L’ economista Ferdinando Galiani una volta disse: «Dove non c’è valore, non c’è alcuna libertà». A leggere i risultati dell’inchiesta «I giovani di fronte al futuro e alla vita, con o senza fede », realizzata dall’Istituto Iard e commissionata dall’associazione «La Nuova Regaldi» di Novara (ne ha già ampiamente riferito Avvenire di ieri), pare che una fetta della popolazione giovanile soffra per la mancanza di valori. L’indagine, effettuata a fine marzo su tutto il territorio italiano, è andata a intercettare gli umori dei giovani tra i 18 e i 29 anni. Una parte del questionario riguardava temi di bioetica. Come era prevedibile chi si professa non credente è in larga maggioranza – tra il 76% e l’88% – favorevole a fecondazione artificiale eterologa, aborto ed eutanasia. Questo costituisce la prova che c’è molto da lavorare sul fronte della formazione culturale: anche un agnostico può essere contrario ad aborto, eutanasia, maternità artificiale. Inoltre questo dato evidenza il fatto che l’intento della cultura «laica» è riuscito benissimo: si sta facendo credere che solo il cattolico possa essere contro queste condotte, mentre chi si professa laico dovrebbe necessariamente essere a favore di aborto ed eutanasia. Ma anche tra chi si considera cattolico praticante c’è una percentuale che approva fecondazione in vitro (31%), aborto (22%), ed eutanasia (29%). Insomma, uno su tre non ha idee per nulla chiare su questioni fondamentali. Da qui una considerazione: urge un’opera di formazione delle coscienze. Occorre ritornare ad alfabetizzare i cattolici – a partire dai giovani – sulle questioni di base, pronunciandosi con chiarezza e non dando mai nulla per scontato. Incrociando i dati raccolti sui temi di bioetica con quelli delle altre sezioni del sondaggio emergono tre scenari da seguire con attenzone. In primo luogo ai vertici della fiducia degli intervistati c’è la figura dello scienziato: sui temi di bioetica è il più ascoltato che il prete, il filosofo, il politico, l’uomo di cultura. Ciò che questi afferma è attendibile perché verificabile. Gli altri sono 'opinionisti'. In secondo luogo, il sì all’aborto e all’eutanasia è il risultato di una visione individualista e soggettivistica dell’etica: è certamente giusto ciò che decido dato che non c’è un termine oggettivo di confronto per formulare giudizi morali assoluti. Il minimo comun denominatore è una malintesa libertà di coscienza. Infine la fede viene ritagliata su misura da ciascuno, e questo ha un effetto di trascinamento anche nei confronti dei temi morali. Anzi, le riserve sugli insegnamenti della Chiesa sono maggiori rispetto a quelle sulla fede perché vengono percepiti come più incidenti nella vita privata. Insomma, c’è da lavorare, e non poco. Tommaso Scandroglio |
© Copyright Avvenire 22 aprile 2010
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