“Altra grande rottura di senso è il riconoscimento della sessualità indistinta, gioiosa e vitale del bambino. Il bambino è, secondo Mieli, l’espressione più pura della transessualità profonda cui ciascun individuo è votato. È l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo desiderio non viene irregimentato dalla Norma eterosessuale, che inibisce le potenzialità infinite dell’Eros. Discorso eversivo e scomodo oggi più che mai, in una società attanagliata dal tabù che investe senza appello il binomio sessualità-infanzia, ossessione quasi patologica che trasforma il timore della pedofilia in una vera e propria caccia alle streghe. Quello di Mieli è un monito a tenere bene a mente la vitale, originaria e prorompente sessualità infantile, in modo da non imbrigliarla nelle coercizioni della Norma, che genera inevitabilmente repressione, omofobia, violenza, discriminazione. Mieli non dà risposte, ma lascia aperti interrogativi di ordine etico sul ruolo castrante del sistema educativo (rappresentato dalla famiglia in primis) e sulle potenzialità ancora ignote di un Eros che, se lasciato libero di esprimersi, può fondare una società diversa da quella in cui viviamo. Sicuramente più libera. (…) Una famiglia non eterosessuale, ancorché monosessuale, potrebbe educare un figlio senza castrarlo, ci chiediamo, inculcando in lui i valori di una sessualità più vicina al potenziale transessuale originario? Possono le nuove famiglie contribuire a rompere il circolo vizioso della normatività normalizzante e della normalità normativa? Alla Norma Mieli contrappone l’assunzione e la pratica di tutte le perversioni, che restituiscono agli individui la condizione originaria di transessualità”.
«Dalla bocca dei bambini, Signore, ti sei fatto una lode»
«Molti chiedono solo che la Chiesa sia sé stessa»
«La Chiesa non può aver timore di apparire con cordialità verso gli altri nella vita pubblica. Ma è un fatto che il suo vero tesoro è il Vangelo letto in noi dallo Spirito Santo. Un tesoro di preghiera e di umiltà». Intervista con il cardinale Carlo Maria Martini |
Intervista con il cardinale Carlo Maria Martini di Gianni Valente
Che cosa chiede, ora, nelle sue preghiere di mendicante?
Benedetto XVI e Carlo Maria Martini
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Ricordando Mario Mieli
Mario Mieli si uccise a 31 anni nella sua casa milanese (12 marzo del 1983) senza spiegare il proprio gesto.
Il Circolo di Cultura Omosessuale "Mario Mieli" nacque nel 1983, a pochi mesi dal suicidio di Mario Mieli, dalla fusione di preesistenti organizzazioni della città di Roma (il "Fuori" fondata appunto da Mieli, e il collettivo "Narciso"). Molti dei fondatori del Circolo erano anche amici di Mario o comunque estimatori della sua figura politica, da qui il nome.
A venticinque anni dalla morte, ricorderemo Mario Mieli con un appuntamento sui generis, degno di siffatto personaggio, assieme agli amici che lo hanno conosciuto ed alle persone che lo hanno incontrato negli anni in cui esplodeva la lotta GLBT in Italia.
Saranno presenti all’incontro, fra gli altri, Franco Buffoni, Elio Pecora, Porpora Marcasciano, Francesco Gnerre, Vanni Piccolo, Piergiorgio Paterlini...
Modereranno gli interventi, Saverio Aversa e Angela Azzaro.
Appuntamento alle 17,00 presso il Caffè Freud di Via Angelo Poliziano n. 78/A, (a pochi passi dalla fermata Metro A Vittorio Emanuele o Metro B Colosseo)
Mario Mieli, dinamite frocia contro la Norma
di Francesco Paolo Del Re
Vestiti da donna, teatro d’avanguardia, teoria, militanza, droga, coprofagia. Venticinque anni fa, il 12 marzo 1983, usciva volontariamente di scena, suicida a 31 anni, il più grande intellettuale queer italiano. Lo scintillio di una ricerca instancabile contro ogni ordine costituito, all’inseguimento dell’Eros polimorfo e perverso. Ancora oggi, di fronte a ogni tentazione di normalizzazione omosex, assolutamente “scandalosa”.
Un essere androgino, un folletto aristocratico dal sorriso beffardo che, avvolto in un mantello nero, in una profusione di collane di perle e gioielli di famiglia, si staglia sullo sfondo di una chiesa. Mario Mieli appare così in una celebre fotografia, dinamite frocia innescata contro l’inamovibilità dell’ordine costituito, e assurge a emblema della stagione più creativa e più eversiva del movimento gay italiano, gli anni Settanta. Può un uomo vestito da donna creare ancora oggi scompiglio sulle strade del capitale, con gesti politici estremi e un raffinato uso pubblico della ragione? È una domanda inevitabile per chiunque provi a riflettere, a 25 anni dal suo suicidio, sulla figura di Mieli e sull’attualità della sua elaborazione.
Mario Mieli interviene, nella vita come nei suoi scritti, sul continuum del senso comune operando clamorose rotture e facendo esplodere conflitti irrisolvibili, che mostrano l’arbitrarietà dell’ordine eterosessuale capitalistico, il potere castrante della Norma, e suggeriscono la via per un “gaio comunismo”, che parte dall’abbattimento dell’omofobia e dalla valorizzazione della femminilità e giunge alla conquista di un Eros completamente liberato da tabù e legacci.
Tutta la vita di Mieli è un impari corpo a corpo con la Norma, nelle sue varie istituzioni: viene irrisa, snaturata e vilipesa attraverso tattiche politiche sovversive, vicine al Situazionismo, che oggi definiremmo senza indugio transgender e queer. Riflessione teorica, agire politico, vocazione spettacolare e dissacratoria si fondono in un’esistenza sopra le righe e sopra i tacchi a spillo. Vestito da donna, Mieli mescola teatro e contestazione, droga e filosofia, mangia i suoi escrementi e beve la sua urina: in lui si incarna il trionfo dell’Eros libero che vuole affermare, hic et nunc, la sconfitta della Norma, utopia di una stagione politica in cui il cambiamento sembra a portata di mano e passa attraverso l’impegno concreto e quotidiano.
La sua biografia è costellata da episodi assurti a una dimensione esemplare e quasi mitica, sfaccettature di una coraggiosa e coerente complessità: Mario Mieli zittisce, scandendo slogan al vetriolo, una folla di omofobi militanti di sinistra, Mario Mieli fatto di Lsd si denuda davanti a un poliziotto in una stazione londinese urlandogli «Fuck me», Mario Mieli viene arrestato nel corso di una manifestazione gay a Piccadilly Circus perché vestito da suora, Mario Mieli si esibisce sul palcoscenico in performance coprofaghe.
Il lungo decennio della parabola politica, critica ed esistenziale di Mario Mieli è scandito da tre momenti essenziali. Mossi i primi passi della sua militanza a Londra, nel movimento di liberazione omosessuale inglese, nel 1971 Mieli porta in Italia l’esperienza che andava maturando all’estero, contribuendo alla nascita del F.U.O.R.I., Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano, il primo significativo tentativo nostrano di creare un soggetto politico che raccogliesse i gay e si battesse per i loro diritti. La seconda fase del percorso politico di Mieli coincide con l’uscita dal F.U.O.R.I., in occasione dell’avvicinamento dell’associazione al Partito Radicale nel 1974, e con la stagione dei collettivi omosessuali, esperimenti di una creativa commistione di elaborazione politica e vita en travesti, serio e faceto, autocoscienza e intervento sociale.
Tra i principali animatori dei Com, Collettivi omosessuali milanesi, Mario Mieli calcò le scene in pièces teatrali d’avanguardia, come La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!. Mezzo, il teatro, di intervento culturale dentro la politica e oltre la politica. Il 1977 è, inoltre, l’anno della pubblicazione per Einaudi del saggio Elementi di critica omosessuale, il maggiore contributo in Italia alla riflessione sull’omosessualità, con un approccio complesso che passa dalla psicologia all’antropologia, dalla letteratura alla storia, fino al marxismo: pietra miliare per un’intera generazione di militanti, il saggio è stato riscoperto in anni recenti e ripubblicato da Feltrinelli.
All’esaurirsi delle utopie dei collettivi, l’ultima fase della vita di Mieli coincide, infine, con una presa di distanza critica dall’evoluzione del movimento omosessuale, nel quale non si riconosce più. Di pari passo, la sua crescente attenzione alle tematiche ecologiste e antiatomiche, il fascino dell’alchimia, con i suo risvolti coprofagi, e infine il suicidio, il 12 marzo 1983, capolavoro di estremo narcisismo o esempio di masochismo che può sublimare, se usato politicamente, l’istinto di morte della Norma eterosessuale.
Oltre al Mieli pubblico, il tormento privato. L’educazione in seno a una facoltosa famiglia della borghesia industriale ebrea lombarda, la consapevolezza di una diversità perturbante e irriducibile, l’esperienza dell’ospedale psichiatrico e le droghe fanno da contraltare a un’elaborazione teorica che, a partire dalla psicanalisi storica e dalla sua rilettura in chiave “gaia”, mette in luce la dimensione di una transessualità originaria e profonda, che costituisce la cifra essenziale dell’Eros di ciascun individuo, l’anelito di ogni riscatto singolare e collettivo e il fondamento di una società più giusta. Su questa costitutiva disposizione infantile alla sessualità polimorfa e perversa agisce la Norma eterosessuale: la Norma castra il desiderio attraverso l’educazione, producendo una società di adulti “monosessuali”, repressi, intrinsecamente omofobi e per questo votati alla guerra.
La Norma eterosessuale si poggia sulla rimozione dell’omosessualità e della femminilità: ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui, che Mieli invita ad accettare, accogliere e liberare. È, questo riconoscimento, un passaggio essenziale, orientato in senso politico, di un lavoro sulla propria identità. Andate a dirlo a uno qualsiasi degli uomini politici che siedono oggi nel nostro Parlamento, quale che sia la loro appartenenza partitica, di mettersi a cercare la donna che ha in lui. Ma provate anche a dirlo a un qualsiasi omosessuale di oggi. Le due reazioni, del politico e dell’omosessuale medio, non saranno molto diverse fra loro: la transessualità di Mario Mieli, il suo omaggio alla femminilità (il debito e il confronto con l’elaborazione femminista è costantemente ricordato nelle sue pagine) e la sua sessualizzazione della politica sono ancora lontane dalla consapevolezza del potere, sono fuori gioco, fuori tempo, fuori scala, fuori dal coro della Norma che tutt’ora è padrona delle nostre vite.
La constatazione dei limiti e dei condizionamenti dell’“educastrazione” porta a una critica del modello monosessuale dominante. Tanto il modello monosessuale etero (leggi la famiglia tradizionale), quanto quello omosessuale è frutto della pervasiva influenza della società sulla formazione della personalità dell’individuo ed è quindi una normalizzazione del desiderio. Avere, secondo Mieli, una “fissazione” nei confronti un singolo oggetto sessuale (essere attratti solo da persone del sesso opposto oppure solo del proprio sesso) è un limite, un sintomo di repressione, di rimozione della naturale disposizione transessuale. Una posizione, questa, che scandalizza ancora oggi e che ha un risvolto di stringente attualità: si pensi al fatto che il nostro paese ha inserito recentemente nell’agenda politica e dell’opinione pubblica, con un’evidenza e un’urgenza mai avvertite prima, la possibilità della tutela a norma di legge anche delle coppie gay. Ponendo l’accento sul limite della dimensione “normalizzata” dell’omosessualità, riflesso della Norma e della rimozione dell’Eros, il pensiero di Mieli conserva ancora inalterata la sua carica rivoluzionaria e ci porta a interrogarci su quale possa essere la vera liberazione. Forse non il matrimonio o i Dico, ma uno spazio vitale di sessualità libera, fondamento di una società rispettosa, accogliente e senza tabù? La libertà non è nei matrimoni gay, sembra dire Mario Mieli: in essi, al contrario, la Norma trionfa.
Altra grande rottura di senso è il riconoscimento della sessualità indistinta, gioiosa e vitale del bambino. Il bambino è, secondo Mieli, l’espressione più pura della transessualità profonda cui ciascun individuo è votato. È l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo desiderio non viene irregimentato dalla Norma eterosessuale, che inibisce le potenzialità infinite dell’Eros. Discorso eversivo e scomodo oggi più che mai, in una società attanagliata dal tabù che investe senza appello il binomio sessualità-infanzia, ossessione quasi patologica che trasforma il timore della pedofilia in una vera e propria caccia alle streghe. Quello di Mieli è un monito a tenere bene a mente la vitale, originaria e prorompente sessualità infantile, in modo da non imbrigliarla nelle coercizioni della Norma, che genera inevitabilmente repressione, omofobia, violenza, discriminazione. Mieli non dà risposte, ma lascia aperti interrogativi di ordine etico sul ruolo castrante del sistema educativo (rappresentato dalla famiglia in primis) e sulle potenzialità ancora ignote di un Eros che, se lasciato libero di esprimersi, può fondare una società diversa da quella in cui viviamo. Sicuramente più libera.
Mieli potrebbe dunque offrire proficui spunti di riflessione nell’ambito della riflessione sulla genitorialità gay e in generale sulle famiglie alternative a quella tradizionale, all’ordine del giorno oggi: se la famiglia eterosessuale e monosessuale è il sigillo che imprime con forza il marchio della Norma sulla pluralità dei desideri del bambino, allora una famiglia non eterosessuale, ancorché monosessuale, potrebbe educare un figlio senza castrarlo, ci chiediamo, inculcando in lui i valori di una sessualità più vicina al potenziale transessuale originario? Possono le nuove famiglie contribuire a rompere il circolo vizioso della normatività normalizzante e della normalità normativa?
Alla Norma Mieli contrappone l’assunzione e la pratica di tutte le perversioni, che restituiscono agli individui la condizione originaria di transessualità, ovvero la libera e gioiosa espressione della pluralità delle tendenze dell’Eros. Le perversioni sono tappe inevitabili, lungo il cammino dell’Eros e dell’emancipazione per la rottura di ogni tabù. In quest’ottica va letta quella che forse è a tutt’oggi la più indigesta delle provocazioni di Mario Mieli: la trasformazione della rivendicazione del piacere anale in elogio della coprofagia, che è sia provocazione di ordine estetico, declinata in forma di performance teatrale, sia momento privato di esplorazione del desiderio. Freud, Sade e Paracelso, letture alchemiche, psicanalitiche e socioantropologiche si sovrappongono nell’uguaglianza tra merda e oro, che trova una corrispondenza nel nesso tra Eros e capitale.
Coprofagia come gioco erotico e come pratica di piacere, come gesto iniziatico e alchemico, come colpo di teatro e come esercizio rivoluzionario. Elogio della merda come grimaldello che apre le porte dell’armonia, come supremo vessillo della liberazione, come fonte di ricchezza accessibile a chiunque, come comunione sublime per un’iniziazione scandalosa, per una conoscenza schizofrenica e divergente. Il Mieli “alchemico” dell’ultima parte della sua vita narra un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista insieme al suo fidanzato: la celebrazione di un rito di “nozze alchemiche”, con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto in casa”, un dolce nel cui impasto confluivano non solo merda, sangue e sperma, ma anche ogni altra secrezione corporale, dalle lacrime al cerume. Perché? «L’abbiamo mangiato - dice Mieli - e da allora siamo uniti per la pelle. Pochi giorni dopo le “nozze”, in una magica visione abbiamo scoperto l’Unità della vita. Era come se non fossimo due esseri disgiunti, ma Uno; avevamo raggiunto uno stato che definirei di comunione». Questa comunione vuole essere testimonianza e annuncio dell’avvento di un’armonia che, attraverso la liberazione dell’Eros, costituisce una nuova “età dell’oro”.
Fonte: Liberazione