La Stampa, giovedì 22 aprile
L’allarme causato dall’eruzione del vulcano islandese,
che ha avuto come conseguenza il blocco dei voli su
quasi tutta l’Europa, è stato ampiamente esagerato da
modelli matematici imprecisi e da computer che hanno
elaborato dati non supportati da alcuna prova scientifica.
Passata l’emergenza che ha causato gravi disagi a milioni
di persone e 1,7 miliardi di euro di danni (li pagheremo
con le nostre tasse, sotto forma di rimborsi statali
alle compagnie aeree), gli esperti ricominciano a ragionare
con maggiore calma. E non tutti sono convinti che la
decisione di chiudere gli scali sia stata quella giusta.
La confusione che ha regnato per una settimana nei centri
di controllo era tale che i computer di Eurocontrol (l’agenzia
che gestisce il traffico aereo europeo) segnalavano
la presenza di cenere vulcanica solo in due ampie zone
dell’Oceano Atlantico, mentre quelli del servizio meteo inglese
e del centro di controllo Nats, che coordina migliaia
di voli intorno alla Gran Bretagna, affermavano che la nube
nera aveva invece coperto ampie zone dell’Europa.
Anche i possibili danni ai motori, causati dall’impatto
con ceneri già ampiamente disperse nell’atmosfera, è stato
esagerato dai modelli matematici: alcune compagnie,
come Klm e British Airways, hanno effettuato test in volo,
senza riscontrare danni ai propulsori. Secondo Aage
Duenhaupt, portavoce di Lufthansa, «quello che i nostri
piloti hanno verificato in quota non corrispondeva per
nulla a quello che ci avevano detto i computer».
Se le inchieste in corso confermeranno quanto sta
emergendo, dovremo concludere che non è stata la natura
selvaggia a piegare il nostro mondo tecnologico. È stata
anzi l’eccessiva fiducia che riponiamo nella tecnologia
a causarci gravi danni. Non sarebbe la prima volta. Molti
sospettano ad esempio che la grande crisi economica che
stiamo attraversando sia stata favorita lo scorso anno dalla
perdita di controllo sugli algoritmi che ormai governano
quasi tutte le operazioni finanziarie.
Banalmente, gli algoritmi sono un elenco di passi da
compiere in un determinato ordine per ottenere il risultato
che si desidera. Anche una ricetta di cucina o il libretto
di istruzioni del telefonino sono a loro modo algoritmi.
Al London Stock Exchange quasi il 50% degli scambi
è ormai gestito da supercomputer che eseguono i passi
necessari per ottenere il risultato da sempre più desiderato:
fare molti soldi. Negli equity markets americani
l’80 per cento delle operazioni non vede più coinvolti esseri
umani, se non i «quantities analysts», brillanti laureati
in Fisica o in Matematica che i gestori si contendono
per progettare algoritmi sempre più intricati.
George Dyson, figlio del fisico quantistico Freeman, ha
scritto un saggio per cercare di spiegare da un punto di
vista matematico l’ultima crisi economica. È arrivato alla
conclusione che «i mercati non sono mai stati tanto automatizzati:
siamo in balìa di un sistema finanziario basato
su operazioni così complesse da poter essere eseguite
unicamente da macchine».
La dipendenza dai computer non riguarda però solo i
grandi sistemi, ma caratterizza ormai le più semplici azioni
della nostra vita quotidiana. Il Financial Times ha dedicato
giorni fa una pagina a come le applicazioni della
Apple per l’iPhone o per l’iPad stiano cambiando il mondo
e il nostro modo di vivere: ce ne sarà una per ogni necessità
che riusciamo a immaginare e il nostro piccolo
computer portatile ci darà tutte le risposte che vogliamo.
Questo facile accesso alla conoscenza sta facendo in modo
che la conoscenza stessa non sia più indispensabile al
singolo individuo, sia che si tratti di giudicare gli effetti
di una eruzione vulcanica che di movimentare miliardi di
dollari in Borsa. Persino gli studenti stanno scoprendo
che non vale la pena di fare tanta fatica per imparare a
memoria quando è morto Napoleone: se mai un giorno
avranno necessità di saperlo, lo chiederanno con il telefonino
a Wikipedia.
Molti studiosi ritengono che i computer non facciano
alle persone tutto il bene che si pensava. Alcuni, come
Howard Rheingold, autore del libro The Virtual Community,
sospettano che stiano dando origine a una nuova specie
umana, dotata di sistemi neuronali diversi e totalmente
dipendente dalla tecnologia. Lo scrittore di fantascienza
Isaac Asimov pose al primo punto delle sue leggi
sulla robotica l’imperativo che una macchina intelligente
non possa recar danno a un essere umano. Forse è necessaria
una legge analoga anche per i computer.
Vittorio Sabadin