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DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi
3 DICEMBRE 2015
Aborto, sesso, e pillole libere. E basta con le prediche dei genitori. L’esigenza primaria per i giovani del 2014, per l’ONU
Qualche settimana fa avevamo scritto dell’ultimo rapporto sullo ”Stato della popolazione del mondo” pubblicato dall’agenzia dell’ONU per la popolazione (UNFPA). Avevamo già notato come all’ONU piacessero i giovani, una ricchezza per il mondo, fintantoché non si riproducono eccessivamente, soprattutto nei paesi poveri.
L’85% dei ragazzi beve alcol nei fine settimana, il 75% conosce la cannabis
Il primo approccio con l’alcol anche a 12 anni
Scuola, gli abbandoni nel 2010 sfiorano il 19%
Nuove mode che diventano ossessioni. Gli adolescenti vittime di nuove dipendenze. In Val D’Aosta apre clinica per curare i più giovani
Se era ossessionata dalla forma fisica e dalle diete la diciottenne che si è suicidata impiccandosi nei bagni di una scuola a Monterotondo (Roma), un altro tipo di invasamento ha spinto un ragazzo di 16 anni, di Novoli (Lecce) a spararsi all’addome soltanto perché i genitori gli avevano proibito l’uso della Playstation.
Internet, videogiochi, cellulare, sesso, shopping, gioco d’azzardo sono del resto le nuove dipendenze dei giovani, a sentire gli esponenti della comunità scientifica. «Le nuove dipendenze – è emerso recentemente da un congresso internazionale organizzato da Sepi (Society for the Exploration of Psychotherapy Integration) e Scuola di Psicoterapia Comparata – possono portare a comportamenti e relazioni disfunzionali e problematici riferiti a oggetti, attività, stili di vita, gestione del tempo, difficoltà relazionali e un distorto rapporto con la realtà e il mondo esterno ». E il rischio è più elevato per bambini e giovani perché soprattutto fra di loro si diffondono le nuove tecnologie. Secondo l’Istat, l’uso del cellulare nella fascia tra 11 e 13 anni è passato dal 35,2% del 2000 all’83,7% del 2008. E nel 2010, sempre secondo l’istituto di statistica, nel 21,5% delle famiglie (20,1 nel 2009) c’è una consolle per videogiochi.
Oltre alla playstation, oggetto di culto a partire dagli anni ’90 tanto da identificare una generazione, a sedurre come Sirene bambini e adolescenti ci sono Nintendo, X Box, Wii e similari. In loro compagnia – rivela un’indagine commissionata a Nextplora da Microsoft – i giovani maschi tra i 16 e i 24 anni trascorrono in media un’ora e 18 minuti al giorno. Ma chi ha figli, anche under16, sa bene che il tempo trascorso davanti ai vari display – e spesso sottratto allo studio (il 73% dei genitori, secondo la stessa ricerca, pensa che i videogame distraggano i figli dai compiti) – è ben superiore.
Passioni e degenerazioni, quelle legate a videogiochi e affini, che attraversano il mondo: in Cile la scorsa primavera un ragazzo ha pugnalato a morte il fratello maggiore, di 18 anni, durante una vivace discussione per decidere chi avrebbe usato la playstation e a Mosca a settembre un giovane rapinatore si è lasciato stregare dalla playstation con cui giocava un ragazzino dimenticandosi che stava facendo il «palo» a una rapina in casa.
Ce n’è abbastanza per correre ai ripari. Anche «ospedalizzando» le tecno-vittime. In Valle d’Aosta a marzo è stata inaugurata una clinica, la prima del suo genere in Italia, specializzata nella cura di fragilità adolescenziali che si trasformano in subdole dipendenze da videogiochi o da Internet e in pericolose patologie psichiatriche.
I nostri ragazzi in discoteca come dottori Jekyll e signori Hyde
L’introduzione dell’etilometro nei locali notturni
di Ferdinando Camon
Tratto da Avvenire del 14 novembre 2010
Ci siamo. Non è l’arrivo, è soltanto un primo passo, ma nella direzione giusta. Da ieri notte è scattato l’obbligo, per tutti gli esercizi pubblici e locali d’intrattenimento che hanno il permesso di chiudere dopo le ore 24, di munirsi di un etilometro, col quale i clienti possano controllare se sono o non sono in condizioni di guidare. Se il tasso di alcol oltrepassa un certo limite, guidare è un pericolo mortale.
Questo limite è più basso di quanto si creda. Bastano 2 bicchieri di vino. Ora come ora, dopo la mezzanotte, specialmente di sabato, i clienti delle discoteche che guidano con rischio proprio e altrui sono troppi. Troppe morti assurde, auto che sbandano da sole, escono di strada, si rovesciano o si scontrano in curva: sono ragazzi giovani e sani, non muoiono per malattia, ma per eccesso di vitalità.
Non sono suicidi, non vogliono morire: vogliono vivere una vita super. Questo controllo, all’uscita dai locali, li avverte se quel 'super' scavalca il confine tra la vita e la morte. È un controllo parziale e insufficiente, perché comincia dopo le ore 24, e pone la domanda: e prima? Se uno lascia il locale cinque minuti prima, lo si ritiene in grado di guidare, su che base? E inoltre: corre alcol, nei locali del divertimento, o corre anche droga? Ho sempre nella memoria la sera in cui, in una mega-discoteca di Verona, decine di poliziotti con cani anti droga irruppero di sorpresa, e trovarono droga in polvere e in pasticche dappertutto, sui tavoli, sui divani, e specialmente nelle toilettes.
Anche uno che non ci va per drogarsi, poi si droga perché così fan tutti. Cosa vogliono ottenere, nei locali del divertimento, i nostri ragazzi?
Vogliono uscire dal loro corpo normale, il corpo da lavoro o da studio, quello in cui hanno passato i giorni dal lunedì al venerdì, ed entrare in un nuovo corpo, il corpo da godimento, nel quale passare la notte tra il sabato e la domenica. Ho descritto questo passaggio in un libro, e ne ho parlato nelle scuole per anni. È un passaggio rischioso. È un salto. Tu lasci un corpo, che ha una mente, dei nervi, delle reazioni, e ti permette delle sensazioni, ed entri in un altro corpo, che ha un’altra mente, altri nervi e ti dà altre sensazioni.
Quest’altro corpo raddoppia il godimento dei suoni, delle luci, del contatto, del ballo. Il salto da un corpo all’altro avviene rapidamente, ci sono sostanze che lo accelerano. L’alcol è una spinta, la droga è un urto. Il salto dal corpo da lavoro al corpo da godimento è un pericolo, ma il vero pericolo è il ritorno nel corpo da lavoro, quello che sei abituato a padroneggiare, e che ti permette di guidare. Troppi pericoli e troppi incidenti avvengono perché chi guida è ancora nel corpo da discoteca, stordito o accecato o esaltato. Non è necessario che si sia fatto uso di droghe pesanti: i lampi allucinanti e i tuoni dirompenti, che scuotono cuori e toraci, sono di per sé uno stordimento. Io parlo di corpo da lavoro, i ragazzi parlano di corpo da fatica, e rivendicano la necessità di uscirne fuori, una volta alla settimana. È esattamente quel che faceva il dottor Jekyll: anche per lui il problema non era uscire dal proprio corpo, ma rientrare. E infatti a un certo punto non è più rientrato. Che straordinario libro! Tutti lo prendono per un’anticipazione dello scontro Io-Es, che Freud stava scoprendo. Osservo, timidamente, che si potrebbe anche intenderlo come un’anticipazione dell’età delle droghe: Jekyll, in fondo, non maneggia sogni, ma sostanze chimiche. E il suo non è uno scontro tra una parte e l’altra dell’Io, ma tra l’Io e sostanze esterne. Se ci fosse stato un misuratore del sangue anche per lui, sulla porta del suo studio...
Fumo, l'età cruciale fra 13 e 15 anni La curva dei fumatori si alza all'improvviso dal 4% al 19%. Le donne sono in minoranza ma più perseveranti
DONNE PIÙ PERSEVERANTI - Secondo Fazio per avere successo nelle attività di contrasto al fumo è fondamentale il contributo dei giovani che a loro volta potrebbero fare da sponda: «Bisogna convincerli con la persuasione, senza ossessionarli». La ricerca italiana fa parte di un’indagine internazionale promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. A 11 anni l’abitudine al fumo è ancora molto lontana. Ammettono di consumare una sigaretta a settimana l’1% dei maschi e lo 0,2% delle femmine. A 13 anni la percentuale aumenta: 4,14% dei maschi, 3,68% delle compagne. Poi il salto, unito a un secondo fenomeno non meno rilevante: tra 13 e 15 anni i maschi diventano il 19,08% e le donne il 18,42%. È l’età del sorpasso. Poi nella fase adulta gli uomini continuano a mantenere la prevalenza ma le donne, pur essendo in minoranza, sono le più perseveranti e difficilmente smettono. Quale può essere il contributo dei diretti interessati alle campagne di prevenzione? Gli esperti ritengono che sarebbe molto importante informarli dei trabocchetti messi in campo dai produttori di tabacco per conquistare il mercato dei più piccoli attraverso pubblicità occulta. La ricerca è stata elaborata dall’università di Torino e ha riguardato altre abitudini degli adolescenti. L’iniziativa Help ha coinvolto 26 Paesi: 26mila spot televisivi, 504 milioni di contatti di navigatori tra 15 e 34 anni nel sito web aperto dalla Commissione nel 2005.
Margherita De Bac
29 ottobre 2010
Ragazzina, occhio al «sexting» Nuovo brevetto Apple per arginare la pratica dello scambio di messaggini erotici tra cellulari
HARD INTERCETTATO – La mela morsicata ha brevettato infatti una nuova tecnologia, chiamata Text-based communication control for personal communication device, capace di riconoscere segnali di sexting e inibirli sul nascere, attraverso il riconoscimento avanzato di una serie di parole ed espressioni proibite. La tecnologia viene proposta inoltre in associazione a una serie di filtri per migliorare la grammatica, in grado di identificare gli svarioni e segnalarli. Se implementata sul telefonino dunque la funzione dovrebbe intercettare qualsiasi riferimento hard. Chiaramente sarebbero mamma e papà a convertire il cellulare della prole, utilizzando l’intelligenza artificiale al posto delle prediche o delle campagne di sensibilizzazione.
DIRTY PICTURE – Il Sidney Morning Herald riporta le dichiarazioni di esperti e autorità australiani, preoccupati della crescita e della normalizzazione di un comportamento molto rischioso, e cita uno studio ormai datato sulle proporzioni del fenomeno nel 2008, anno in cui riguardava già il 39 per cento dei ragazzini australiani. Del reso, come spiega l’esperta di problemi infantili ed ex funzionario della polizia, Susan McLean, il rischio è che questa prassi si vada diffondendo, facendo perdere ai teenager la percezione della sua pericolosità: «Finché star come Kesha canteranno Dirty Picture, pronunciando frasi come "Allora scatta una fotografia sconcia per me", i giovani penseranno che fare sexting sia semplicemente normale».
Emanuela Di Pasqua
28 ottobre 2010
I giovani e il bisogno di certezze
Accade che una lezione sul “Purgatorio” di Dante diventi sorprendentemente un avvenimento.
L’altra mattina nella mia quarta introducendo il “Purgatorio” parlavo delle tre parole chiave della cantica: l’amore, il perdono e la misericordia, la libertà.
A tema della “Divina Commedia”, dicevo, c’è una domanda grandissima: tutto quello che di bello e di vero desidero, che amo e stimo sopra ogni cosa (la mia felicità, il bene per la persona che amo, il rapporto con un carissimo amico) durerà per sempre? Si realizzerà pienamente, totalmente? O tutto si corromperà e finirà nel nulla? Dante risponde con una certezza: la vita è per un positivo perché tutto esiste per amore. Ho citato don Giussani che a questo proposito afferma: “Non è tragedia la vita: la tragedia è ciò che fa finire tutto nel niente, la vita è dramma: è drammatica perché rapporto fra il nostro io e il Tu di Dio, il nostro io che deve seguire i passi che Dio segna”. E aggiunge: “L’arte anticipa qualcosa dell’eterno”. La poesia di Dante anticipa qualcosa a proposito del nostro destino: la vita o è certezza di essere amati o è tragedia; o è responsabilità, risposta di fronte a un Tu che ti stima infinitamente, o è il nulla; o è un dialogo o è una tragica solitudine, l’esperienza più diffusa ai giorni nostri anche tra i giovani.
La stessa cosa si può dire per l’esigenza del perdono e della misericordia: la vita è letizia, è positiva in qualunque situazione ci troviamo se abbiamo la certezza del perdono, di una presenza misteriosa che ci accoglie e ci perdona sempre, gratuitamente, senza chiedere nulla in contraccambio. Non c’è male, non c’è peccato, non c’è delitto che non possa essere perdonato, neanche la tragica uccisione della giovane Sara di Avetrana. L’unico peccato che non può essere perdonato è il peccato contro lo Spirito: Dio non esiste, o se per caso esiste non mi può perdonare, l’abisso della disperazione.
Dante dice a ciascuno di noi: “Franco, Laura, Stefania… tocca a te decidere: con sulle spalle il carico pesante del tuo male, dei tuoi limiti, della tua istintività o ti affidi con fiducia alla misericordia infinita di un Padre che perdona, o ti perderai sotto i colpi della disperazione e della solitudine.
Oppure puoi fare come fanno molti: evitare di guardare in faccia al tuo male, incolpando gli altri, la società o peggio affidandoti passivamente a tutto ciò che il potere ti offre per non pensare al tuo male, per non pensare a niente: ma una posizione così non può durare nel tempo”.
A quel punto una alunna, Giulia, alza la mano e chiede: “Ma lei, prof, ha delle certezze?” E io a lei: “Certezze a proposito di che cosa?” Lei risponde: “Certezze a proposito dell’esistenza di Dio, della Sua presenza?” Io le dico: “Ma perché mi chiedi questo?” Lei risponde: “Perché io ho molti dubbi. Per questo le volevo chiedere: ma lei come ha fatto ad arrivare a delle certezze su Dio?”
Le ho detto: “Guarda, non mi interessa dirti qualcosa da un punto di vista teorico, posso raccontarti la mia esperienza. Io sono arrivato ad avere delle certezze in tre modi: prima di tutto osservando, stando attento alla realtà che mi circonda, lasciandomi provocare dalla sua bellezza (un tramonto, un cielo stellato, il viso di una bella donna, una sinfonia) e ponendomi della domande: se non ho fatto io tutte queste cose che mi affascinano per la loro bellezza chi le ha fatte? E perché il mio cuore si emoziona, si esalta alla vista di queste cose? Chi ha fatto il mio cuore così? Perché sono fatto così?
Poi quando ero giovane ho incontrato qualcuno che mi ha detto: “C’è un uomo nella storia che ha detto: “Io sono la verità, la via, la vita. ” Che è come dire: “Io sono la tua felicità”. Sentire delle simili parole mi ha cambiato la vita, mi è venuto un gran desiderio di conoscere e di scoprire quell’Uomo che prometteva quel che da sempre desideravo, che mi offriva quella certezza che dava un senso, una prospettiva infinita, una speranza a tutte le cose che più amavo. Mi è apparso subito chiaro che la cosa più semplice per conoscerlo era quella di stare, di diventare amico di chi mi aveva comunicato una notizia così decisiva, di chi aveva spalancato la mia vita a un orizzonte che comprendeva e valorizzava tutti i miei interessi. Da allora la mia vita è stata una continua scoperta.
Infine ho avuto la grazia di conoscere, di incontrare dei santi sia direttamente, sia leggendo le testimonianze della loro vita. I santi sono delle persone che avendo incontrato Cristo hanno dato tutto per Lui, mostrando a tutti per che cosa vale la pena vivere. Ad esempio, mi ha sempre colpito la vicenda che tutti conosciamo di San Massimiliano Kolbe. Ha detto alle SS che aveva di fronte: “Prendete me, uccidete me al posto di quel padre di famiglia che avete scelto”. Ho subito pensato: o uno così è un pazzo, o grazie alla compagnia di Gesù, ha sperimentato e ha capito che la vera vita, quella che non finisce, che non delude non è quel breve lasso di tempo costituito dalla vita terrena, ma è quella che Gesù ci ha promesso e ci ha manifestato con la sua Resurrezione. ”
Giulia e il resto della classe si sono dimostrate molto colpite dalle mie risposte.
Allora all’intervallo ho detto a Giulia: “Mi piacerebbe iniziare con te e con le persone che hanno la tua stessa esigenza un cammino per arrivare a quelle certezze che ti stanno tanto a cuore”. Lei ha risposto: “Anche a me piacerebbe”. E io a lei: “Allora ci vediamo presto”. Da quel momento diverse compagne hanno manifestato lo stesso desiderio.
E’ stata la grazia di un’ora di scuola che ha saputo toccare l’esigenza più profonda del cuore di un gruppo di giovani, perché una persona senza certezze non si ritrova più. Quella delle certezze è veramente la più grande e affascinante sfida per noi educatori.
Alcol, un giovane su tre beve troppo
Milano - Sono giovani, maschi, con un livello di istruzione medio-alto, pochi problemi economici e residenti dalle regioni del Nord Italia. È il ritratto dei nuovi bevitori di alcol a rischio che in Italia sono più di uno su tre tra gli under 24.
"Binge drinking" L'identikit del moderno bevitore è stato tracciato dal rapporto nazionale Passi 2009 dell’Istituto superiore di sanità. Secondo i dati il 56,7% degli adulti tra i 18 e i 69 anni può essere considerato bevitore e il 18% è un consumatore a rischio perché beve alcol al di fuori dei pasti oppure lo consuma in singoli episodi di "binge drinking", quando cioè si assumono sei o più unità alcoliche (pari a una lattina di birra o a un bicchiere di vino) in una volta sola.
"Mercato troppo accessibile" Secondo Emanuele Scafato, direttore dell’osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore di sanità, non si sono valutati correttamente i possibili sviluppi del "binge drinking", "non si è tenuto conto delle mode e delle strategie di mercato che le sostengono - ha detto Scafato - e oggi ai nostri giovani è stato reso più economico e conveniente il consumo di alcol".
Giovani e nordici Dati ancor più preoccupanti arrivano osservando il segmento dei giovani tra i 18 e i 24 anni. Il 36% di loro è un bevitore a rischio e la percentuale scende al 25% tra i 25-34enni. Ci sono alcune variabili che caratterizzano questi consumatori: sono prevalentemente maschi (22% contro il 14% delle donne) hanno il diploma o la laurea (20% rispetto al 17% con una licenza media e 12% con quella elementare o nessun titolo di studio) e non hanno nessuna difficoltà economica (20% rispetto al 16% che ne ha qualche o addirittura molte). Il bere forte, poi, è un’abitudine diffusa soprattutto al Nord. Nella provincia autonoma di Bolzano i bevitori a rischio sono il 41% rispetto all’8% della Campania.
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Diciotto anni, l'età più bella?
Vedozero è stato girato da settanta ragazzi «armati» di settanta cellulari. Andrea Caccia, il regista, lo ha realizzato con Roadmovie, e grazie al bando di produzione indetto dalla provinca di Milano (ancora di centrosinistra) due anni fa. Le scuole che hanno accettato di partecipare sono tre licei tra Monza, Vimercate e Rho, lì Caccia ha cominciato a lavorare coi ragazzi chiedendogli di raccontarsi. Il film è dunque un «quasi-diario» collettivo, composto di frammenti in cui sguardi e sensibilità diverse tracciano un 'immagine dell'adolescenza che non è quella delle statistiche. È invece una dimensione di complessa tenerezza, piena di sfumature, confusa, fragile. Con infiniti momenti assoluti, la notte, il fidanzato, essere belli, la discoteca. Tutto però, anche la droga, perchè ne parlano, senza retorica, con un 'immediatezza che cresce insieme alla coscienza della propria immagine. Non è il telefonino «filmare-per filmare» ma dietro c'è una riflessione continua su come usare il mezzo a disposizione, cosa filmare, dove indirizzare lo sguardo. Sono questi infatti i punti fondamentali che Caccia, lasciandoli poi liberi, ha voluto insegnargli. Il gesto di filmarsi per comprendere il mondo, dice. E questa è anche l'essenza del suo cinema fatto da una continua ricerca sull'immagine, formati e emozioni, grana visuale e senso profondo. Il film, già in sala al cinema Palestrina di Milano, sarà a Roma (11-12-14) al Nuovo Aquila, e poi in altre sale, quelle che accettano ancora la scommessa della distribuzione indipendente, a cui serve tempo e molto amore.
Come sei arrivato all'idea di un film collettivo girato col cellulare?
Il telefonino ha sicuramente cambiato la nostra vita, per certi versi anche in peggio forse ... Comunque adesso è una macchina da presa che permette di girare liberamente. Ho cercato subito di far capire ai ragazzi che dietro all'immagine c'è un pensiero soprattuto per loro che sono bersagli continui di un cattivo uso dell'immagine. Anche per questo ho preferito lavorare con ragazzi un po' più grandi, tra i sedici e i diciotto anni, il discorso era un po' complesso, non si trattava semplicemente di arrivare in classe e dire facciamo questo o quello. Volevo che capissero che il cinema è uno strumento per comprendere il mondo a partire da sé stessi.
Ci sono state difficoltà pratiche? E che riferimenti hai proposto ai ragazzi?
All'inizio ci hanno detto che a scuola non si poteva usare il cellulare, il che è assurdo visto che eravamo lì per girare un film col cellulare. Poi abbiamo trovato un accordo. Il primo giorno gli ho fatto vedere La verifica incerta di Grifi. Erano sconvolti. Per loro non era assolutamente un film. Ma appunto a me interessava che arrivassero a un'assunzione di responsabilità. Così quando gli ho dato il cellulare gli ho detto di non usarlo come uno strumento per guardare gli altri ma per raccontarsi. Dovevano capire che dietro a ogni immagine c'è un processo che veicola un senso.
In che modo avete organizzato i materiali?
Abbiamo aperto un sito, lì caricavano le immagini e io e il montatore le guardavamo. Non sono mai stato sul set. C'era una discussione in classe con me o con altri della troupe. Non tutti hanno risposto allo stesso modo. L'idea era quella di un film che raccontasse cosa significa avere diciotto anni. Quando ascolto le domande che seguono ogni proiezione di Vedozero penso di avere colpito nel segno. Alcuni si riconoscono, altri no, è stato bello quando una ragazza ha detto a un altro: «Non sei come credi di essere». I ragazzi sapevano da subito che non sarebbe stato un film su ciascuno di loro ma sulla loro età. Alla fine ci siamo trovati 4000 minuti di girato, ognuno aveva a disposizione un minuto, era la soluzione più semplice per gestire il sito. Ma anche per spiegare che il cinema è fatto di tante inquadrature.
E come sei arrivato a trovare una direzione?
Osservavo il loro percorso attraverso i video che mandavano, le cose apparivano in percentuali diverse. La scuola non c'era quasi mai e così i genitori o il sesso il che alla loro età non mi sembra possibile. Non si trattava però di ricucire questi momenti al montaggio, non era una storia che cercavo. Mi piaceva mantenere la fragilità del chiaroscuro, l'ingenuità, la delicatezza. Le droghe nei loro filmati ritornavano tante volte quante il gelato. Le ho messe dentro come altre cose ma senza sottolineare. Diciamo che ho cercato il mio sguardo nei loro. Per questo penso che è un film fortemente autobiografico anche se non l'ho girato io.