l cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo metropolita di Genova è diventato noto all'opinione pubblica italiana da quando guida la Cei, dopo gli anni del cardinal Camillo Ruini. Un'eredità pesante, che Bagnasco, negli anni del dibattito perenne in tv e online, gestisce con l'aplomb di sempre. Il suo volto appare adesso nelle occasioni importanti e nei momenti caldi di discussione: pochi però conoscono il Bagnasco che è stato a capo degli scout cattolici, l'Ordinario militare italiano, il «cappellano» delle nostre Forze armate che con il grado di generale ha servito durante la seconda guerra del Golfo e nella campagna di Afghanistan, per non dire del teologo che organizzava i corsi su «Metafisica e ateismo contemporanei ». Il cardinal Bagnasco ha risposto in un colloquio online alle domande del Sole 24 Ore.
Eminenza, la crisi economica pone i temi del lavoro, dell'economia, del territorio al centro del dibattito. La Chiesa svolge un proficuo lavoro di solidarietà, ma non può sopperire all'intera rete di welfare sociale. Qual è il suo pensiero in questa dura stagione?
La crisi economica non ha ancora mostrato tutti i suoi effetti. Per questo la Chiesa si muove su due fronti. Il primo è quello della solidarietà con chi, persone e famiglie, vive il dramma della perdita del posto di lavoro, della chiusura o dislocazione di un'impresa. A questo proposito, oltre al "Prestito della speranza" che dallo scorso autunno ha cominciato ad erogare le sue risorse a livello nazionale, sono nati pure oltre 160 fondi di solidarietà, a livello diocesano, con l'obiettivo di aiutare chi sta in difficoltà, ma anche di accompagnare una riqualificazione delle persone, italiane e straniere, che vivono il dramma della precarietà, che è cosa ben diversa dalla flessibilità. Il secondo fronte della nostra azione parte dalla consapevolezza, più volte ribadita da Benedetto XVI, che la crisi economica è anche una crisi culturale e sociale, che chiede un impegno più deciso negli stili di vita e di consumo, ma anche nella partecipazione alla vita politica. Per citare un famoso testo del cardinal Siri, è necessaria, come nell'immediato dopoguerra, «una ricostruzione della vita sociale». Ciò significa rimettere al centro dell'attenzione di tutti, oltre le doverose riforme istituzionali, anche la dignità della persona e in primo luogo il diritto alla vita, quindi i diritti dei lavoratori, la partecipazione agli utili anche in forme nuove rispetto alla cooperazione, la mobilità.
Nella nostra società post-industriale si sono allentati i vincoli di comunità, vicinato, perfino familiari e gli individui si sentono soli nelle grandi metropoli. Una solitudine che è esistenziale ma anche sociale, economica. Quanto la preoccupa questa condizione del XXI secolo?
È un processo che viene da lontano e coincide con le grandi trasformazioni socio- economiche, che hanno sempre dei costi sociali, spesso occultati. Per questo la Chiesa non ha fatto mai mistero di una sua convinzione: occorre rimettere al centro le relazioni e in particolare sostenere e far crescere i legami familiari. La povertà e la disperazione aumentano dove c'è solitudine ed individualismo, dove non c'è sicurezza sociale, dove non si investe in educazione ed accompagnamento sociale, dove mancano luoghi di aggregazione e di confronto, dove il cielo si chiude perché manca una prospettiva di senso. A me che vivo a Genova, ad esempio, sta a cuore che la città non diventi anonima e non perda la sua originalità storica e culturale. Una società fragile e frammentata finisce per annullare se stessa e non aiuta nessuno, però può essere manipolata meglio. Occorre ricostruire la città non come il luogo dei consumi o dei diritti privatistici, ma come il luogo degli incontri e delle responsabilità condivise.
Studiosi americani come Sabel, Pioree Bluestone hanno parlato di «società spezzata », di «società clessidra», divisa tra la parte alta di chi ha il sapere per prosperare nelle nuove tecnologie e chi invece resta indietro nei lavori umili e malpagati. È un viaggio senza ritorno?
Non è affatto un percorso irreversibile, come qualsiasi condizione storica. Esiste però ed è sotto gli occhi di tutti, anche a casa nostra, un divario. Ancor più inaccettabile se si pensa al fatto che le nuove tecnologie hanno massimizzato i profitti e le possibilità di crescita. Non per tutti però e non in ogni luogo, come suggerisce l'immagine della clessidra. Ciò conferma che il progresso economico non coincide automaticamente con lo sviluppo umano. Ancora una volta c'è di mezzo laresponsabilità che non può essere scavalcata in nome delle "ferree" leggi dell'economia, che spesso sono solo il paravento di inconfessati interessi. Come efficacemente ha detto Benedetto XVI, la globalizzazione "ci rende vicini, ma non fratelli". Ciò significa che il divario permane se non viene assunto anche un altro punto di vista che tradotto in termini politici è quello del bene comune. Se ognuno tira dritto per la sua strada le differenze sono destinate ad approfondirsi, ma la clessidra alla fine si spezzerà.
Senza emigrazione l'intera società europea si fermerebbe subito. Eppure il boom di immigrati, spesso di religione diversa dalla nostra e islamici, ha suscitato reazioni di rigetto, in Italia e altrove. L'emigrazione è opportunità ma come facilitare, senza traumi eccessivi, l'integrazione?
La mobilità è un elemento che sempre più sta caratterizzando le comunicazioni e gli incontri di oggi, ma anche la trasformazione dell'Occidente. L'immigrazione sta ridefinendo l'Europa. Ad esempio: oltre la metà degli ormai cinque milioni di immigrati in Italia sono europei o dell'area europea; oltre la metà degli immigrati sono cristiani e stanno aiutando il cristianesimo europeo a recuperare un respiro – come amava dire Giovanni Paolo II – a due polmoni, orientale e occidentale, ma anche, possiamo dire, del nord e del sud del mondo.L'immigrazione sta facendo incontrare tradizioni religiose e culturali; sta mostrando dal di dentro delle nostre città i volti e le storie di fame, di povertà e di guerra, di disastri ambientali che attraversano il mondo. L'integrazione si costruisce rafforzando l'incontro, le relazioni, le conoscenze reciproche, coniugando strettamente identità e differenza, secondo la tradizione del pensiero teologico e sociale della Chiesa. La città deve investire non su luoghi di esclusione, ma di incontro, anche sul piano urbanistico e sociale. La scuola infine è laboratorio importante per coniugare l'educazione con l'integrazione.
L'Italia è ormai due paesi, il Nord area tra le più sviluppate al mondo, il Sud che stenta a ripartire. Siamo alla vigilia di una stagione di federalismo fiscale: la Chiesa cattolica come si pone davanti al divario Nord-Sud?
La questione meridionale è stata affrontata in un nostro recente documento che, mentre segnala le distanze tra Nord e Sud del paese, segnala al tempo stesso le grandi potenzialità in termini culturali del Meridione. A 150 anni dall'unità d'Italia,il federalismo, se coniugato fortemente con la solidarietà, può costituire una nuova opportunità per la crescita del paese. Solo insieme, un Nord oggi caratterizzato dalla stabilitàe un Sud dalla mobilità, possono aprire nuove strade nella ricostruzione della vita sociale e politica dell'Italia in Europa. La sicurezza dei giovani, la qualità dei servizi, la tutela del territorio, la valorizzazione ambientale possono aiutare a "camminare insieme" in un progetto politico anche federalista che eviti nostalgie corporativiste ed alimenti,dentro la medesima identità culturale e l'unico quadro costituzionale, la tutela dei diritti delle persone: alla vita, al lavoro, alla salute, alla scuola...
Eminenza, è forte l'eco delle polemiche sulle accuse di pedofilia, rivolte in vari paesi contro esponenti cattolici. I toni più acerbi si sono rivolti perfino contro il Santo Padre, difeso con passione da più parti – anche laiche – mentre non sono mancate critiche anche dall'interno della Chiesa sulle risposte da dare. Qual è il suo pensiero, davanti alle polemiche e alle vittime dello scandalo?
La pedofilia –come ho avuto modo didire più volte in queste settimane- è un crimine odioso. Ed è pure un peccato scandalosamente grave che tradisce il patto inscritto nel rapporto educativo; perciò è sempre qualcosa di aberrante e, se commessa da una persona consacrata, acquista una gravità ancora maggiore. Benedetto XVI, al quale rinnovo l'affetto e la vicinanza dell'episcopato e dell'intera Chiesa italiana per accuse tanto gratuite quanto infamanti di cui è fatto oggetto, ha intrapreso, non da oggi, una severa azione di autoesame che conduca la Chiesa a purificare se stessa da singoli membri che ne hanno dolorosamente offuscato l'immagine e la credibilità. Ma questa vigorosa opera di pulizia – che comprende ovviamente una leale e corretta cooperazione con la magistratura – non può cancellare la sofferenza e il disincanto delle vittime: bambini e giovani che sono stati traditi nel loro spontaneo affidarsi. Verso ciascuna delle persone violate, verso le loro famiglie, provo vergogna e rimorso, specie in quei casi in cui non sono state ascoltate da chi avrebbe dovuto tempestivamente intervenire. I casi acclarati di non governo e di sottovalutazione dei fatti, quando non addirittura di copertura, dovranno essere rigorosamente perseguiti dentro e fuori la Chiesa e, come già accaduto in alcuni casi, dovranno avere come effetto l'allontanamento e il dimissionamento delle persone coinvolte.
Vari organi di stampa hanno criticato la gerarchia della Chiesa italiana per le recenti prese di posizione durante la campagna elettorale per le regioni. Lei ha sempre ribadito che si tratta di scelte etiche e non politiche: perché?
Detto sinceramente trovo sorprendente ogni volta, soprattutto quando ci sono scadenze elettorali, essere strattonato a destra o a manca. La Chiesa agisce e dà il suo contributo nella quotidianità e non cambia priorità ed attenzioni a seconda delle circostanze.
La Cei, e lei come presidente, venite spesso tirati in polemiche dalle fazioni politiche: se i vescovi si esprimono su Sud, emigrazione e lavoro saranno applauditi da una parte, se intervengono su eutanasia, pillola abortiva, morale sessuale, da un'altra. Quanto è difficile per lei districarsi tra le contrapposte strumentalità?
Più che difficile è deprimente vedersi dipinti, in base ai temi in gioco, come legati a patti, convenienze, strategie. La Chiesa non potrà mai essere schiacciata su una parte perché è per definizione di tutti. Ciò non toglie che possa essere contestata dall'una o dall'altra parte per le sue analisi che hanno sempre delle ricadute sul piano storico. La Chiesa – come dice la Caritas in veritate (n. 9): «non pretende minimamente di intromettersi nella politica degli Stati. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione».
Papa Giovanni Paolo II spese l'ultima fase della sua vita impegnandosi contro il materialismo e il consumismo delle società opulente. La preoccupa una società che sembra finire preda di un nichilismo impotente?
Sono preoccupato, ma fiducioso. Colgo infatti elementi di novità soprattutto tra i giovani, desiderosi di cambiamenti a partire da una vita più essenziale ed autentica. E sono sempre ammirato dalla gente comune, spesso nascosta nelle grandi narrazioni mediatiche, che vive un'esistenza generosa, all'insegna di pochi e radicati valori: la famiglia, il lavoro, la solidarietà, la ricerca religiosa e la fede. Il nichilismo ha il fiato corto non solo razionalmente perché indimostrabile, ma ancor più su quello esistenziale, perché la vita è molto più interessante delle sue negazioni.
Molte delle spinte nichiliste e populiste allignano sulla rete e internet, rilanciate da mille siti. Eppure sulla rete si diffondono anche siti di solidarietà, cultura, informazione e comunità, elogiati di recente sul Sole 24 Ore dal Cardinal Martini. Qual è il suo giudizio dei new media che ospitano anche questo nostro dialogo?
I media sia i vecchi, come il giornale e la radio, sia i nuovi come il cellulare e il Pc attestano un desiderio profondo che è quello della relazione. Anche la Rete, come ogni fenomeno umano, ha le sue potenzialità e pure le sue ambiguità. Ma certamente è un ambiente dentro il quale può crescere la nostra umanità, soprattutto se impareremo dai giovani ad integrare sempre di più lo stare " connessi" con lo stare con gli altri. Il virtuale non è necessariamente alternativo al reale, ma può essere un enorme potenziale per il dialogo e l'amicizia tra i popoli e le singole persone.
© Copyright Il Sole 24 ore 11 aprile 2010