Il pianto di Benedetto XVI, pieno di “vergogna” e “tristezza” nell’incontro a Malta con i giovani abusati da qualche prete pedofilo è un fatto che coglie di sorpresa. La canea di molti media mondiali che mostravano un Pontefice complice nel silenzio e nel soffocare il grido delle vittime non ci aveva preparato a una simile testimonianza di umiltà e di amore alla verità che questo Papa continua ad offrire al mondo.
Anche i commenti dei giovani incontrati («Lei può riempire il vuoto»; «Finalmente posso andare dalle mie figlie e dire che ho ritrovato la fede») ci aprono a una sorpresa: che lo scandalo e la denuncia sono sterili se non si arriva a guarire e riconciliare.
Ma proprio queste dinamiche – incontro, umiltà, amore alla verità, guarigione, riconciliazione – sono tipiche del pontificato di Benedetto XVI.
Tutte le volte che in questi cinque anni il mondo ha gridato allo scandalo (sterile), il Papa e con lui molta parte della Chiesa, hanno lavorato con umiltà alla verità, alla guarigione e alla riconciliazione.
È avvenuto così con il discorso di Regensburg, in cui Benedetto XVI ha posto la domanda all’islam su quale deve essere il contributo della religione se si appiattisce in una violenza che rinnega Dio e la ragione. Alcune frange del mondo musulmano e soprattutto l’intellighenzia secolarizzata e saccente dell’occidente si sono scagliati contro il Papa che non sa usare i termine giusti. Ma da quel discorso sono cresciute sempre di più gli apprezzamenti per il suo coraggio. E proprio dal mondo islamico vi sono state dichiarazioni di sintonia con il Papa, tanto che quella che molti definiscono “una gaffe” è divenuta la spinta per un dialogo più serrato fra cattolici e islam.
E il fatto che oggi sempre più intellettuali musulmani condannano esplicitamente la violenza (in Arabia saudita, Iraq, Indonesia, India, Egitto e perfino Pakistan) è un frutto del coraggio nel dire la verità da parte di questo Pontefice.
Verità, guarigione e riconciliazione sono state al centro del suo pellegrinaggio in Terra Santa lo scorso anno, in cui Benedetto ha mostrato profonda amicizia a israeliani e palestinesi, chiedendo loro di finirla con la violenza e cercare la via della convivenza, battendo in coraggio e speranza tutti i politici della terra, abituati a parteggiare per uno o per l’altro dei due popoli. E questo, mentre tutti lo accusavano di essere “nazista”, negazionista, illuso.
Guarigione e riconciliazione hanno dominato la sua scelta nel togliere la scomunica ai vescovi lefebvriani, una scelta preoccupata di ricondurre all’unità viva della Chiesa centinaia di preti, considerata più importante dei mugugni dei cattolici progressisti e degli anti-negazionisti contro il vescovo Williamson. E anche se l’affare Williamson e la stessa vicenda pedofilia mostrano qualche pecca nella macchina vaticana, il Papa rimane tenace nel suo diritto a tentare di salvare una situazione, definendo il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, rifiutando gli schieramenti ciechi e le demonizzazioni.
La verità, la guarigione e la riconciliazione sono da sempre le direttive della Chiesa. Quanti ebrei, quanti nazisti, quanti partigiani sono stati salvati da cattolici, preti e laici, prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale?
Molta dell’inimicizia del mondo verso Benedetto XVI dipende da questa differenza fra la verità, che è attenta a tutti i particolari della realtà, e i modi viscerali e ideologici, tendenti a distruggere l’avversario, tipici di una situazione contemporanea dove non esiste alcuna verità oggettiva, se non il mio sentire (la “dittatura del relativismo” e del “conformismo”).
Ma forse questa annotazione non basta a spiegare tutto l’astio, la menzogna, il fango che in queste settimane sono stati rovesciati sul Papa. In tutto questo c’è un risentimento sordo e violento che nasce dal fatto che l’uomo di oggi – che sognava con la scienza e la tecnica di toccare il cielo e di essere divenuto potente come Dio – si scopre in realtà povero e carente, con una scienza che produce distruzioni ecologiche ed umane, con una politica sempre più impotente, con un’economia “scientifica” che si mostra sempre più immorale, oltre che incapace.
Benedetto XVI ricorda al mondo che la ragione umana rivela il limite che nessuno vuole confessare, che solo Dio può guarire queste azzoppature tragiche della nostra pretesa, che solo Gesù Cristo è la medicina che dà immortalità e bellezza alla vita.
Quella della ragione è una battaglia che Benedetto XVI sta conducendo anche nella Chiesa. Contro un cristianesimo sentimentale, abitudinario, ideologico (tradizionalista, progressista), egli spinge a un rapporto vivo col Signore e con la Chiesa come Corpo di Cristo, non luogo del potere o del riparo dal mondo. Tale rapporto vivo fa crescere le ragioni personali della fede e spinge alla testimonianza dentro il mondo. Ogni liturgia, anche la più solenne non serve come un’occasione di narcisismo nella Chiesa, ma a portare la verità, la guarigione e la riconciliazione a un mondo che l’attende, anche se talvolta non lo sa nemmeno.
© Copyright Il Giornale del Popolo 20 aprile 2010