di Annalia Guglielmi
Su quell’aereo non c’erano politici di professione, ma gente che aveva lottato e pagato un alto prezzo per la libertà del proprio paese. Ecco chi erano «gli amici morti a Katyn» per l’italiana di Solidarnosc
Annalia Guglielmi ha vissuto in Polonia per quasi vent’anni, a partire dal 1973. Nel 2002 è stata insignita dal governo polacco della Croce di Cavaliere al merito per il suo sostegno alla diffusione della cultura indipendente polacca all’estero. Nel 2005 la Commissione nazionale di Solidarnosc le ha conferito la prestigiosa medaglia “Grazie” assegnata agli stranieri che hanno sostenuto il sindacato.
«Sbrighiamoci ad amare gli altri, se ne vanno così in fretta». Queste le parole di un poeta polacco che mi sono tornate alla mente assistendo alla Messa celebrata a Katyn e trasmessa dalla televisione polacca: davanti alla folla convenuta per ricordare le vittime del massacro sovietico di settant’anni fa c’erano le quasi cento sedie riservate alla delegazione ufficiale, vuote. Sopra ogni sedia una piccola bandiera polacca.
È difficile raccogliere i pensieri. La tragedia che ha colpito il popolo e la nazione polacchi è troppo grande, misteriosa, incomprensibile, tanto che ancora si stenta a crederci. La tragedia di ieri si intreccia in modo misterioso con la tragedia di oggi. Settant’anni fa a Katyn – un nome che ha per la Polonia il sapore della maledizione – il potere sovietico decapitò l’intellighenzia militare e culturale polacca. Oggi la Polonia piange il fior fiore della sua classe politica, culturale e militare. Tutti loro, per tutta la vita, avevano avuto il coraggio di opporsi al potere. Su quell’aereo c’erano i familiari delle vittime del 1940, che avevano combattuto incessantemente per vedere riconosciuto l’eccidio sovietico e per ottenere che ai propri cari fosse assegnato il posto che spettava loro nella storia europea, e quel giorno sembrava essere arrivato. Erano saliti su quell’aereo con politici, militari, giornalisti, sacerdoti e vescovi per potersi finalmente recare a Katyn per la prima volta a testa alta, apertamente, ufficialmente, non di nascosto e in silenzio, quasi con vergogna, come avevano fatto fino ad allora. Era un momento atteso da tutta la vita.
Su quell’aereo c’erano quelli che avevano lottato, spesso pagando un prezzo molto alto, per la libertà del loro paese. Non erano politicanti di professione, spesso i loro nomi negli anni Settanta e Ottanta erano pronunciati sottovoce, i loro scritti giravano clandestinamente di mano in mano, ma erano delle autorità per chi stava combattendo per una Polonia diversa. Impossibile ricordare la storia di tutti. Permettetemi di ricordarne alcuni.
Lech Kaczynski, il presidente, spesso controverso e criticato, che fu uno dei fondatori di Solidarnosc e per questa ragione nel 1981 fu internato per quasi un anno, per poi restare costantemente al fianco di Lech Walesa. Fu uno dei protagonisti della Tavola Rotonda. Anna Walentynowicz, l’operaia il cui licenziamento provocò gli scioperi di Danzica del 1980, dalla cui vicenda sarebbe poi nata Solidarnosc, il suo è un nome simbolo della lotta degli operai polacchi per la dignità del lavoro.
E permettetemi di ricordare i tre amici che ho perso: Maciej Plazynski, Arkadiusz Rybicki, Janusz Krupski. Maciej e Arkadiusz, Maciek e Arek per gli amici, erano di Danzica, legati al movimento cattolico Mloda Polska (Giovane Polonia), e Janusz Krupski era di Lublino. Negli anni Settanta e Ottanta un filo segreto ma tenace legava Danzica a Lublino, un filo che aveva il volto del domenicano padre Ludwik Wisniewski, grande esempio di pastore universitario, che con il suo enorme carisma seppe educare buona parte della futura classe dirigente polacca. Maciek dopo il 1989 è stato il primo voivoda non comunista di Danzica, poi è stato deputato e presidente del Parlamento, infine è stato eletto senatore. Amato e stimato per la sua capacità di dialogo, ha dato un grande contributo alla ricostruzione economica ed imprenditoriale del paese. Arek, anche lui legato a padre Wisniewski e tra i fondatori della Giovane Polonia, è stato uno degli uomini più vicini a Walesa soprattutto dopo il 1981. Durante la notte dell’elezione a presidente di Lech Walesa, nel 1990, fu lui a farmi entrare, insieme al direttore di Tempi, nel cuore del Comitato elettorale. Era tuttora responsabile del Centro europeo di Solidarnosc. Avevamo in programma di vederci presto per parlare della prossima edizione del Meeting di Rimini e dei festeggiamenti per i trent’anni di Solidarnosc.
Janusz, amico fraterno durante gli anni del mio soggiorno a Lublino, dove aveva fondato un movimento e una rivista clandestina (Spotkania – Rivista indipendente dei giovani cattolici) sulla quale pubblicò anche alcuni documenti del magistero di Giovanni Paolo II che non potevano comparire sulla stampa ufficiale, in alcuni casi traducendoli nelle lingue degli altri paesi del blocco sovietico e trasportandoli di contrabbando in Cecoslovacchia, Ucraina, Lituania. Dopo l’introduzione dello Stato di guerra nel 1981 Janusz riuscì a nascondersi per quasi un anno. Fu preso a metà del 1982. Il 21 gennaio 1983 fu rapito a Varsavia dai servizi segreti, portato in un bosco e cosparso di acido (fenolo). Rimase molto gravemente ustionato. Certo dell’importanza di un lavoro culturale sulla memoria, dopo il 1989 aveva continuato a fare l’editore, per poi essere nominato ministro senza portafoglio per i veterani di guerra e le persone che avevano subìto persecuzioni durante il periodo comunista. Dovevamo incontrarci a Bologna il 25 aprile in occasione delle cerimonie al cimitero polacco.