivono e propongono un programma che preveda esplicitamente, ad esempio, l’ulteriore indebolimento dell’istituto familiare con l’istituzionalizzazione forme di convivenza contrarie al bene comune e alla legge morale – definendo, oltretutto, “non dirimente” il sesso dei loro componenti – il cattolico non può illudersi di evitare tali disastri votando il programma che li pianifica. Quanto ai rituali “severissimi paletti” vagheggiati ogni volta che si tenti di introdurre un nuovo abuso, l’esperienza è lì a dimostrare che essi valgono meno della carta sulla quale sono scritti.

La coscienza che all’inizio del XXI secolo è tragicamente difficile individuare forze e candidati pienamente e coerentemente cattolici con realistiche possibilità di vittoria e – soprattutto – di realizzazione di un programma in linea con la Dottrina Sociale della Chiesa, non può rendere meno importante chiedersi da chi, concretamente, siano formate le varie coalizioni. Se membri qualificanti e numerosi di un raggruppamento di partiti e movimenti sfoggiano ancora simboli e spesso principi e metodi del totalitarismo ateo, se la maggior parte dei partiti componenti la coalizione persegue da sempre e con crescente impegno – sia pure dissimulato all’occasione – la realizzazione di una “democrazia senza valori” o addirittura senza nessun valore fondante, se la cartina di tornasole dei principi non negoziabili li trova sempre in stragrande maggioranza dalla parte nemica della vita innocente, del matrimonio e della libertà di educazione, appare difficile che un voto in loro favore possa giustificarsi.

Al contrario, scelte diverse possono offrire qualche possibilità al poco che ancora sopravvive nelle leggi e nelle istituzioni di non sgretolarsi ulteriormente, e anzi di ricominciare – sia pure con il realismo e la prudenza necessari – a guadagnare terreno.