In Olanda è già in vigore la legge che permette l’eutanasia al  malato grave che ne esprima la volontà; la proposta di permettere  l’eutanasia a  coloro che hanno compiuto i settanta anni, equiparando in pratica tale  età ad  una malattia grave, è purtroppo un’altra temibile prova della facilità  con la  quale gli uomini si abituano, una volta superato un “confine”, a  considerare  normali i comportamenti della propria cultura senza più percepirne i  significati.
I costumi sociali si formano molto lentamente e l’idea  che sia  la società (lo Stato) ad avere il diritto di fermare la vita  dell’individuo  espellendolo dall’attività, viene da lontano. E’ implicita, infatti, nel   concetto marxista del “lavoro” come unico scopo di vita, e nell’obbligo  dell’età  della pensione, un obbligo che spesso “uccide”, quando non fisicamente,  psichicamente e moralmente. Invece di prendere atto della rivoluzione  che la  nuova durata della vita ha portato con sé, lasciando libera la persona  di  svolgere la propria attività fin quando voglia e regolamentando in modo  diverso  tutto il sistema pensionistico, gli Stati esitano a compiere i passi  indispensabili in questa direzione e addirittura l’Olanda sembra voler  prendere  il posto di Dio o della Natura, fissandola a settanta anni. Si dirà che  c’è una  raccolta popolare di firme a richiederlo, ma sappiamo tutti molto bene  che il  “popolo” da sé non sa e non può fare nulla: sono gli organizzatori veri  quelli  che contano, non quelli che appaiono. Sicuramente saranno proprio questi   organizzatori, se non lo farà lo Stato olandese, a sottoporre la  proposta di  legge al Parlamento europeo. In quel caso tutti i cittadini d’Europa ne  diventerebbero responsabili.
L’idea che l’Europa sia ormai una  civiltà in  declino è molto diffusa. Forse è giunto il momento di riflettere  seriamente su  questa convinzione, cercando di guardare a noi stessi nel modo più  oggettivo  possibile. La prima prova di questo declino, la più certa, per quanto  possa  sembrare il contrario, è l’aver fissato gli indicatori dello “sviluppo”  nel  campo di una economia ristretta al mercato, alle merci, alle monete, un  campo  nel quale non rientra nessuna delle qualità che hanno caratterizzato per  secoli  la civiltà europea e che conduce a considerare “morti viventi” quelli  che non  producono. E’ un PIL in termini di “pensiero” quello di cui abbiamo  bisogno e  che forse siamo ancora in grado di recuperare.
Ida  Magli
(c) Il Giornale, 13 aprile 2010