di Gil Troy
Tratto da Il Sussidiario.net il 13 aprile 2010
Una delle più grandi delusioni derivanti dal sionismo è che la nascita di Israele ha scatenato nuove ondate di odio contro gli ebrei, con Israele come primo obiettivo.
L’ingiustizia dei nostri nemici e l’ipocrisia del mondo possono essere schiaccianti, ma non dobbiamo diventare dipendenti dalla nostra indignazione e anche quando i media sollevano controversie, non possiamo sentirci offesi ad ogni occasione, anche se non rilevante. Per questo motivo, a quanto pare diversamente dalla maggioranza degli ebrei, sono rimasto rattristato, ma non arrabbiato per quanto detto da Padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, che ha paragonato gli attacchi alla Chiesa cattolica per gli scandali sessuali alla “violenza collettiva” contro gli ebrei.
Sia chiaro: gli abusi sessuali da parte di preti sono malvagi e come professore, genitore e persona sono disgustato per la violazione della fiducia, la violenza, la perversione e la detestabile loro copertura. Io tengo sempre aperta la porta durante le mie ore di lavoro e non metterei neanche una mano sulla spalla di uno studente in difficoltà, per evitare di essere frainteso, e non capisco come un religioso o un insegnante possano infrangere la fiducia di singoli, delle loro famiglie e della società. Sono anche sconvolto dalla copertura che ha permesso che questi crimini continuassero a ripetersi.
Sia come professore alla McGill che come membro attivo della comunità ebraica, non posso immaginare di coprire le colpe di un mio collega, tanto più colpe così gravi. Credo che chi sbaglia debba essere espulso, personalmente l’ho fatto per fatti molto meno gravi, e mi sento offeso dalle azioni di questi preti e dall’inazione dei loro superiori. Sono un tradizionalista e mi sento anch’io compromesso, a causa dei loro crimini, di fronte alla gioia di troppi secolaristi nel vedere la Chiesa presentata come corrotta.
Il piacere maligno di tanti media e opinione corrente, la gioia che troppi provano per le difficoltà della Chiesa mi fanno problema. Innanzitutto, confesso di essere colpito dal fatto che il predicatore del Papa abbia talmente interiorizzato il male dell’antisemitismo da usarlo come simbolo ultimo della persecuzione. Si è percorsa molta strada dagli autodafé della inquisizione spagnola e dovremmo ringraziare Papa Giovanni Paolo II e molti altri per aver liberato il cattolicesimo dalla presa storica dell’antisemitismo.
Poi, penso ai miei amici cattolici, in particolare al mio compagno di college, Justin Whittington, che è diventato prete nei Gesuiti: che, malgrado la sua vita di sacrificio e di devozione, egli possa essere guardato con sospetto mi ferisce, come deve ferire lui. Gli ebrei devono cogliere questa occasione per avvicinarsi ai nostri amici cattolici, individualmente e come comunità, ascoltare il loro dolore, condividere le loro preoccupazioni, aiutarli a superare la comprensibile rabbia verso certi comportamenti ingiustificabili e a non ripudiare quello in cui credono e tutto il loro sistema di opere buone.
Non credo che il male perpetrato dai preti responsabili di abusi su minori sia inerente al cattolicesimo. Certo, Papa Benedetto XVI e la gerarchia cattolica dovranno essere coraggiosi e al contempo umili, per sconfiggere questo flagello, ma la Chiesa ha superato la mia prova Tikun. “Tikun” significa rimettere a posto, ma implica in qualche misura una riparazione: quando una istituzione o uno Stato sbagliano, come è inevitabile accada essendo composti da imperfetti esseri umani, il giudizio deve essere espresso anche sulla base dei valori che affermano e della loro capacità di riformarsi, non solo sulla base degli errori o dei crimini. E questi preti e i loro complici hanno violentemente infranto i valori centrali della Chiesa.
In modo simile, i Paesi democratici, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dall’India a, sì, Israele superano spesso questa prova Tikun conservando i loro valori e dimostrando, istituzioni e popolo, di saper cambiare e progredire, e io preferisco avere a che fare con un ipocrita, che almeno ha dei valori che deve rinunciare a vivere, a un nichilista.
Cattolici ed ebrei dovrebbero unirsi nel loro comune legame alla tradizione e nel condiviso dolore della delegittimazione. Anche se i fatti non sono comparabili, la sfortunata analogia di Padre Cantalamessa è la reazione a chi attacca la Chiesa, in base a questi deprecabili casi, per distruggere il cattolicesimo stesso. Analogamente, molti passano dal criticare la politica israeliana alla totale condanna di Israele, del sionismo e delle basi per uno Stato ebraico. Le democrazie, e le religioni vive, si irrobustiscono nelle discussioni, nei dibattiti, nelle controversie, perché criticare o essere a disagio significa riconoscere l’appartenenza alla comunità. Nel suo monumentale lavoro Giustizia, il filosofo di Harvard Michael Sandel scrive: «Orgoglio e vergogna sono sentimenti che presuppongono una identità condivisa».
Purtroppo, nel moderno mondo politicamente corretto, alcune istituzioni, religioni e Stati sono più esposti ad essere delegittimati che non altri. Il nazionalismo ebraico è nel mirino, quello palestinese no; i peccati commessi da cattolici sono spesso considerati una conseguenza del cattolicesimo come tale, mentre la violenza islamica è vista come una deviazione occasionale dall’islam, “religione di pace. ” Ancora, le critiche dei conservatori ai progressisti sono etichettate come maccartismo, mentre il contrario è definito libertà di parola. In altri termini, siamo in presenza di una gerarchia morale che trova le sua radici nella Nuova Sinistra, viene raffinata nelle università e pervade molti mezzi di comunicazione.