DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La grandezza polacca e le bassezze di casa nostra. In Italia c'è chi tenta l'uso politico della tragedia

di Luigi Geninazzi
Perfino davanti alla tragedia polacca c’è chi, qui da noi, è riuscito a buttarla in politica, quella più bassa e indecente. Un giornale d’opposizione pubblica una vignetta di pessimo gusto sulle 96 vittime del disastro aereo che ha decapitato i vertici istituzionali della Polonia («a chi troppo e a chi niente»; S. Staino su «L'Unità» di domenica 11 aprile 2010). Ecco, «vogliono Berlusconi morto», titola a nove colonne in prima pagina un giornale, anzi no, Il Giornale di governo, che nel suo furore casalingo non trova neppure lo spazio per un piccolo richiamo al dramma che sta vivendo una grande nazione europea come la Polonia. Neppure in casi come questi sembra che il nostro Paese riesca ad alzare lo sguardo, fisso sul proprio ombelico, aprendo gli occhi e lasciandosi toccare il cuore da quanto sta avvenendo in queste ore a Varsavia e dintorni.
È un immenso cordoglio di popolo che si trova unito attorno alla bara del presidente della Repubblica deceduto nella sciagura aerea di Smolensk. Lech Kaczynski è stato un personaggio controverso su cui la società polacca si è spesso divisa, anche in modo molto aspro. Ma i polacchi, tutti i polacchi e non solo quelli della sua parte politica, l’hanno accolto come un eroe e lo piangono con lacrime sincere perché vedono in lui il simbolo più alto della nazione. Una folla impressionante di oltre centomila persone ha fatto ala al corteo funebre riempiendo il centro della capitale, quasi un anticipo delle solenni esequie di Stato che si terranno sabato prossimo. Gente di ogni ceto sociale e di tutte le generazioni che non solo avvertono il bisogno di stare insieme, ma intendono mostrarlo al mondo intero, con una fierezza e una dignità che s’accompagnano a un dolore intenso e sommesso. Con il capo dello Stato hanno trovato la morte ministri, politici, generali delle forze armate e familiari delle vittime di Katyn. La Polonia, come già ai tempi di Adam Mickiewicz, torna ad essere «il Cristo crocifisso delle nazioni», prega e singhiozza nelle chiese. In quale altro Paese europeo gli uomini di governo e le autorità politiche s’inginocchiano davanti alla bara del leader scomparso? In tv i commentatori non esitano a paragonare il lutto corale di questi giorni a quello che unì la Polonia cinque anni fa dopo la morte di Giovanni Paolo II.
«Dobbiamo avere più amore gli uni verso gli altri», dice Walesa che negli ultimi tempi aveva polemizzato duramente con il presidente Kaczynski. I giornali parlano di una tragica fatalità. «Ma io rifiuto questa terminologia – si ribella l’anziano Tadeusz Mazowiecki –. Anche nella più grande catastrofe c’è un disegno provvidenziale, c’è un monito per tutti noi: basta con le miserie e le piccolezze, ci sentiamo una nullità di fronte a questa terribile tragedia».
Colpisce la distanza fra queste parole e i commenti di casa nostra dove, con macabra e insistente voluttà, si scava nelle ferite della storia polacca fino ad evocare assurdi parallelismi con l’incidente nei cieli dove nel 1943 trovò la morte il generale Sikorski, capo del governo polacco in esilio.
Ma nessuno in Polonia ha finora avanzato tesi complottiste. E l’inquietante coincidenza di Katyn, il luogo dove si stava dirigendo la delegazione capeggiata da Kaczynski per commemorare l’eccidio staliniano di settant’anni fa, può paradossalmente favorire il processo di riconciliazione con la Russia. Anche a Mosca si piangono i caduti polacchi. Quelli di oggi nella sciagura aerea, ma anche quelli di ieri: la tv russa di Stato ha trasmesso in prima serata il film di Wajda, un omaggio alla verità storica. In Polonia e in Russia avvengono cose grandi, nel segno di un dolore fecondo. Ma qui in Italia c’è qualcuno che se n’è accorto?
«Avvenire» del 13 aprile 2010