DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

I neodarwinisti sono la prova scientifica dell’esistenza di Dio

Tra pochi giorni uscirà il libro di
Jerry Fodor e Massimo Piattelli
Palmarini “Gli errori di Darwin”
(Feltrinelli).

Adolescente leggevo con gran diletto
“L’Origine delle specie” insieme ai
libri di Verne e di Salgari, sicché ora le
ben articolate argomentazioni pro o
contro l’opera di Darwin mi suonano
comicamente surreali, come se qualcuno
mi dicesse che è storicamente dimostrato,
ma anche no, che la Tigre della Malesia si
è scopata la Perla di Labuan. Darwin,
Anassimandro, Lucrezio, Agostino,
Newton, Marx, Freud... sono
incorreggibili. Darwin è assai più di un
darwinista o di un creazionista, è un
creatore: le sue pagine confermano che
quando l’uomo viaggia oltre se stesso,
lontano da quel che crede di essere – un
ammasso di cellule, un re o un povero
scemo – quando si abbandona
all’ispirazione, allo sguardo, al desiderio,
è davvero figlio di Dio e, a Sua immagine
e somiglianza, anch’egli crea. Adamo ed
Eva, le tartarughe delle Galapagos...
favole belle, antiche e moderne; quale
vera quale falsa? E’ la loro audacia, la
loro inventiva, a testimoniarlo, poiché
verità è bellezza, bellezza verità. A
ciascun umano il mito dell’origine in cui
ritrovarsi principe azzurro o brutto
anatroccolo. Da dove veniamo? Dai
pensieri quando folgoranti ci
sorprendono privi della corazza del
pregiudizio, pensieri che giungono da
regioni oscure confinanti con
l’impensabile. Il mondo si disegna nel
dialogo dell’uomo con Dio.
La scienza può prendere dall’opera di
Darwin quel che ritiene opportuno,
evitando però di farne il perno per una
visione del mondo. La fissazione
all’origine è il modo per negare quanto di
originario c’è in ciascun pensiero.
Passato, futuro e presente esistono
nell’attuale, in quell’atto di parola in cui
ciascuno, a modo suo, racconta, di geni e
progenitori. Un racconto monotono fino
all’asfissia quando non si ha il coraggio
d’incontrare Altro nell’ascolto di quel che
si va facendo e dicendo, ché le nostre
azioni e parole ne sanno più di noi. I geni
non sono i nostri genitori, ma,
eventualmente, i nostri figli. Noi li
creiamo. Noi li osserviamo, li nominiamo,
li educhiamo. Attorno ad essi ci
accapigliamo in tragicomiche dispute e
anche per questo resteranno nella nostra
storia. Un giorno, forse, riusciremo a
sorriderne. Nel frattempo, che tra un
palestratissimo cervello e un’anima nera
e raggrinzita... io ed altri temerariamente
scegliamo l’anima, è la prova della sua
esistenza. I darwinisti e gli antidarwinisti
puntano a una lettura canonica
dell’opera di Darwin; tale integralismo
comporta una messa a morte del Padre,
del Figlio e dello Spirito. I fedelissimi
imbalsamano il Padre e siedono sopra la
pesante pietra sepolcrale, affinché non
risorga. Darwin, evoluzionista in perenne
evoluzione, risorge eccome, nelle teste
dei suoi sedicenti discepoli innanzitutto,
che sennò non si affannerebbero a dire
che lui è quella cosa lì e nient’altro,
marmoreo nel tempo, implacabile
testamento, morto, morto, morto. A che
pro volere a tutti i costi vedere morto il
Padre, se non per spartirsene le spoglie a
piacimento e agitarne il cadavere come
un burattino? Darwinismo e feticismo
genetico si sostengono in un delirio che è
vano inseguire in tutti i suoi giri e raggiri
al fine di confutarlo; il delirio non si
confuta né si sopisce, il delirio parla e va
ascoltato, per intenderne la logica:
nessuno può dire la verità, tutta la verità
e nient’altro che la verità, ma in ciò che
ciascuno dice c’è del vero. Perché i
darwinisti – tali non sono i veri scienziati
ma gli ateologi predicatori – insistono
nel loro credo, sempre più irrigiditi,
schiacciati dalla propria sé-elezione che
di naturale non ha nulla, frutto piuttosto
di un fantasma di fratricidio? Pare che
vogliano convincerci e soprattutto
convincersi che il nulla regna sovrano,
che tutto è stato scritto all’inizio dei
tempi e noi siamo solo le conseguenze di
un eterno disamore. Di quale peccato
inespiabile i figli di Dio si credono
colpevoli per accanirsi in tal modo
contro l’idea di essere incessantemente
creati e creatori? Cosa li spaventa al
punto da costringerli a rifugiarsi nello
sterile deserto dello scientismo, laddove
potersi dichiarare orfani? Pensano di
avere ucciso il Padre, un assassinio
certificato dal loro suicidio? Non abbiate
paura, signori, ma nemmeno sforzatevi
troppo di mentirvi: il Padre non muore.
In “Totem e Tabù” Sigmund Freud sfata
ogni pretesa deicida ed evoluzionista: la
gloria del primato ciascuno la conquista
con la forza del proprio pensiero,
singolare e non ereditabile. “Morto – v’è
scritto nel grande libro – il Padre risorge
più forte di prima”.
Il Padre – pensiero, parola, amore –
spaventa; intollerabile l’idea
d’incontrarlo, di autorizzarsi a
un’invenzione, di librarsi nei cieli della
creazione, della propria esistenza
innanzitutto. Per viltà ci s’imparenta con
la scimmia che non vede, non sente, non
parla. Tuttavia, al di là delle loro peggiori
intenzioni, gli ateologi darwinisti
costituiscono una delle prove
dell’esistenza di Dio: il loro accanimento
contro di Lui dice quanto Egli sia vivo. Dio
provoca, non lascia in pace, non lascia
morire. I figli ribelli vegliano insonni, nel
timore d’essere sorpresi da quel sogno di
cui parla Amleto. Dalla croce di superbia
cui si sono inchiodati lanciano la sfida:
“Gettami nella polvere, mostrati Dio!”. Ma
già sono vinti. Solo chi si sente trascinato
dal vento divino può sentirsi così
minacciato da aggrapparsi al cosiddetto
gene, l’innocente acido nucleico innalzato
a principio e fine di tutte le cose.
Denigrando Dio i darwinisti Lo invocano,
bramano qualcosa che faccia loro perdere
la testa, che li porti in terre sconosciute,
ove il sovrano sapere possa smarrirsi e
mendicare briciole di mistero.

Umberto Silva

© Copyright Il Foglio 15 aprile 2010