DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Guerra alla Chiesa: il Medioevo dei laicisti. di Giancarlo Perna

Assistiamo a una specie di ritorno al passato a ruoli rovesciati: oggi siamo oppressi dalla prepotenza di chi combatte il cattolicesimo con toni da Inquisizione. E la vicenda dei preti pedofili diventa lo spunto per distruggere duemila anni di storia

Tutti si sentono in diritto di sbertucciare la Chiesa e fare sberleffi al Papa. I concittadini di Ratzinger imbrattano la sua casa natale e i maltesi lo accolgono con manifesti offensivi. Con la scusa dello 0,03 di preti pedofili - questa la percentuale dei viziosi sul totale degli ecclesiastici - si è partiti lancia in resta contro duemila anni di storia. C’è in questa ventata distruttiva qualcosa di così nevrotico e apocalittico da fare temere che in troppi abbiano perso la trebisonda. I laici dimenticano la loro essenza - la razionalità - per combattere la Chiesa con i toni del fanatismo inquisitorio: o ti penti o ti brucio.
L’artificiosità della diatriba sui preti pedofili è dimostrata da questo. Per l’errore di pochi, si mette in discussione la Chiesa nella sua totalità. Il Papa, le gerarchie, il culto, la missione che si è data, il ruolo che un miliardo di esseri umani le attribuisce. Non si fa però altrettanto con lo Stato, l’omologo laico della Chiesa. Accade ogni giorno che funzionari rubino, politici si arricchiscano, magistrati esercitino sadicamente il potere, militari rinneghino il giuramento. A nessuno però viene in mente di dire: è lo Stato che ruba, che spergiura, ecc. Semmai, subisce. Si puniscono gli individui che hanno sbagliato, non si abbatte l’edificio. Non si confonde il frammento con l’intero come invece si sta facendo con la Chiesa. Eppure è anch’essa, come lo Stato, la prima vittima delle infedeltà dei suoi rappresentanti. Si dice: la Chiesa non è più credibile perché predica la castità e poi la infrange. Ma vale anche per lo Stato: impone la legalità e poi la viola. Posizioni identiche e conseguenze opposte: pollice verso per l’una, indulgenza per l’altro.
Due pesi e due misure, più una grave intolleranza per qualsiasi tentativo di autodifesa cattolica. Quando un ecclesiastico ha cercato di distinguere tra i pochi preti pedofili e il corpo sano della struttura, si è finto di fraintenderlo moltiplicando le polemiche. È successo col predicatore apostolico, padre Raniero Cantalamessa. Il barbuto cappuccino ha detto che «il passaggio dalla responsabilità e colpa personale a quella collettiva ricorda gli aspetti più vergognosi dell’antisemitismo». Non fa una piega. La molla dell’Olocausto fu appunto addebitare a un intero popolo il pregiudizio contro alcuni. Lo sbaglio di Cantalamessa è stato quello di usare un espediente retorico. Ha attribuito la frase a un ignoto «amico ebreo» anziché dire che l’osservazione era farina del suo sacco. Apriti cielo. Si è sparato a zero sul cappuccino accusandolo di citare a sproposito la Shoah, di sublimare le brutture della chiesa pedofila con l’accostamento a una dramma universale, ecc. Tanto si è fatto - nel desiderio di dare comunque addosso ai cattolici - che l’argomentazione è stata travolta da un polverone senza neanche valutarla. Eppure Cantalamessa aveva denunciato con precisione l’espediente usato per mettere la Chiesa in cattiva luce: estendere a tutto il clero le colpe di una sua frazione.
Spacciare la parte per il tutto. Un trucco logico, vecchio come il cucco, adoperato dai disonesti per annichilire il nemico. Se ne sono serviti i nazisti contro ebrei e zingari, i sovietici contro i kulaki, la monarchia francese contro i Templari ribaltando su di essi le presunte colpe del loro capo De Molay, i giacobini contro la nobiltà, i turchi contro gli armeni. Gli esiti sono stati diversi. Relativi - si fa per dire - in alcuni casi. Incommensurabili con gli ebrei. Ma l’argomento è sempre stato lo stesso: fare pagare a tutti le presunte colpe di pochi, legando irrazionalmente gli uni agli altri col filo ignobile della responsabilità collettiva.
La verità è che - al di là di qualche ombra - alla Chiesa si manca ormai impunemente di rispetto. Si chiama in causa il Papa, anche se non c’entra niente, e lo si usa come un punching ball. È stato trattato come se il pedofilo fosse lui o, almeno tanto complice, da confondersi con loro. Una specie di responsabilità oggettiva per essere il capo di una struttura che contiene al suo interno quattro malfattori quattro. Un’idiozia equivalente a prendersela con Napolitano, numero uno della Repubblica, perché un funzionario intasca una mazzetta o un maestro adesca un ragazzino.
D’accordo che il mondo è secolarizzato ma qui si esagera. Di questo passo, l’esplosione del laicismo finirà per affossare la laicità e la sua nobile storia. Ogni volta che la Chiesa apre bocca si grida all’ingerenza. Anche se l’intervento riguarda la sfera morale e familiare, essenziali per l’etica religiosa: divorzio, aborto, concepimento, fine vita. Poi, però, gli stessi che gridano all’ingerenza ficcano il naso nelle cose della Chiesa. Se il Papa predica l’astinenza agli africani in alternativa al preservativo, si inalbera Angela Merkel accusando il connazionale di diffondere l’Aids come un untore. Se il cardinale Bertone attribuisce la pedofilia di alcuni preti alla loro latente omosessualità, salta su Sarkozy che lo incolpa - cadendo nell’ennesima generalizzazione - di coinvolgere indiscriminatamente i gay. Nessuno si chiede invece se Bertone - prete tra i preti - sappia con esattezza quel che dice conoscendo certamente meglio di Sarkozy episodi e protagonisti della pedofilia nella Chiesa. Se la Congregazione apposita vuole fare santo Pio XII, si mette di traverso un rabbino. Se pensa di beatificare De Gasperi si intromette Silvius Magnago, l’ex capo della Suedtiroler Volkspartei, che gli rinfaccia di avere impedito il ritorno dell’Alto Adige all’Austria. Se un biblista afferma che il diavolo esiste, si catapultano Piergiorgio Odifreddi, Margherita Hack e l’Associazione degli sbattezzati per bollarlo di oscurantismo.
La Chiesa, per suoi mazzolatori, è una specie di paradiso fiscale che va abbattuto perché antistorico. I credenti, frastornati da tante variopinte accuse, si chiedono se aderiscano ancora a una fede o non invece a una comunità di avventurieri. A migliaia - succede in questi giorni in Germania e nella già cattolicissima Baviera - meditano lasciarsi alle spalle la religione degli avi.
Per me, da agnostico, è il trionfo della prepotenza e una perdita secca di libertà. Per tutti è un ritorno al medioevo a parti rovesciate: non più plagiati dalla Chiesa ma oppressi dal laicismo.

© Copyright Il Giornale, 20 aprile 2010