DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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3 DICEMBRE 2015



Riscaldamento globale a Seoul




GIOVANI MISSIONARI

Vorrei dire una parola sui missionari. Uomini e donne che hanno lasciato la patria, tutto… Da giovani se ne sono andati là, conducendo una vita di tanto tanto lavoro, alle volte dormendo sulla terra. A un certo momento ho trovato a Bangui una suora, era italiana. Si vedeva che era anziana: “Quanti anni ha?”, ho chiesto. “81” – “Ma, non tanto, due più di me”. - Questa suora era là da quando aveva 23-24 anni: tutta la vita! E come lei, tante. Era con una bambina. E la bambina, in italiano, le diceva: “Nonna”. E la suora mi ha detto: “Ma io, proprio non sono di qua, del Paese vicino, del Congo; ma sono venuta in canoa, con questa bambina”. Così sono i missionari: coraggiosi. “E cosa fa lei, suora?” – “Ma, io sono infermiera e poi ho studiato un po’ qui e sono diventata ostetrica e ho fatto nascere 3.280 bambini”. Così mi ha detto. Tutta una vita per la vita, per la vita degli altri. E come questa suora, ce ne sono tante, tante: tante suore, tanti preti, tanti religiosi che bruciano la vita per annunciare Gesù Cristo. E’ bello, vedere questo. E’ bello.
Io vorrei dire una parola ai giovani. Ma, ce ne sono pochi, perché la natalità è un lusso, sembra, in Europa: natalità zero, natalità 1%. Ma mi rivolgo ai giovani: pensate cosa fate della vostra vita. Pensate a questa suora e a tante come lei, che hanno dato la vita e tante sono morte, là. La missionarietà, non è fare proselitismo: mi diceva questa suora che le donne mussulmane vanno da loro perché sanno che le suore sono infermiere brave che le curano bene, e non fanno la catechesi per convertirle! Rendono testimonianza; poi a chi vuole fanno la catechesi. Ma la testimonianza: questa è la grande missionarietà eroica della Chiesa. Annunciare Gesù Cristo con la propria vita! Io mi rivolgo ai giovani: pensa a cosa vuoi fare tu della tua vita. È il momento di pensare e chiedere al Signore che ti faccia sentire la sua volontà. Ma non escludere, per favore, questa possibilità di diventare missionario, per portare l’amore, l’umanità, la fede in altri Paesi. Non per fare proselitismo: no. Quello lo fanno quanti cercano un’altra cosa. La fede si predica prima con la testimonianza e poi con la parola. Lentamente. (Papa Francesco, Udienza del 2 dicembre 2015).


LO SPIRITO DEL NATALE 

​Se le persone sapessero esattamente cosa significa il Natale, e poi iniziassero a creare nuovi simboli, cerimonie, scherzi, sarebbe una cosa molto bella. Ma ciò non è ancora successo nel mondo dell’uomo moderno. La maggior parte dei cambiamenti proposti al giorno d’oggi vanno esattamente nel senso opposto. Sono modi per mantenere il nome del Natale – e qualche sbiadita figurina natalizia – trasformandolo in qualcosa di completamente differente. Ciò che alcuni vogliono fare è appendere qualche decorazione di agrifoglio e vischio in un immenso, surriscaldato, impersonale hotel americano, dove la gente possa dimenticare ciò che è il Natale, annoiarsi anche solo nel sentirlo nominare, profanare con le proprie raffinatezze, sazietà, disperazioni l’anima sacra e suprema della festività. Sono persone troppo stanche per sentirne lo spirito, per riformularne i simboli o per cambiarne il nome. Non hanno la creatività necessaria per riformarlo e neanche la tenacia per mantenerlo nella tradizione. Lo fanno semplicemente galleggiare, come un iceberg che si scioglie in acque più tiepide, senza sapere perché si staglia rispetto all’ambiente circostante, perché cambia o si conserva intatto. Nessuno di noi vuole vedere il nobile omino di neve del Natale inglese sciogliersi in quell’iceberg di una moda che ha perso ogni significato. Sarebbe meglio che l’omino di neve venisse distrutto da iconoclasti come i Puritani. Sarebbe meglio che coloro che lo amano lo difendano da coloro che non lo amano. E non penso che alla fine questi ultimi saranno la maggioranza. Ma i primi combatterebbero molto meglio se sapessero perché lo amano, anche al costo di recuperare alcune superstizioni dei loro avi. In ogni modo io so perché lo amo; e per quanto riguarda il Natale dei cocktail e del riscaldamento centralizzato so perché non mi piace. So che la realtà non è relatività o progresso o semplice trascorrere delle epoche. Riconosco Babbo Natale quando lo vedo, anche se è in borghese. E non vengo ingannato dal Padrone del Tempo mascherato con agrifoglio e vischio. (Gilbert Keith Chesterton)


GENITORI  

Quello del genitore è un mestiere di cristallo: tanto bello, ma anche tanto delicato, da vivere cercando di essere il più possibile trasparenza di Dio, epperò pur consapevoli che la nostra, per quanto poco, rimarrà sempre una superficie smerigliata, almeno finché vivremo. Tuttavia la Misericordia del Padre, quello vero, è tale per cui anche le nostre incrinature possono essere rivolte a favore di quel destino di bene cui è vocato ogni figlio, e la nostra opacità, agli occhi di chi ci vede inadeguati, serve a mettere in maggior risalto la perfezione della Sua Luce, cosicché i nostri figli smettano il loro sguardo adorante su di noi per rivolgerlo a Colui che solo ne è degno. (Blog di Costanza Miriano)


SANTA LAICITA' PATRONA DELLA FRANCIA

In Francia vige il più rigido laicismo ed è ovviamente vietato cantare a scuola per Natale motivi tradizionali come Il est né le divin enfant o Douce Nuit, sainte nuit. Però, è consigliato «intonare inni, fare canti e opere musicali» ispirati alla «laicità». Il 9 dicembre, infatti, sarà il 110mo anniversario della legge del 1905 sulla separazione tra Chiesa e Stato e bisogna «celebrarlo in modo solenne». Le religioni ovviamente non si devono bandire, si possono anche usare in modo strumentale «facendo una lettura comparata di testi sacri di religioni diverse che veicolino lo stesso messaggio di fraternità e pace». Segno che in Francia la laicità è ormai la vera e propria religione dello Stato, il rettore consiglia alle scuole di comporre «canti e inni» alla laicità, di rappresentarla con «esposizioni e quadri» e di festeggiarla «piantando l’albero della laicità o lanciando dei palloncini». (Tempi)


UN POPOLO (E FAMIGLIE) DI VIDEOGIOCATORI

In Italia i videogiocatori sono circa 29,3 milioni di persone e almeno il 49% sono donne. Il dato è stato diffuso ieri da AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani). Il Segretario nazionale di AESVI, Talitha Malagò, ha dichiarato che il settore muove in Italia circa 893 milioni di euro e il rapporto tra  maschi e femmine è abbastanza paritario. Di quei 29 milioni (che nel 2011 era 21) soli 51% sono maschi. Inoltre quasi la metà dei genitori intervistati è disposta giocare con i propri figli. (Wired)
  

OSCAR WILDE CHE FORSE NON CONOSCETE

Il 30 novembre 1900, a Parigi, moriva Oscar Wilde, l'autore de Il ritratto di Dorian Gray. La sua figura è spesso strumentalizzata e incompresa, nella sua profondità e nel suo dramma. Wilde: «Bisogna, sì, ch'io mi dica che da me stesso io mi sono distrutto e che nessuno, piccolo oppure grande, non si può rovinare che con le sue proprie mani. Io sono pronto a dirlo; mi sforzo di confessarlo, quantunque, forse, in questo momento, non lo si creda. Senza alcuna compassione io sostengo contro di me l'implacabile accusa. Per quanto terribile sia stato ciò che il mondo mi ha fatto di male, quel che io feci a me stesso fu più tremendo ancora... Mi divertii a fare l'ozioso, il dandy, l'uomo alla moda. Mi circondai di poveri caratteri e di spiriti miserevoli. Divenni prodigo del mio proprio genio e provai una gioia bizzarra nello sperperare una giovinezza eterna. Stanco di vivere sulle cime, discesi volontariamente in fondo agli abissi per cercarvi delle sensazioni nuove. La perversità fu nell'orbita della passione quel che il paradosso era stato per me nella sfera del pensiero. Infine il desiderio si cangiò in una malattia, o in una follìa, o in entrambe le cose. Divenni noncurante della vita altrui. Colsi il mio bene dove mi piacque e passai oltre. Dimenticai che ogni più piccola azione quotidiana forma o deforma il carattere e che, per conseguenza, ciò che si è compiuto nel segreto della propria intimità si sarà poi costretti a proclamarlo al mondo intero. Così, non fui più padrone di me stesso. Non riuscii più a dominare la mia anima e la ignorai. Permisi al piacere di governarmi e finii coll'essere abbattuto da una sventura orrenda. Adesso non mi rimane più che una cosa: l'assoluta umiltà...». Poi, parlando di Gesù, scrive: «Certo, egli ha il senso della pietà per i poveri, per coloro che sono relegati nelle prigioni, per gli umili, per i miserabili, ma egli ha molta più compassione per i ricchi, per gli edonisti, per coloro che sacrificano la loro libertà e divengono gli schiavi delle cose, per quelli che portano abiti preziosi e abitano in palazzi regali. Le ricchezze e le voluttà a lui sembrano invero delle tragedie più grandi che la penuria e il dolore. Per Natale sono riuscito a procurarmi un Testamento Greco e ogni mattina, dopo aver spazzato la mia cella e forbito i miei utensili, leggo un passo dei Vangeli, una dozzina di versetti presi a caso, non importa dove. È una deliziosa maniera di cominciar la giornata. Ciascuno, anche vivendo una vita turbinosa e disordinata, dovrebbe fare così...» (


LA RADICE
“Il capo dei panettieri vide che aveva dato un’interpretazione favorevole” (Bereshìt 37, 26). Il grande commentatore italiano Rabbì Ovadià Sforno commenta questo verso dicendo: Egli sperava che anche per lui desse un’interpretazione favorevole, perché è risaputo che la realizzazione dei sogni dipende dalla loro interpretazione, come dicono i nostri Maestri, il loro ricordo sia in benedizione, nel Talmud (Berachòt 55b): “…i sogni vanno dietro alla bocca …”. Infatti è scritto più avanti (Bereshìt 40, 22): “Secondo l’interpretazione che Yosèf aveva loro data”. (David Sciunnach, rabbino, moked.it)


Aborto, sesso, e pillole libere. E basta con le prediche dei genitori. L’esigenza primaria per i giovani del 2014, per l’ONU



Qualche settimana fa avevamo scritto dell’ultimo rapporto sullo  ”Stato della popolazione del mondo” pubblicato dall’agenzia dell’ONU per la popolazione (UNFPA). Avevamo già notato come all’ONU piacessero i giovani, una ricchezza per il mondo, fintantoché non si riproducono eccessivamente, soprattutto nei paesi poveri.


Oggi vorremmo soffermarci su un altro aspetto del documento esaminato: la critica agli ordinamenti giuridici che richiedono il consenso dei genitori per far fruire ai minorenni di servizi essenziali alla loro “felice” salute sessuale e riproduttiva. I genitori devono consentire all’aborto  delle ragazzine? Una barbarie. I minorenni non possono esprimere da sé il consenso per rapporti sessuali completi con maggiorenni: un’ingiustizia. La contraccezione, la prostituzione, sono tutte cose di cui i giovani hanno diritto di disporre senza che i genitori si mettano di mezzo…
Certo,  in teoria  i genitori dovrebbero essere una fonte primaria di informazioni ed educazione sulla sessualità, per i figli. Ma questo “non avviene come dovrebbe.”  Per l’UNFPA, i genitori spesso “non sanno come parlare con i loro figli in merito a tali questioni“. Sarebbero auspicabili interventi politici che liberino veramente i giovani da questo giogo imposto del consenso parentale su tutto. Sta ai politici garantire agli adolescenti l’accesso libero all’esercizio dei loro “diritti”, magari cercando di lanciare messaggi diretti a loro, che non debbano necessariamente “passare per casa”.
Anzi, il rapporto UNFPA afferma che la chiave dello sviluppo è garantire che il comportamento sessuale degli adolescenti sia il più possibile libero e disinibito, senza restrizioni, e, soprattutto, non procreativo. Insomma l’anarchia sessuale tra i giovani assicurerà il loro benessere, anche economico, e quello di tutto il mondo.
Il rapporto è perfettamente coerente con i tristemente noti Standards dell’OMS per l’educazione sessuale in Europa”: la famiglia dà fastidio, i genitori opprimono e disturbano la felice crescita dei figli. Dovrebbero essere le Istituzioni a crescere ed  educare i ragazzini, per farne degli adulti veramente felici. Come nel Mondo Nuovo, di Aldous Huxley.
 Francesca Romana Poleggi
Fonte : C-Fam

L’85% dei ragazzi beve alcol nei fine settimana, il 75% conosce la cannabis


L’85% degli studenti romani tra i 12 e i 18 anni fa uso di alcol nei fine settimana, il 45% di superalcolici, mentre il 75% ha avuto un contatto con cannabis o altre droghe. Il 27% ammette di procurarsi le sostanze a scuola. Sono i risultati di una ricerca condotta tramite questionari anonimi da “Pari & Impari”, un progetto promosso dal Ceis di Don Mario Picchi, che si occupa di disagio giovanile, in collaborazione con l’assessorato alle Politiche sociali di Roma Capitale. 3.000 i questionari compilati, distribuiti in 15 scuole romane e luoghi di aggregazione giovanile. I dati dell’indagine forniscono anche altri indicatori: l’80% dei ragazzi ha ammesso di fumare sigarette, il 95% ha rapporti sessuali non protetti e il 18% ha confessato di giocare ai videopoker o slot-machine.
Il primo approccio con l’alcol anche a 12 anni
«Il rischio legato all’alcoldipendenza - spiega Roberto Mineo, presidente del Ceis - si presenta in età sempre più precoce, il primo approccio si rileva addirittura a 12 anni, trasformando poi gli adolescenti in “poliassuntori”». Luoghi o ritrovi a rischio per la precoce “ iniziazione” sono rave party, concerti ma anche gite scolastiche. «Ciò vuol dire, prosegue Mineo, che all’alcol si aggiungono via via altre dipendenze, in primis quella da droghe leggere o sintetiche, reperibili soprattutto in luoghi di aggregazione come pub e discoteche. Un vizio che spesso si prende proprio a scuola: è frequentando le superiori, infatti, che si corre il pericolo maggiore di entrare in contatto con chi fa uso di stupefacenti». «Non assumerli - conclude Mineo - può costare l’esclusione dal gruppo».


Corriere della Sera


Scuola, gli abbandoni nel 2010 sfiorano il 19%

Gli abbandoni scolastici prematuri continuano a essere una spina nel fianco del sistema scolastico italiano. Nel 2010 la percentuale di chi ha lasciato gli studi senza conseguire un diploma di scuola superiore si è attestata al 18,8%, ben lontano dalla soglia del 10% indicata nella Strategia Europa 2020, e a fronte di una media europea del 14,4%. È quanto emerge dal Rapporto annuale Istat 2011.

In Italia, dove è occupata meno della metà dei giovani che hanno lasciato precocemente gli studi, a un tasso di abbandono femminile più contenuto (16,3%) non corrispondono maggiori chances di occupazione: risulta occupato il 31,9% delle giovani donne che hanno abbandonato gli studi contro tassi di abbandono e di occupazione tra i maschi rispettivamente del 22 e 56,8%.

Le differenze territoriali sono marcate: particolarmente grave la situazione della Sicilia, dove più di un quarto dei giovani lascia la scuola con al più la licenza media. Percentuali superiori al 23% si registrano anche in Sardegna, Puglia e Campania. Più in linea con il traguardo europeo del 2020 appare il Nord-est, con un tasso di abbandono scolastico intorno al 12% nella provincia autonoma di Trento e in Friuli-Venezia Giulia.

La tendenza alla riduzione degli abbandoni, più incisiva fino al 2007, mostra negli anni recenti un andamento stagnante. Le regioni del Mezzogiorno, pur partendo dai livelli più elevati, sono quelle che mostrano la maggiore contrazione del fenomeno.

Il sistema tuttavia - si fa notare nel Rapporto - offre ampie opportunità legate alla prosecuzione degli studi: dai dati dell'indagine Excelsior nel periodo compreso fra l'anno scolastico 2004-05 e quello 2007-08 il numero di diplomati degli istituti tecnici italiani si è ridotto da 181.099 a 163.915, con un gap rispetto alla domanda potenziale da un minimo di circa 24 mila unità (nel 2005) a un massimo di oltre 127 mila diplomati tecnici (nel 2007).

© Copyright Avvenire 24 maggio 2011

Nuove mode che diventano ossessioni. Gli adolescenti vittime di nuove dipendenze. In Val D’Aosta apre clinica per curare i più giovani


Adolescenti fragili. Una vulnerabilità da sempre legata alle inquietudini tipiche dell’età, ma amplificata ora da tante sollecitazioni ester­ne.
Se era ossessionata dalla forma fisica e dalle diete la diciottenne che si è suicidata impiccandosi nei bagni di una scuola a Mon­terotondo (Roma), un altro tipo di invasamento ha spinto un ra­gazzo di 16 anni, di Novoli (Lec­ce) a spararsi all’addome sol­tanto perché i genitori gli aveva­no proibito l’uso della Playsta­tion.
Internet, videogiochi, cellulare, sesso, shopping, gioco d’azzar­do sono del resto le nuove di­pendenze dei giovani, a sentire gli esponenti della comunità scientifica. «Le nuove dipen­denze – è emerso recentemente da un congresso internazionale organizzato da Sepi (Society for the Exploration of Psychothe­rapy Integration) e Scuola di Psi­coterapia Comparata – possono portare a comportamenti e re­lazioni disfunzionali e proble­matici riferiti a oggetti, attività, stili di vita, gestione del tempo, difficoltà rela­zionali e un di­storto rappor­to con la realtà e il mondo e­sterno ». E il ri­schio è più ele­vato per bam­bini e giovani perché soprattutto fra di loro si diffondono le nuove tecnologie. Secondo l’Istat, l’uso del cellu­lare nella fascia tra 11 e 13 anni è passato dal 35,2% del 2000 all’83,7% del 2008. E nel 2010, sempre secondo l’istituto di sta­tistica, nel 21,5% delle famiglie (20,1 nel 2009) c’è una consolle per videogiochi.
Oltre alla playstation, oggetto di culto a partire dagli anni ’90 tan­to da identificare una genera­zione, a sedurre come Sirene bambini e adolescenti ci sono Nintendo, X Box, Wii e similari. In loro compagnia – rivela un’in­dagine commissionata a Nextplora da Microsoft – i giovani maschi tra i 16 e i 24 anni trascorro­no in media un’ora e 18 mi­nuti al giorno. Ma chi ha figli, an­che under16, sa bene che il tem­po trascorso davanti ai vari di­splay – e spesso sottratto allo studio (il 73% dei genitori, secondo la stessa ricerca, pensa che i vi­deogame distraggano i figli dai compiti) – è ben superiore.
Passioni e degenerazioni, quel­le legate a videogiochi e affini, che attraversano il mondo: in Ci­le la scorsa primavera un ragaz­zo ha pugnalato a morte il fra­tello maggiore, di 18 anni, du­rante una vivace discussione per decidere chi avrebbe usato la playstation e a Mosca a settem­bre un giovane rapinatore si è la­sciato stregare dalla playstation con cui giocava un ragazzino di­menticandosi che stava facen­do il «palo» a una rapina in ca­sa.
Ce n’è abbastanza per correre ai ripari. Anche «ospedalizzando» le tecno-vittime. In Valle d’Aosta a marzo è stata inaugurata una clinica, la prima del suo genere in Italia, specializzata nella cura di fragilità adolescenziali che si trasformano in subdole dipen­denze da videogiochi o da In­ternet e in pericolose patologie psichiatriche.

«Avvenire» del 5 febbraio 2011


I nostri ragazzi in discoteca come dottori Jekyll e signori Hyde

L’introduzione dell’etilometro nei locali notturni
di Ferdinando Camon
Tratto da Avvenire del 14 novembre 2010

Ci siamo. Non è l’arrivo, è soltanto un primo passo, ma nella direzione giusta. Da ieri notte è scattato l’obbligo, per tutti gli esercizi pubblici e locali d’intrattenimento che hanno il permesso di chiudere dopo le ore 24, di munirsi di un etilometro, col quale i clienti possano controllare se sono o non sono in condizioni di guidare. Se il tasso di alcol oltrepassa un certo limite, guidare è un pericolo mortale.

Questo limite è più basso di quanto si creda. Bastano 2 bicchieri di vino. Ora come ora, dopo la mezzanotte, specialmente di sabato, i clienti delle discoteche che guidano con rischio proprio e altrui sono troppi. Troppe morti assurde, auto che sbandano da sole, escono di strada, si rovesciano o si scontrano in curva: sono ragazzi giovani e sani, non muoiono per malattia, ma per eccesso di vitalità.

Non sono suicidi, non vogliono morire: vogliono vivere una vita super. Questo controllo, all’uscita dai locali, li avverte se quel 'super' scavalca il confine tra la vita e la morte. È un controllo parziale e insufficiente, perché comincia dopo le ore 24, e pone la domanda: e prima? Se uno lascia il locale cinque minuti prima, lo si ritiene in grado di guidare, su che base? E inoltre: corre alcol, nei locali del divertimento, o corre anche droga? Ho sempre nella memoria la sera in cui, in una mega-discoteca di Verona, decine di poliziotti con cani anti droga irruppero di sorpresa, e trovarono droga in polvere e in pasticche dappertutto, sui tavoli, sui divani, e specialmente nelle toilettes.

Anche uno che non ci va per drogarsi, poi si droga perché così fan tutti. Cosa vogliono ottenere, nei locali del divertimento, i nostri ragazzi?

Vogliono uscire dal loro corpo normale, il corpo da lavoro o da studio, quello in cui hanno passato i giorni dal lunedì al venerdì, ed entrare in un nuovo corpo, il corpo da godimento, nel quale passare la notte tra il sabato e la domenica. Ho descritto questo passaggio in un libro, e ne ho parlato nelle scuole per anni. È un passaggio rischioso. È un salto. Tu lasci un corpo, che ha una mente, dei nervi, delle reazioni, e ti permette delle sensazioni, ed entri in un altro corpo, che ha un’altra mente, altri nervi e ti dà altre sensazioni.

Quest’altro corpo raddoppia il godimento dei suoni, delle luci, del contatto, del ballo. Il salto da un corpo all’altro avviene rapidamente, ci sono sostanze che lo accelerano. L’alcol è una spinta, la droga è un urto. Il salto dal corpo da lavoro al corpo da godimento è un pericolo, ma il vero pericolo è il ritorno nel corpo da lavoro, quello che sei abituato a padroneggiare, e che ti permette di guidare. Troppi pericoli e troppi incidenti avvengono perché chi guida è ancora nel corpo da discoteca, stordito o accecato o esaltato. Non è necessario che si sia fatto uso di droghe pesanti: i lampi allucinanti e i tuoni dirompenti, che scuotono cuori e toraci, sono di per sé uno stordimento. Io parlo di corpo da lavoro, i ragazzi parlano di corpo da fatica, e rivendicano la necessità di uscirne fuori, una volta alla settimana. È esattamente quel che faceva il dottor Jekyll: anche per lui il problema non era uscire dal proprio corpo, ma rientrare. E infatti a un certo punto non è più rientrato. Che straordinario libro! Tutti lo prendono per un’anticipazione dello scontro Io-Es, che Freud stava scoprendo. Osservo, timidamente, che si potrebbe anche intenderlo come un’anticipazione dell’età delle droghe: Jekyll, in fondo, non maneggia sogni, ma sostanze chimiche. E il suo non è uno scontro tra una parte e l’altra dell’Io, ma tra l’Io e sostanze esterne. Se ci fosse stato un misuratore del sangue anche per lui, sulla porta del suo studio...

Fumo, l'età cruciale fra 13 e 15 anni La curva dei fumatori si alza all'improvviso dal 4% al 19%. Le donne sono in minoranza ma più perseveranti

MILANO - Gli anni cruciali sono tra 13 e 15. È l’età dello scatto. L’età delle sigarette. La curva dei fumatori si innalza all’improvviso salendo dal 4% (percentuale riscontrata sotto i 13 anni) fino al 19%. È in questa fase che, secondo gli esperti, andrebbero concentrati gli sforzi per svolgere interventi di dissuasione attraverso le scuole: «Le Regioni fanno già molto ma purtroppo non riescono a raggiungere tutte le classi con le campagne di prevenzione», dice Daniela Galeone, che da sempre si occupa di lotta al tabagismo al Ministero della Salute. I dati su giovani e fumo sono stati citati dal ministro Ferruccio Fazio. Lo spunto è il bilancio di "Help, per una vita senza tabacco", iniziativa della Commissione Europea, durata tre anni e rilanciata per il triennio 2009-2011. Colpiscono i numeri italiani, per la prima volta completi perché riguardano tutte le Regioni. Sono stati raccolti con questionari a 73mila ragazzi di terza media e primi due anni di superiori. I dati preliminari stanno per essere pubblicati sul sitowww.salute.gov.it, lo studio completo arriverà più avanti.

DONNE PIÙ PERSEVERANTI - Secondo Fazio per avere successo nelle attività di contrasto al fumo è fondamentale il contributo dei giovani che a loro volta potrebbero fare da sponda: «Bisogna convincerli con la persuasione, senza ossessionarli». La ricerca italiana fa parte di un’indagine internazionale promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. A 11 anni l’abitudine al fumo è ancora molto lontana. Ammettono di consumare una sigaretta a settimana l’1% dei maschi e lo 0,2% delle femmine. A 13 anni la percentuale aumenta: 4,14% dei maschi, 3,68% delle compagne. Poi il salto, unito a un secondo fenomeno non meno rilevante: tra 13 e 15 anni i maschi diventano il 19,08% e le donne il 18,42%. È l’età del sorpasso. Poi nella fase adulta gli uomini continuano a mantenere la prevalenza ma le donne, pur essendo in minoranza, sono le più perseveranti e difficilmente smettono. Quale può essere il contributo dei diretti interessati alle campagne di prevenzione? Gli esperti ritengono che sarebbe molto importante informarli dei trabocchetti messi in campo dai produttori di tabacco per conquistare il mercato dei più piccoli attraverso pubblicità occulta. La ricerca è stata elaborata dall’università di Torino e ha riguardato altre abitudini degli adolescenti. L’iniziativa Help ha coinvolto 26 Paesi: 26mila spot televisivi, 504 milioni di contatti di navigatori tra 15 e 34 anni nel sito web aperto dalla Commissione nel 2005.

Margherita De Bac
29 ottobre 2010


© Copyright Corriere della Sera

Ragazzina, occhio al «sexting» Nuovo brevetto Apple per arginare la pratica dello scambio di messaggini erotici tra cellulari

MILANO – Il sexting, ovvero la pratica di inviare messaggi con immagini sessualmente esplicite e testi inerenti al sesso, sta esplodendo e può creare molti problemi, alle star di Hollywood come a una normale ragazzina. La lotta al fenomeno è iniziata da tempo da parte dei Governi, dei genitori e persino dei brand tecnologici, come dimostra il recente brevetto di Apple .

HARD INTERCETTATO – La mela morsicata ha brevettato infatti una nuova tecnologia, chiamata Text-based communication control for personal communication device, capace di riconoscere segnali di sexting e inibirli sul nascere, attraverso il riconoscimento avanzato di una serie di parole ed espressioni proibite. La tecnologia viene proposta inoltre in associazione a una serie di filtri per migliorare la grammatica, in grado di identificare gli svarioni e segnalarli. Se implementata sul telefonino dunque la funzione dovrebbe intercettare qualsiasi riferimento hard. Chiaramente sarebbero mamma e papà a convertire il cellulare della prole, utilizzando l’intelligenza artificiale al posto delle prediche o delle campagne di sensibilizzazione.

PENSACI PRIMA DI INVIARE - Le istituzioni australiane hanno lanciato invece una campagna promossa su YouTube ((Think before sexting) ) e prodotta dal sito ThinkUKnow che ricalca l’iniziativa italiana Posta con la testa. La pubblicità è basata su un video che mostra gli effetti collaterali che può avere il fenomeno. Una ragazzina di 15 anni esce dal bagno e si scatta una foto osé con il cellulare, si riabbottona la camicetta, entra in classe, trafelata e felice, e sorride a un coetaneo (destinatario del messaggio erotico) ignara di quanto sta per succedere, lasciando intuire un rapporto intimo (passato o presente) con il ragazzo. Dopo pochi minuti, mentre il professore fa l’appello, Megan (questo è il nome dell’adolescente) inizia a intercettare da parte dei compagni una serie di sguardi (derisori, inorriditi, scandalizzati, eccitati), accompagnati da un bigliettino esplicito e da una serie di vibrazioni di vari cellulari. E improvvisamente capisce: il messaggino hard che aveva spedito al fidanzatino sta facendo il giro della classe, con la viralità tipica della tecnologia, inarrestabile e velocissimo. In quel momento il professore pronuncia il suo nome e cognome, Megan è in confusione, non riesce a rispondere all’appello e, proprio in quel momento, squilla il cellulare dell’insegnante. La foto nuda di Megan è arrivata anche a lui. La ragazzina piange umiliata e capisce che quel messaggio intimo e privato può arrivare a chiunque.

DIRTY PICTURE – Il Sidney Morning Herald riporta le dichiarazioni di esperti e autorità australiani, preoccupati della crescita e della normalizzazione di un comportamento molto rischioso, e cita uno studio ormai datato sulle proporzioni del fenomeno nel 2008, anno in cui riguardava già il 39 per cento dei ragazzini australiani. Del reso, come spiega l’esperta di problemi infantili ed ex funzionario della polizia, Susan McLean, il rischio è che questa prassi si vada diffondendo, facendo perdere ai teenager la percezione della sua pericolosità: «Finché star come Kesha canteranno Dirty Picture, pronunciando frasi come "Allora scatta una fotografia sconcia per me", i giovani penseranno che fare sexting sia semplicemente normale».

Emanuela Di Pasqua
28 ottobre 2010


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I giovani e il bisogno di certezze

Tratto dal sito Cultura Cattolica.it il 19 ottobre 2010

Accade che una lezione sul “Purgatorio” di Dante diventi sorprendentemente un avvenimento.

L’altra mattina nella mia quarta introducendo il “Purgatorio” parlavo delle tre parole chiave della cantica: l’amore, il perdono e la misericordia, la libertà.

A tema della “Divina Commedia”, dicevo, c’è una domanda grandissima: tutto quello che di bello e di vero desidero, che amo e stimo sopra ogni cosa (la mia felicità, il bene per la persona che amo, il rapporto con un carissimo amico) durerà per sempre? Si realizzerà pienamente, totalmente? O tutto si corromperà e finirà nel nulla? Dante risponde con una certezza: la vita è per un positivo perché tutto esiste per amore. Ho citato don Giussani che a questo proposito afferma: “Non è tragedia la vita: la tragedia è ciò che fa finire tutto nel niente, la vita è dramma: è drammatica perché rapporto fra il nostro io e il Tu di Dio, il nostro io che deve seguire i passi che Dio segna”. E aggiunge: “L’arte anticipa qualcosa dell’eterno”. La poesia di Dante anticipa qualcosa a proposito del nostro destino: la vita o è certezza di essere amati o è tragedia; o è responsabilità, risposta di fronte a un Tu che ti stima infinitamente, o è il nulla; o è un dialogo o è una tragica solitudine, l’esperienza più diffusa ai giorni nostri anche tra i giovani.

La stessa cosa si può dire per l’esigenza del perdono e della misericordia: la vita è letizia, è positiva in qualunque situazione ci troviamo se abbiamo la certezza del perdono, di una presenza misteriosa che ci accoglie e ci perdona sempre, gratuitamente, senza chiedere nulla in contraccambio. Non c’è male, non c’è peccato, non c’è delitto che non possa essere perdonato, neanche la tragica uccisione della giovane Sara di Avetrana. L’unico peccato che non può essere perdonato è il peccato contro lo Spirito: Dio non esiste, o se per caso esiste non mi può perdonare, l’abisso della disperazione.

Dante dice a ciascuno di noi: “Franco, Laura, Stefania… tocca a te decidere: con sulle spalle il carico pesante del tuo male, dei tuoi limiti, della tua istintività o ti affidi con fiducia alla misericordia infinita di un Padre che perdona, o ti perderai sotto i colpi della disperazione e della solitudine.

Oppure puoi fare come fanno molti: evitare di guardare in faccia al tuo male, incolpando gli altri, la società o peggio affidandoti passivamente a tutto ciò che il potere ti offre per non pensare al tuo male, per non pensare a niente: ma una posizione così non può durare nel tempo”.

A quel punto una alunna, Giulia, alza la mano e chiede: “Ma lei, prof, ha delle certezze?” E io a lei: “Certezze a proposito di che cosa?” Lei risponde: “Certezze a proposito dell’esistenza di Dio, della Sua presenza?” Io le dico: “Ma perché mi chiedi questo?” Lei risponde: “Perché io ho molti dubbi. Per questo le volevo chiedere: ma lei come ha fatto ad arrivare a delle certezze su Dio?”

Le ho detto: “Guarda, non mi interessa dirti qualcosa da un punto di vista teorico, posso raccontarti la mia esperienza. Io sono arrivato ad avere delle certezze in tre modi: prima di tutto osservando, stando attento alla realtà che mi circonda, lasciandomi provocare dalla sua bellezza (un tramonto, un cielo stellato, il viso di una bella donna, una sinfonia) e ponendomi della domande: se non ho fatto io tutte queste cose che mi affascinano per la loro bellezza chi le ha fatte? E perché il mio cuore si emoziona, si esalta alla vista di queste cose? Chi ha fatto il mio cuore così? Perché sono fatto così?

Poi quando ero giovane ho incontrato qualcuno che mi ha detto: “C’è un uomo nella storia che ha detto: “Io sono la verità, la via, la vita. ” Che è come dire: “Io sono la tua felicità”. Sentire delle simili parole mi ha cambiato la vita, mi è venuto un gran desiderio di conoscere e di scoprire quell’Uomo che prometteva quel che da sempre desideravo, che mi offriva quella certezza che dava un senso, una prospettiva infinita, una speranza a tutte le cose che più amavo. Mi è apparso subito chiaro che la cosa più semplice per conoscerlo era quella di stare, di diventare amico di chi mi aveva comunicato una notizia così decisiva, di chi aveva spalancato la mia vita a un orizzonte che comprendeva e valorizzava tutti i miei interessi. Da allora la mia vita è stata una continua scoperta.

Infine ho avuto la grazia di conoscere, di incontrare dei santi sia direttamente, sia leggendo le testimonianze della loro vita. I santi sono delle persone che avendo incontrato Cristo hanno dato tutto per Lui, mostrando a tutti per che cosa vale la pena vivere. Ad esempio, mi ha sempre colpito la vicenda che tutti conosciamo di San Massimiliano Kolbe. Ha detto alle SS che aveva di fronte: “Prendete me, uccidete me al posto di quel padre di famiglia che avete scelto”. Ho subito pensato: o uno così è un pazzo, o grazie alla compagnia di Gesù, ha sperimentato e ha capito che la vera vita, quella che non finisce, che non delude non è quel breve lasso di tempo costituito dalla vita terrena, ma è quella che Gesù ci ha promesso e ci ha manifestato con la sua Resurrezione. ”

Giulia e il resto della classe si sono dimostrate molto colpite dalle mie risposte.

Allora all’intervallo ho detto a Giulia: “Mi piacerebbe iniziare con te e con le persone che hanno la tua stessa esigenza un cammino per arrivare a quelle certezze che ti stanno tanto a cuore”. Lei ha risposto: “Anche a me piacerebbe”. E io a lei: “Allora ci vediamo presto”. Da quel momento diverse compagne hanno manifestato lo stesso desiderio.

E’ stata la grazia di un’ora di scuola che ha saputo toccare l’esigenza più profonda del cuore di un gruppo di giovani, perché una persona senza certezze non si ritrova più. Quella delle certezze è veramente la più grande e affascinante sfida per noi educatori.

Alcol, un giovane su tre beve troppo

Milano - Sono giovani, maschi, con un livello di istruzione medio-alto, pochi problemi economici e residenti dalle regioni del Nord Italia. È il ritratto dei nuovi bevitori di alcol a rischio che in Italia sono più di uno su tre tra gli under 24.

"Binge drinking" L'identikit del moderno bevitore è stato tracciato dal rapporto nazionale Passi 2009 dell’Istituto superiore di sanità. Secondo i dati il 56,7% degli adulti tra i 18 e i 69 anni può essere considerato bevitore e il 18% è un consumatore a rischio perché beve alcol al di fuori dei pasti oppure lo consuma in singoli episodi di "binge drinking", quando cioè si assumono sei o più unità alcoliche (pari a una lattina di birra o a un bicchiere di vino) in una volta sola.

"Mercato troppo accessibile" Secondo Emanuele Scafato, direttore dell’osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore di sanità, non si sono valutati correttamente i possibili sviluppi del "binge drinking", "non si è tenuto conto delle mode e delle strategie di mercato che le sostengono - ha detto Scafato - e oggi ai nostri giovani è stato reso più economico e conveniente il consumo di alcol".

Giovani e nordici Dati ancor più preoccupanti arrivano osservando il segmento dei giovani tra i 18 e i 24 anni. Il 36% di loro è un bevitore a rischio e la percentuale scende al 25% tra i 25-34enni. Ci sono alcune variabili che caratterizzano questi consumatori: sono prevalentemente maschi (22% contro il 14% delle donne) hanno il diploma o la laurea (20% rispetto al 17% con una licenza media e 12% con quella elementare o nessun titolo di studio) e non hanno nessuna difficoltà economica (20% rispetto al 16% che ne ha qualche o addirittura molte). Il bere forte, poi, è un’abitudine diffusa soprattutto al Nord. Nella provincia autonoma di Bolzano i bevitori a rischio sono il 41% rispetto all’8% della Campania.



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Diciotto anni, l'età più bella?

Andrea Caccia parla di «Vedozero» il suo film girato con settanta telefonini affidati ad altrettanti ragazzi. L'amore, le notti in discoteca, la prima volta, la scuola e la famiglia ... Un ritratto dell'adolescenza alla prima persona collettiva che rovescia i luoghi comuni sui giovani. «Sono partito dall'idea che si può raccontare il mondo a partire da se stessi»

di Cristina Piccino

Credi negli angeli? Nei miracoli? In Dio? Provate a andare su www.vedeozero.it, il trailer mostra facce di adolescenti, sedici, diciotto anni, che si raccontano col telefonino. Filmano le loro giornate di infinito muoversi contemplando le All star viola. O la pelle bruciata sotto la lampada il giorno prima di andare al mare. Si scambiano anellini col fidanzato a cui tolgono le sopracciglie ... Amore, amore, e la prima volta? «Non mi ricordo quale è il tuo fiore preferito» digitano le parole veloci sullo schermo del cellulare. Diciotto anni, pensavo che non ci sarei arrivata. E adesso? Non voglio fare l'operaio o l'impresario, pagare tutto coi buoni pasto come mio padre. La scuola si sente solo nello sbuffo, materie in debito o elenchi infiniti di interrogazioni. La classe non si vede mai, le ragazzine si filmano nei bagni, una sola volta, mentre scappano. I genitori pure ci sono poco. Un padre cucina, la mamma guarda Amici, il padre di un'altra si fa fotografare per la campagna elettorale. A parte il permesso per la discoteca non ne parlano mai dei genitori. Il loro essere sono fantasie, momenti di noia, paure segrete. I maschi un po' più ragazzini che giocano a pallone con la bottiglia di aranciata. Le notti in discoteca, il gelato e le pasticche. Le confidenze alle amiche, la voglia d'estate, le unghie sempre colorate.La musica e quello stare insieme complice, un po' infantile eppure già così esclusivo.
Vedozero è stato girato da settanta ragazzi «armati» di settanta cellulari. Andrea Caccia, il regista, lo ha realizzato con Roadmovie, e grazie al bando di produzione indetto dalla provinca di Milano (ancora di centrosinistra) due anni fa. Le scuole che hanno accettato di partecipare sono tre licei tra Monza, Vimercate e Rho, lì Caccia ha cominciato a lavorare coi ragazzi chiedendogli di raccontarsi. Il film è dunque un «quasi-diario» collettivo, composto di frammenti in cui sguardi e sensibilità diverse tracciano un 'immagine dell'adolescenza che non è quella delle statistiche. È invece una dimensione di complessa tenerezza, piena di sfumature, confusa, fragile. Con infiniti momenti assoluti, la notte, il fidanzato, essere belli, la discoteca. Tutto però, anche la droga, perchè ne parlano, senza retorica, con un 'immediatezza che cresce insieme alla coscienza della propria immagine. Non è il telefonino «filmare-per filmare» ma dietro c'è una riflessione continua su come usare il mezzo a disposizione, cosa filmare, dove indirizzare lo sguardo. Sono questi infatti i punti fondamentali che Caccia, lasciandoli poi liberi, ha voluto insegnargli. Il gesto di filmarsi per comprendere il mondo, dice. E questa è anche l'essenza del suo cinema fatto da una continua ricerca sull'immagine, formati e emozioni, grana visuale e senso profondo. Il film, già in sala al cinema Palestrina di Milano, sarà a Roma (11-12-14) al Nuovo Aquila, e poi in altre sale, quelle che accettano ancora la scommessa della distribuzione indipendente, a cui serve tempo e molto amore.
Come sei arrivato all'idea di un film collettivo girato col cellulare?
Il telefonino ha sicuramente cambiato la nostra vita, per certi versi anche in peggio forse ... Comunque adesso è una macchina da presa che permette di girare liberamente. Ho cercato subito di far capire ai ragazzi che dietro all'immagine c'è un pensiero soprattuto per loro che sono bersagli continui di un cattivo uso dell'immagine. Anche per questo ho preferito lavorare con ragazzi un po' più grandi, tra i sedici e i diciotto anni, il discorso era un po' complesso, non si trattava semplicemente di arrivare in classe e dire facciamo questo o quello. Volevo che capissero che il cinema è uno strumento per comprendere il mondo a partire da sé stessi.
Ci sono state difficoltà pratiche? E che riferimenti hai proposto ai ragazzi?
All'inizio ci hanno detto che a scuola non si poteva usare il cellulare, il che è assurdo visto che eravamo lì per girare un film col cellulare. Poi abbiamo trovato un accordo. Il primo giorno gli ho fatto vedere La verifica incerta di Grifi. Erano sconvolti. Per loro non era assolutamente un film. Ma appunto a me interessava che arrivassero a un'assunzione di responsabilità. Così quando gli ho dato il cellulare gli ho detto di non usarlo come uno strumento per guardare gli altri ma per raccontarsi. Dovevano capire che dietro a ogni immagine c'è un processo che veicola un senso.
In che modo avete organizzato i materiali?
Abbiamo aperto un sito, lì caricavano le immagini e io e il montatore le guardavamo. Non sono mai stato sul set. C'era una discussione in classe con me o con altri della troupe. Non tutti hanno risposto allo stesso modo. L'idea era quella di un film che raccontasse cosa significa avere diciotto anni. Quando ascolto le domande che seguono ogni proiezione di Vedozero penso di avere colpito nel segno. Alcuni si riconoscono, altri no, è stato bello quando una ragazza ha detto a un altro: «Non sei come credi di essere». I ragazzi sapevano da subito che non sarebbe stato un film su ciascuno di loro ma sulla loro età. Alla fine ci siamo trovati 4000 minuti di girato, ognuno aveva a disposizione un minuto, era la soluzione più semplice per gestire il sito. Ma anche per spiegare che il cinema è fatto di tante inquadrature.
E come sei arrivato a trovare una direzione?
Osservavo il loro percorso attraverso i video che mandavano, le cose apparivano in percentuali diverse. La scuola non c'era quasi mai e così i genitori o il sesso il che alla loro età non mi sembra possibile. Non si trattava però di ricucire questi momenti al montaggio, non era una storia che cercavo. Mi piaceva mantenere la fragilità del chiaroscuro, l'ingenuità, la delicatezza. Le droghe nei loro filmati ritornavano tante volte quante il gelato. Le ho messe dentro come altre cose ma senza sottolineare. Diciamo che ho cercato il mio sguardo nei loro. Per questo penso che è un film fortemente autobiografico anche se non l'ho girato io.

«Il manifesto» dell'8 ottobre 2010